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Il
Programma del Ministro della Giustizia Roberto Castelli
La
Repubblica, 25 luglio 2001 La linea dura di Castelli. Baby killer, niente sconti. Nessuno spiraglio per l’amnistia. Per svuotare le carceri si punta a rimpatriare diciassettemila immigrati. È
contenuto in sole dodici pagine il programma per la giustizia del Guardasigilli
leghista Roberto Castelli. Riprende le linee guida che furono dettate dal
forzista Marcello Pera, candidato per via Arenula prima di conquistare il
Senato. A quei progetti - una sessione speciale del Parlamento per pianificare
la strategia giudiziaria e della sicurezza, la riforma del CSM, la distinzione
delle carriere tra PM e giudici - Castelli aggiunge questioni che gli stanno a
cuore: via i reati d’opinione dal codice penale (è il primo disegno di legge
presentato), allontanamento del maggior numero possibile di extracomunitari (a
cominciare dai 17 mila carcerati). Più durezza verso i minori che hanno
commesso reati. In più, come il suo predecessore Piero Fassino, il
Guardasigilli calca la mano su! carcere: migliori condizioni detentive, ma
nessuno spiraglio per l’amnistia: “Non è una linea percorribile”. Il
Castelli - pensiero, letto di fronte ai deputati della commissione Giustizia,
non scende nei dettagli per una scelta precisa. Non promettere molto, per non
trovarsi poi in difficoltà. Per i primi cento giorni il ministro annuncia la
riforma del diritto societario (e cioè un colpo al reato di falso in bilancio)
e norme contro la riduzione in schiavitù. Per i primi cinque mesi il progetto
di riforma del CSM e l’abolizione dei reati d’opinione. Per gli anni a
venire la riforma del Codice penale e una riformulazione di tutti i codici. Anche
se le toghe già protestano (negativi tutti i commenti al CSM) per quella che si
preannuncia come una stretta dell’autonomia dei giudici. Castelli va avanti
deciso. E comincia con uno slogan: “I magistrati perseguono i reati, non i
fenomeni”. Come non pensare alla corruzione e a Mani Pulite? Ma non è
una novità che, con il governo Berlusconi, un periodo della storia giudiziaria
italiana stia inesorabilmente per chiudersi. Per
ora le questioni più concrete riguardano il carcere, gli immigrati, i minori.
Sul penitenziario, con il nuovo direttore del DAP Giovanni Tenebra che lascia la
procura di Caltanissetta, il ministro vuole investire molto: assicura il suo
impegno per le misure alternative, insiste sulla necessità del lavoro per
recuperare i detenuti, vuole recuperare tutte le strutture inutilizzate (a
cominciare da Pianosa). Sui minori pronuncia una frase che farà discutere: è
un “pessimo esempio” scarcerare quelli che commettono omicidi e lui è
“sconcertato” per misure “eccessivamente lassiste nei confronti di minori
che hanno commesso gravissimi reati”. Quanto agli immigrati, la linea è
chiaramente leghista: via il maggior numero, a cominciare da chi “dietro
precise garanzie di rinuncia al reingresso clandestino in Italia” accetta di
essere rimpatriato. Corriere della Sera, 25 luglio 2001 Carceri
affollate, rimpatriamo gli immigrati. La proposta del ministro Castelli: ma solo
per i reati lievi. Tra i 57 mila detenuti, 17 mila sono extracomunitari Dice
subito di “essere dalla parte di Abele” per garantire “agli onesti
cittadini che coloro i quali commettono i reati devono scontare la pena”. Si
presenta così il Guardasigilli Roberto Castelli davanti alla commissione
Giustizia della Camera, che lo ha convocato per ascoltare il suo programma. Il
ministro prevede pure un giro di vite contro “il lassismo verso i minori che
commettono omicidi” e una sorta di obbligo di lavoro per i carcerati. Ma poi,
per tentare di alleggerire la pressione nelle le carceri sovraffollate, Castelli
annuncia la riapertura di 20 istituti dismessi (compresa Pianosa) e un
“indultino” per rimpatriare i detenuti extracomunitari per reati lievi. La
sfida Sul
fronte delle garanzie, il ministro ribadisce i “lavori in corso” indicati
dalla Casa delle Libertà. E non sono interventi di poco conto, tanto che mezzo
Consiglio Superiore della Magistratura è già in rivolta mentre l’ANM mette
molti paletti davanti alle proposte del ministro. Eccole: separazione tra i
ruoli di giudice e pubblico ministero; polizia giudiziaria non più controllata
dal PM; riforma del meccanismo di elezione del CSM; commissione disciplinare
scorporata dal CSM, “affinché sia veramente terza”; istituzione di una
sessione speciale in Parlamento, sui temi della sicurezza e della giustizia, per
meglio individuare il campo di applicazione dell’obbligatorietà dell’azione
penale. E, infine, con un occhio proiettato ai prossimi anni, c’è anche la
riforma di tutti i codici mentre, guardando vicino, “il governo ribadisce la
priorità assoluta per la riforma del diritto societario”. Gli
stranieri Castelli
è preoccupato per la situazione esplosiva nelle carceri: 57 mila detenuti, di
cui 17 mila extracomunitari. Ecco allora la proposta forte, che in qualche modo
ricalca l’indultino varato da Fassino ma poi bloccato alla Camera a
febbraio. Annuncia il ministro: “Il governo si sta ponendo il problema di
rimpatriare, dietro precise garanzie di rinuncia al reingresso clandestino in
Italia, gli extracomunitari con reati lievi”. E ancora: “Questo è un
obiettivo da raggiungere anche attraverso provvedimenti normativi e pesanti
sanzioni”. Ma c’è un timore: “Esistono problemi di natura costituzionale,
internazionale e giuridica, di non facile soluzione”. I
minori Castelli
dice di essere “sconcertato” dalle “prese di posizione, di una larga fetta
dell’opinione pubblica, eccessivamente lassiste nei confronti di minorenni che
hanno commesso gravissimi reati”. E anche in questa “materia estremamente
delicata”, il ministro parla un linguaggio chiaro: “Non posso non farmi
interprete di chi ritiene che sia un gravissimo esempio, e soprattutto per i
minori, vedere scarcerati individui che hanno commesso omicidi”. E c’è
anche il rischio che “misure di protezione eccessivamente garantiste
trasformino i minori, soprattutto in alcuni particolari contesti
socio-economici, in una fascia a rischio come sacca di reperimento della
manovalanza delinquenziale”. Poi, a fine audizione, il ministro mima un
buffetto sulla guancia di un ipotetico ragazzino: “No, non può finire così
se hai ucciso tuo padre o tua madre”. Meno PM nel CSM Nel
medio periodo (un anno), l’obiettivo dichiarato di Castelli è quello di far
affiorare una linea sempre più marcata tra i magistrati che accusano, i PM, e i
giudici che emettono le sentenze. E questo, ammette il ministro, “provocherà
qualche ruvidezza” con i magistrati anche se “questi provvedimenti non sono
punitivi nei loro confronti”. Si parte, dunque, da un nuovo equilibrio tra i
consiglieri togati del CSM: “Entro l’anno sarà presentato il progetto di
riforma per l’elezione del CSM, in modo da arrivare all’approvazione
definitiva entro il mese di aprile del 2002”. Ovvero giusto in tempo per
l’elezione dei nuovi 20 togati. “È necessaria una diversa proporzione
all’interno di questa componente, in modo da rappresentare il rapporto
numerico esistente tra giudici e PM”. Il
secondo passo, in questa direzione, è la separazione dei ruoli: “A garanzia
dei cittadini, appare non procrastinabile delineare una separazione tra giudici
e pubblici ministeri”. La formula, per ora, è soft: dopo un accesso unico in
magistratura e un percorso comune, “occorre prevedere l’immissione in due
ruoli distinti”. Chi vorrà cambiare funzione dovrà “superare uno specifico
corso - concorso” e spostarsi in un altro distretto. Critiche
dal CSM È
duro il consigliere “laico” Gianni Di Cagno (DS): “Gli interventi urgenti
vengono individuati nella cancellazione del reato di falso in bilancio e nella
modifica della legge elettorale del CSM. Vi chiedo se questi siano i problemi
che rendono i cittadini insoddisfatti della giustizia”. Il
“togato” Nello Rossi (MD) trova “sorprendente” il programma del
ministro, dopo tanto parlare di “efficienza dell’organizzazione giudiziaria.
L’ex PM Armando Spataro (Verdi) dice di essere “preoccupato per la
sottrazione della polizia giudiziaria al controllo del PM”. E il presidente
dell’ANM, Giuseppe Gennaro, avverte che non bisogna abbassare la guardia:
“Credo che si debba essere vigili e attenti sulle riforme che riguardano il
CSM e, in genere, su tutte le modifiche che toccano lo status della
magistratura”. Italia Oggi, 25 luglio 2001
Magistrati
e PM separati in casa. In arrivo distinzione
di ruoli, passaggi con un corso - concorso La
separazione tra giudici e pubblici ministeri è imposta dalla Costituzione.
L’articolo 111, che prevede che il giudice debba essere terzo e imparziale, la
rende “non procrastinabile”. Si
tratta, più in dettaglio, di introdurre una distinzione di ruoli, stabilendo
che il passaggio dall’uno all’altro avvenga con corso - concorso e cambiando
distretto. E non sarà questo l’unico intervento sull’Ordinamento
Giudiziario. Entro l’anno sarà presentato un nuovo sistema elettorale per il
Consiglio Superiore della Magistratura, al fine anche di riequilibrare la
presenza di giudici e PM. E
occorre discutere sulla necessità di “scorporare l’organo disciplinare del
plenum del Consiglio, al fine di renderlo effettivamente autonomo”. Roberto
Castelli, ministro guardasigilli, ha esposto ieri davanti alla commissione
giustizia della camera le linee programmatiche del suo dicastero per la
legislatura. E alcuni passaggi sull’Ordinamento Giudiziario non mancheranno di
suscitare qualche reazione da parte dei magistrati. Tanto da spingere il
guardasigilli a escludere qualsiasi intenzione “punitiva”, e ad assicurare,
da parte sua, “l’assoluta onestà d’intenti, non essendo animato da
nessun’altra motivazione se non quella di assicurare al paese un servizio
eccellente”. Ed è per questo che Castelli si aspetta “un periodo di
confronto aperto con le toghe”, piuttosto che uno scontro frontale. L’agenda
del ministro Il
guardasigilli ha toccato tutti i settori di intervento, indicando per ognuno
esplicite linee di modifica e illustrando una tabella di marcia. I primi 100
giorni saranno caratterizzati dalla presentazione, insieme con il ministro per
le pari opportunità, di un DDL contro la riduzione in schiavitù per
sfruttamento sessuale, oltre che dall’approvazione della riforma del diritto
societario. Sul falso in bilancio, in particolare il ministro ha detto a Italia
Oggi di essere d’accordo sull’ipotesi di riforma messa a punto
“autonomamente dal parlamento”. Quanto
al calendario dei lavori, entro aprile 2002 dovrà essere legge il nuovo sistema
elettorale del CSM, nella seconda parte del 2001 sarà presentata una legge per
l’abolizione dei reati di opinione (è già stata consegnata ai colleghi di
governo una bozza per la revisione di quelli contro la personalità dello
stato). Entro
la fine dell’anno saranno presentati i disegni di legge per l’abbreviazione
dei tempi della giustizia civile e per la riforma dell’Ordinamento
Giudiziario. Entro il 2002 la programmazione prevede la riforma del Codice
Penale e la presentazione dei quattro codici fondamentali della nuova
formulazione. Tutti interventi, in realtà, già previsti negli stessi termini
nel programma elettorale della Casa delle Libertà. Con qualche novità sulla
questione penitenziaria, tema che lo ha coinvolto anche “emotivamente”, e
sui minori. Sulla
prima, Castelli ha escluso la percorribilità della strada di un’amnistia e ha
annunciato l’ampliamento della capacità ricettiva del sistema, anche
riaprendo i penitenziari chiusi dalla scorsa amministrazione (a partire da
Pianosa), l’obbligo di lavoro per i detenuti, il varo di circuiti penitenziari
differenziati, più o meno severi a seconda della gravità del reato o delle
condizioni psico-fisiche dei detenuti. Quanto
ai 17 mila detenuti extracomunitari, il Guardasigilli ha annunciato che è allo
studio la possibilità di rimpatriare, dietro precise garanzie di rinuncia al
reingresso clandestino in Italia, chi è condannato per reati lievi. Previsione
che potrebbe inserirsi nel provvedimento, che il governo sta studiando, per la
riforma della legge Turco - Napolitano. Ma che mostra anche grandi difficoltà
sistematiche. Sui
minori, Castelli si è detto sconcertato per certe prese di posizione lassiste
nei confronti di chi è responsabile di gravissimi reati. “È un pessimo
esempio scarcerare individui che hanno commesso omicidi, ha sottolineato
Castelli, riferendosi a tragici fatti di cronaca. “E c’è il pericolo che
misure di protezione eccessivamente garantiste trasformino i minori in una
fascia a rischio, come sacca di reperimento della manovalanza delinquenziale”. Gli
interventi sul processo civile Il
Guardasigilli ha evitato di utilizzare lo slogan della privatizzazione del rito
civile. Ha parlato, piuttosto, di razionalizzazione affidata alla delega alle
parti dell’attività istruttoria, alla previsione di meccanismi patrimoniali
dissuasivi della mancata ottemperanza delle decisioni, al potenziamento
dell’esperienza delle Camere di Commercio nei riti alternativi, aprendo alla
cooperazione di profili professionali esterni all’amministrazione giudiziaria. E
quelli sul penale Depenalizzazione
e tipizzazione degli illeciti, tempi prefissati per le attività processuali,
limiti all’appello e sanzioni pecuniarie in caso di ricorsi in Cassazione non
ammissibili, oltre a un nuovo sistema sanzionatorio, più proporzionato di
quello attuale alle condanne delittuose; sono interventi che mirano ai tre
obiettivi principali: certezza del reato, del processo e della pena. Professioni La
funzione degli Ordini, ha detto Castelli, è proteggere il cittadino e non il
professionista. Questa funzione pubblicistica implica nuove regole per
migliorarne l’efficacia sotto il profilo del controllo deontologico, della
formazione e dell’informazione trasparente al consumatore. Messaggero, 25 luglio 2001 Carceri,
arriva la devolution. Soddisfatti i
direttori sulle competenze da affidare alle Regioni. Critiche dal SAPPE:
“Parole al vento, non si possono obbligare i detenuti al lavoro” Finalmente,
finalmente - esultano i direttori delle carceri - il ministro ha presentato il
suo piano. Lo stesso che imploravamo da anni, mentre il sistema penitenziario
danzava sul baratro e noi venivamo intimiditi e delegittimati. Finalmente
Castelli, nell’audizione in Commissione Giustizia alla Camera, ha parlato di
lavoro, devolution, circuiti, custodia, sanità e ruolo dei dirigenti nel
settore penitenziario. Suscitando reazioni opposte, violentemente sarcastiche da
parte del SAPPE, il potente sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria che,
sul passaggio “occorre stabilire il principio che la pena vada scontata con
l’obbligo al lavoro” commenta “anche ad Auschwitz c’è un cartello con
scritto il lavoro rende liberi”. Il lavoro per i detenuti è il chiodo
fisso del Guardasigilli, che tratteggia un ritrattino amaro del sistema di
esecuzione penale, tra “casualità sanzionatoria, certezza della pena
diventata poco più di un principio astratto, lentezza dei processi che, a
volte, ha fatto liberare pericolosi criminali”. Questo andamento pendolare e
le sue conseguenze, secondo Castelli, rischiano di produrre un “fallimento
della Costituzione, dove stabilisce che la pena deve tendere alla rieducazione
del condannato”. È
sorpreso per la prospettata chiusura di una ventina di carceri, quando il
sovraffollamento ha aggiunto la vetta dei 57.000 detenuti, in 45.000 posti. Cita
Pianosa come caso clamoroso, deplora lo spreco di risorse e dice: “non voglio
pensare che si è stata creata una situazione insostenibile per poter
giustificare indiscriminate amnistie”. Sgombrato
il campo dalle premesse, Castelli passa alle promesse, cita tre strade per
risolvere i problemi. Più carceri, e altre strutture da usare per la custodia
attenuata per i tossicodipendenti; una soluzione per i 17.000 detenuti
extracomunitari, che però non può prescindere da un intervento governativo; la
devolution, che svincoli le carceri del centralismo del sistema
penitenziario, con annessa separazione dei circuiti in base alla pericolosità
dei detenuti. Quest’ultima questione circola da una ventina d’anni senza che
nessuno sia riuscito risolverla. Poi,
il lavoro “vaccino contro la tendenza a delinquere e valida medicina per
recuperare chi ha già sbagliato”. Come se il lavoro ci fosse, dentro il
carcere, in concreto e in prospettiva. Ma il Guardasigilli dice che ci sarà,
aggiungendo la necessità del ritorno dei direttori penitenziari all’unicità,
perduta con l’uscita dal comparto sicurezza. Loro applaudono: Pierluigi Farci,
vicesegretario del sindacato di categoria, e il direttore del carcere di Trieste
Enrico Sbriglia, già autore di una proposta di legge sulla devolution
penitenziaria, promuovono Castelli a pieni voti. “Basta con le false colombe,
che hanno causato solo danni. Più pragmatismo e meno ideologie, ecco la
salvezza del carcere”. Approva un falco autentico, Paolo Quattrone,
provveditore penitenziario dell’Umbria; con il suo progetto “anima forte”
ha messo a lavorare metà dei detenuti della regione; dice che non è un
miracolo, che si può fare mirando i corsi alle possibilità di impiego e grazie
alla devolution dell’esecuzione penale. Da
rivedere il passaggio di parte della sanità penitenziaria nel Servizio
Sanitario Nazionale, aggiunge Castelli; da mantenere l’autorevolezza della
Polizia Penitenziaria, essenziale per il governo dei detenuti. A
questa visione del carcere reagisce Franz Sperandio, portavoce del SAPPE:
“l’unico obbligo per i detenuti è la pena da scontare, e la devolution è
una vera follia, vuol dire tenere i mafiosi in Sicilia e i camorristi in
Campania. Il ministro affida parole al vento, costruisce piani penitenziari
senza nemmeno averci ricevuto e chiesto cosa ne pensassimo”. Il
Popolo, 25 luglio 2001 Chi
finisce in galera deve essere obbligato a lavorare. Per i minori che hanno
commesso omicidi pene più dure. Rimpatrio coatto per reati lievi. Il
guardasigilli contrario all’amnistia ritiene utili le pene alternative Lavoro
obbligatorio per i detenuti, costruzione di nuove carceri, niente amnistia e
abolizione dei reati di opinione. Ma anche riforma perle elezioni del CSM,
carriere separate per giudici e pubblici ministeri, pene più severe per i
minori responsabili di delitti e rimpatrio immediato per gli extracomunitari che
si macchiano di reati lievi. Sono alcuni dei punti del programma che la Casa
delle Libertà si prepara a attuare in tema di Giustizia, anticipati da Roberto
Castelli, nuovo titolare del dicastero di via Arenula, che ieri è stato
ascoltato in commissione Giustizia alla Camera. Castelli si è detto convinto
che il 73% degli italiani sia insoddisfatto di come nel nostro paese viene
amministrata la giustizia (dato fornito da un recente sondaggio) e ha promesso
che le riforme che si prepara a attuare consentiranno di riaffermare
“l’efficienza e l’efficacia del sistema giudiziario. Detenuti
al lavoro. “Occorre stabilire il principio che la pena vada scontata con
obbligo del lavoro”. Castelli ne è convinto: nelle carceri italiane i
detenuti se ne stanno “tutto il giorno in cella a fare niente”. “E’
controproducente”, dice il ministro, e aggiunge: “Il lavoro, a mio avviso,
è un vaccino importante contro la tendenza a delinquere, è una valida medicina
per recuperare chi ha già sbagliato”. Castelli non dice che tipo di attività
i detenuti dovrebbero svolgere, né se per loro è previsto un salario. Dettagli
rimandati a un secondo momento. Unica
indicazione riguarda il fatto che “il lavoro deve rispondere a un’effettiva
utilità sociale, tale da costituire un concreto risarcimento che il condannato
deve corrispondere alla società”. Da qui la proposta del Guardasigilli di
legare a un lavoro anche la possibilità per il detenuto di poter accedere alle
pene alternative e alla libertà anticipata e condizionata. Sovraffollamento.
È un altro dei temi toccati dal ministro della Giustizia. In Italia ci sono 57
mila detenuti ristretti in strutture che possono contenerne al massimo 45 mila:
“Alcune situazioni sono al limite della sopportabilità”, ha detto Castelli,
definendosi “perplesso” per la scelta adottata dai passati governi di
chiudere venti penitenziari tuttora in funzione. A partire da quello di Pianosa,
che descrive come “perfettamente funzionante e capace di far lavorare i
detenuti”. Per Castelli molte strutture vanno dunque recuperate, riaprendole o
ristrutturandole. Mentre, sempre per far fronte al sovraffollamento, per il
ministro è giusto pensare a misure alternative al carcere per quanto riguarda i
tossicodipendenti. Nulla da fare, infine, per quanto riguarda l’amnistia.
Castelli la archivia come “una strada non percorribile, per rispetto dei
cittadini onesti e perché il principio della certezza della pena è
irrinunciabile per il Polo”. Corriere della Sera 27 luglio 2001
Chi
indossa la toga non deve fare politica Il
leghista Roberto Castelli siede da due mesi su una delle poltrone più scomode
della politica. In questo tempo ha preferito, lui ingegnere diventato Ministro
della Giustizia, osservare, ascoltare, prendere confidenza con l’ufficio di
via Arenula, cercare i giusti equilibri con una struttura un po’ curiosa e un
po’ diffidente. Anziché gettarsi a capofitto in avventurose crociate, ha
ridimensionato e limitato i possibili focolai di tensioni e polemiche. Ha
comunque sperimentato che ogni passo compiuto si accompagna a critiche e
sospetti. Fin
dal primo giorno della sua nomina, Lei ha parlato della necessità di pacificare
la politica con la Magistratura. Quali sono le linee guida di questa
ricomposizione? “C’è
una via obbligata: rispettare rigorosamente la Costituzione. Mi accusano di dire
delle banalità o di avere creato una sorta di fiera dell’odio, però mi
sembra che nella realtà del Paese il richiamo a concetti che dovrebbero essere
acquisiti non sia del tutto scontato. Si deve ripartire dalla Costituzione”. Ripartire
dalla divisione dei ruoli, dall’autonomia della politica e dall’autonomia
della Magistratura? “Ripartire
dalla Costituzione significa che i politici fanno il loro mestiere e non
sconfinano negli ambiti propri della Magistratura. Che il ministro della
Giustizia operi in base all’art. 110 della Costituzione, difendendo con vigore
l’autonomia del proprio ufficio, significa ancora che i giudici applicano le
leggi e non pretendono di dettare alla politica i contenuti, né che devono
cadere in certe esasperazioni della politica”. A
che cosa si riferisce quando parla di esasperazioni della politica? “Una
delle cose che mi colpisce di più è sentire da anni che nel Consiglio
Superiore della Magistratura ci sono le correnti: a mio avviso, questa divisione
in correnti nel CSM dovrebbe essere superata, perché esse sono il veicolo
attraverso il quale i magistrati riproducono la mentalità della politica e
attraverso il quale i magistrati possono uscire dai confini della
Costituzione”. Ritiene
l’azione della politica insindacabile? “La
politica è sottoposta al giudizio del popolo di cui è espressione diretta, le
deviazioni della politica devono essere censurate e combattute dalla stessa
politica, mentre i politici che eventualmente delinquono vanno puniti dalla
Magistratura. Quello che voglio sottolineare è che vi sono state patologie sia
in un senso sia nell’altro. Ricordo, negli anni Ottanta, magistrati
perseguitati perché ebbero il coraggio di aprire inchieste scomode. Il che
significa che allora era la politica a tentare di schiacciare la
Magistratura”. Ma
negli anni Novanta il rapporto si è rovesciato. “Certamente
si sono verificati casi in cui il rapporto fra politica e Magistratura è uscito
dai binari costituzionalmente corretti, ad opera anche degli stessi magistrati.
Ora è arrivato il momento di rimettersi a lavorare assieme osservando
scrupolosamente ciascuno i doveri del proprio ruolo”. È
un richiamo alle procure accusate di fare politica? “È
un’affermazione di principio. Chi indossa la toga non deve fare politica ma
interpretare al meglio il ruolo che gli è dato dalla Costituzione”. Da
un lato il “partito dei giudici”, dall’altro il “partito degli
avvocati” così ben rappresentato nella maggioranza della Casa delle Libertà.
Lei, che parla di pacificazione, non si sente schiacciato? “Sono
sincero: il pericolo di essere schiacciato esiste, però nella mia vita ho fatto
tante cose rischiose e sono preparato. Sono attrezzato per non soccombere”. L’opposizione
l’aspetta al varco. Il partito dei giudici l’aspetta al varco. Il partito
degli avvocati l’aspetta al varco “Mi
sembra che sia fin troppo evidente il motivo. Sulla giustizia si sono scatenate
polemiche furibonde e ci sono grandi aspettative. Ora non vorrei che avere fatto
il pompiere, avere sopportato certe critiche spesso ingiuste sia visto come un
segnale di debolezza. Ho solo voluto dare un esempio. Le parole servono a poco.
La politica si fa con i fatti, non con i proclami, e i fatti sono le leggi”. Non
crede che all’interno della maggioranza vi sia la tentazione di brusche
rivincite a danno dei magistrati? “Se
ci fossero sarebbero assolutamente sbagliate. Se vogliamo arrivare ad essere un
Paese normale non ci può essere rivincita. Io sto parlando dallo studio dove
Togliatti firmò l’amnistia per i fascisti. Credo che qualcosa la storia avrà
pure insegnato. Se si vuole la pacificazione non si può e non si deve infierire
da una parte e dall’altra”. Ministro
della Giustizia di un governo presieduto da Berlusconi, che è stato ed è
imputato di processi di Tangentopoli, che è stato spesso fortemente critico nei
confronti della Magistratura. Crede che queste circostanze possano pesare
nell’opera di pacificazione di cui Lei parla? “Posso
osservare che ci sono due leader, Bossi e Berlusconi, che hanno collezionato un
numero impressionante di processi. È un dato. Imbarazzato? Io so che agisco in
buonafede. Chi invece si comporta in malafede, chi è abituato alle
strumentalizzazioni, continua e continuerà a ripetere che io certe cose o certe
proposte le faccio perché ci sono Bossi e Berlusconi in queste condizioni. Io
agisco perché credo in qualcosa”. Lei
propone l’abolizione dei reati di opinione e dei reati di falso in bilancio.
Guarda caso, sono reati legati alle posizioni processuali di Bossi e Berlusconi. “Sfido
qualsiasi democratico a sostenere che in un Paese moderno il codice penale debba
punire le manifestazioni del pensiero e delle idee. Stupisce che in
cinquant’anni nessuno e tanto meno la sinistra abbia pensato di cancellare
norme fasciste. Sul falso in bilancio mi limito a sottolineare che così come
stanno le cose in un qualsiasi momento qualsiasi giudice può contestare
qualsiasi bilancio. Le sembra una situazione di certezza giuridica?”. Come
hanno reagito i dipartimenti della Giustizia all’arrivo di un leghista? “Non
mi pare che vi siano stati particolari pregiudizi. Ho riscontrato soprattutto
negli operatori del settore penitenziario una attenzione particolare: credo che
abbiano percepito, quando ad esempio sono andato a San Vittore o a Poggioreale,
che ero lì con animo sincero, per capire che cosa si può fare di utile e di
importante”. Come
pensa che sia possibile conciliare il principio della sicurezza e della
detenzione con il principio di una detenzione che rispetta i diritti della
persona? “Penso
che si possa fare tantissimo. Primo: nell’ambito della certezza della pena.
Occorre garantire ai detenuti una condizione che tenga presente che si tratta di
uomini e di donne con diritti e doveri. Uomini e donne che non possono essere
umiliati. Che devono pagare per l’errore commesso ma che vanno trattati da
essere umani. Secondo: credo che i detenuti debbano lavorare. Sia nel loro
interesse, sia nell’interesse della società. Per molti si potrebbe aprire la
possibilità di un nuovo futuro e diminuirebbe il rischio di recidiva. La
questione penitenziaria mi sta a cuore. Credo proprio che non delegherò
nessuno. Me ne occuperò in prima persona. Sia per quanto riguarda i detenuti,
sia per quanto riguarda tutti gli operatori penitenziari e i dirigenti i quali
vanno tutelati, ascoltati, aiutati, seguiti”. Nel
programma della Casa delle Libertà si parla di separazione dei ruoli tra
giudici e pubblici ministeri. Come intende affrontare una questione tanto
delicata? “Intendiamo
mantenere un accesso unico in Magistratura ma prevedendo, dopo un percorso
comune, l’immissione in due ruoli distinti. Il cambiamento di ruoli e di
funzione, come ho spiegato nel mio programma, potrà avvenire previa
partecipazione a un concorso al termine del quale sarà valutata l’idoneità
professionale a esercitare la diversa funzione alla quale il magistrato abbia
chiesto di essere attribuito. Il cambiamento di funzioni dovrà comportare
comunque il cambio del distretto giudiziario”. Nelle
scorse settimane si è annunciata la riforma del codice penale nella parte in
cui punisce i reati di vilipendio e di opinione: ha preparato una proposta? “Occorre
ridefinire i reati in base a quanto sia effettivamente offensivo per la gente.
Ci sono alcuni reati che sono ormai usciti dal comune sentire dei cittadini. Mi
riferisco in particolare ai delitti contro la personalità dello Stato, nel cui
ambito sono presenti fattispecie fortemente connotate ideologicamente e
finalizzate all’affermazione di valori conformi al contesto politico -
ideologico in cui sono state pensate e approvate. Si tratta peraltro di un
contesto che poco ha a che fare con il quadro costituzionale repubblicano, che
invece afferma valori come il libero associazionismo, la libertà di opinione e
la libera manifestazione del pensiero. A sostegno d questa tesi si possono
citare, tra l’altro, alcune recenti assoluzioni nella sentenza della Corte
Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 271 del codice
penale. In Consiglio dei Ministri si discuterà presto una mia proposta di
riforma de la materia”. È
favorevole all’amnistia? “No.
Nel nostro programma abbiamo parlato di certezza della pena e una soluzione di
questo genere non va certo in quella direzione”. Sarà
riformata la legislazione penale societaria? “La
riforma del diritto societario è già al vaglio del Parlamento. È la legge
Castelli - Mirone, così l’hanno ribattezzata, non ha fatto in tempo ad
arrivare in aula che già la sinistra si è messa ad accusarci di essere in
conflitto d’interessi. Non è per niente vero. È necessaria invece una legge
chiara e comprensibile che tuteli anche la miriade di artigiani e piccoli
imprenditori a cui, in completa buonafede, capita di sbagliare nella redazione
dei bilanci”. Fra
i problemi urgenti vi è la necessità di introdurre termini precisi per la
giustizia penale. Il Ministero ha in mente una modifica degli articoli che
disciplinano la materia? “Tutto
il rito penale deve essere ricondotto a una durata ragionevole e a tale
proposito occorrerà operare su tre direttrici: da un lato con la fissazione di
termini certi e tassativi per gli atti e gli adempimenti processuali e la
fissazione certa dell’oggetto di istruttoria processuale; dall’altro lato,
con la tassatività dei motivi di appello e l’allargamento delle procedure in
Camera di Consiglio, la previsione di sbarramenti nella reiterazione delle
domande difensive in materia cautelare, l’incremento della sanzione pecuniaria
per l’inammissibilità dei motivi di ricorso per Cassazione. Infine, occorre
procedere a una depenalizzazione più vasta possibile”. Sarà
riformata, e come, la giustizia civile? “L’Italia
è lontanissima dagli standard europei per quel che riguarda la giustizia
civile. Si parla di circa tre milioni di procedimenti arretrati. Le possibili
soluzioni al problema sono due: o si incrementa in modo notevole il numero dei
magistrati, oppure si riduce la loro mole di lavoro. La prima soluzione non è
agevole, oltre a presentarsi come insostenibile dal punto di vista finanziario.
Pertanto, se si vuole agire pragmaticamente, non resta altra strada se non
quella di togliere carico di lavoro al giudice. Intendiamo razionalizzare il
processo, delegando alle parti l’attività istruttoria, assicurando
l’intervento del giudice, oltre che nella fase decisoria, solo su specifiche
istanze istruttorie formulate dalle parti in relazione al materiale documentale
avanzato. La finalità è quella di evitare lo spreco di attività giudiziale e
di stroncare tutti gli interventi dilatori, d’interesse di una delle parti che
abbia convenienza a ritardare le decisioni. Pensiamo anche a un più ampio
ricorso alla cooperazione di profili professionali esterni all’amministrazione
giudiziaria, come il notaio o altre figure. Penso, inoltre, al potenziamento di
tutti gli strumenti extragiudiziari di composizione delle liti, come
l’arbitrato e la conciliazione. Su questo tema ritengo che si debba dare
ulteriore sviluppo a quanto previsto dalla legge 580 del ‘93. Sarà
sicuramente tenuta presente l’esperienza maturata dalle Camere di Commercio,
le quali hanno già sperimentato strumenti atti allo scopo e possono contribuire
a risolvere le difficoltà della Giustizia con effetto deflattivo, potendo
contare su strutture snelle e soprattutto già pronte”. Infine,
uno dei nodi è il sistema di elezione del Consiglio Superiore della
Magistratura. Cambierà? Ci sarà una diversa proporzione fra giudici e pubblici
ministeri? “Premesso
il mantenimento dell’attuale composizione del rapporto tra membri laici e
membri togati, ritengo necessaria una diversa proporzione all’interno della
componente togata fra giudici e pubblici ministeri, in modo da rappresentare il
reale rapporto numerico esistente fra le due componenti. Anche la diversa
rappresentanza dei membri togati del Consiglio deve essere disposta attraverso
una nuova legge elettorale, finalizzata a premiare al massimo le caratteristiche
culturali, professionali, morali, di coloro i quali saranno eletti”.
Castelli: “Riaprire le isole - carcere”. Il ministro in visita a Pianosa: “è stata chiusa per motivi ideologici: miliardi buttati”. Sovraffollamento penitenziario, l’idea del Guardasigilli: “Strutture perfette, qui basterebbe una mano di bianco”.
Il Messaggero, 16 luglio 2001 “Certo, mi piacerebbe tanto poterla riaprire”: così il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha commentato la sua visita a Pianosa, ex isola-carcere e piccolo paradiso sciupato a un tiro di schioppo dall’Elba. Piacerebbe al ministro riaprire il famigerato padiglione “ Agrippa” dove negli anni dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio erano stati trasferiti i boss della mafia condannati al carcere duro. Riaprirlo ma con presupposti diversi: fuori dall’emergenza dalla logica delle carceri speciali e in un quadro di decompressione del sovraffollamento cronico che affligge il sistema penitenziario. In questi giorni il numero dei detenuti ha oltrepassato i 57 mila, su 42 mila posti. “Qui basterebbe una mano di bianco” ha spiegato il ministro ai suoi accompagnatori dopo aver esaminato con occhio pragmatico le condizioni dell’Agrippa, delle caserme, delle case in muratura che ospitavano i detenuti addetti ai lavori agricoli, in un regime di custodia più o meno attenuata e comunque stemperata in una relativa libertà di movimento nell’isola. Abbagliato dalla bellezza del mare e della vegetazione, incuriosito dalla presenza di alcuni carabinieri, agenti penitenziari e guardie forestali. Castelli ha concluso che la chiusura dell’isola-carcere, nei primi mesi del ‘98, è stata una pura operazione ideologica, con annesso spreco di diversi miliardi c abbandono di strutture perfettamente funzionanti, ora in balia dei topi, ideologia che ha avuto la meglio sul pragmatismo, ha proseguito il Guardasigilli, scandalizzato alla scoperta, nei locali ristrutturati e dimessi, di una macchina per il caffè nuova di zecca e di un’altrettanto nuova affettatrice. Quanto costa un’affettatrice?, si è chiesto, scoprendo nel frattempo che l’affascinante Pianosa uscita dal circuito penitenziario è stata spartita tra competenze e responsabilità tra le più disparate: Regione, demanio, comune di Campo e un paio di ministeri. Cose da far tremare i polsi, e Castelli annota che “un paese federale non si costruisce così”. In attesa di precisare una sua eventuale concezione di devolution penitenziaria, il Guardasigilli leghista ha visitato in lungo e in largo la Pianosa splendente e senza più traccia di quell’aura ferina che l’aveva fatta soprannominare “l’altro mondo”. Lontane le rivolte, vuote le celle costruite come gabbie, con le brande sulla nuda terra, via i boss, furibondi per l’isolamento dai loro territori mafiosi e i poliziotti vessati da lunghissimi inverni battuti dai venti e dalle onde. Per i processi si andava in elicottero e negli anni di piombo la convivenza tra vertici della criminalità organizzata, brigatisti e terroristi neri, sfiorò culmini da mattanza. Tutto dimenticato, anche il parco, che nelle buone intenzioni doveva sostituire lo “speciale” incastonato nel mare toscano. Parco che invece funziona alla Gorgona, isola - carcere aperta alle visite, dove i detenuti lavorano anche allevando orate da vendere ai mercati in continente. Niente di meglio della Pianosa, dunque, per avviare il progetto - decompressione. In questo Castelli è stato chiaro, all’uscita da Poggioreale, metafora del sovraffollamento. Il ministro ha detto che “l’amnistia indiscriminata non è nella nostra logica, ma bisogna tornare a una popolazione detenuta fisiologica e non patologica come ora. Mi sto impegnando a trovare soluzioni, visto che per costruire nuove carceri ci vogliono anni”. Visto che Pianosa è già lì, e che il ministro dice di aver sentito raccontare che gli ultimi detenuti l’hanno lasciata con le lacrime agli occhi “per finire nelle celle delle città, a non fare niente tutto il giorno”. Convinto che il lavoro in carcere è centrale nel trattamento e cruciale per il reinserimento, Castelli ha guardato con occhio critico e professionale (da ingegnere) anche l’ingresso di uno dei laboratori del carcere di Bollate, che sarà una sorta di “San Vittore 2”. Da questo portone, ha commentato, un camion non ci passa. Prossime tappe: esaminare la situazione dell’altra ex isola - carcere e parco fallito, l’Asinara: visitare l’Ucciardone e studiare il caso – Umbria, la sola regione italiana in cui lavora il 47 per cento dei detenuti. Lavoro “forzato” per i detenuti
L’Unità,
25 luglio 2001 Tutti in Siberia ai lavori forzati. Ecco la ricetta del neoministro della Giustizia Roberto Castelli per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. “Occorre stabilire il principio che la pena vada scontata con l’obbligo del lavoro - dice Castelli che aggiunge - il lavoro a mio avviso è un vaccino importante contro la tendenza a delinquere, è una valida medicina per recuperare chi ha già sbagliato. Stare tutto il giorno in cella a far niente è controproducente e si rischia di uscire dai penitenziari peggiori di come si è entrati”. Il lavoro deve inoltre rispondere “il più possibile ad un’effettiva utilità sociale, tale da costituire un concreto risarcimento che il condannato deve corrispondere alla società. Di qui la proposta del guardasigilli di legare “all’effettuazione di un’attività lavorativa principalmente la possibilità di accedere alle pene alternative e alla liberazione anticipata e condizionale”. Insomma o lavori oppure non esci. E questo nonostante il codice attualmente preveda come requisito per accedere alle pene alternative il raggiungimento di determinati termini previsti per uscire dal carcere e la buona condotta. Il tutto è chiaramente rimesso alla discrezione del magistrato di sorveglianza. È evidente, dunque, l’intenzione del nuovo Governo di affondare la legge Gozzini, normativa portante dell’ordinamento penitenziario e da molti considerata una grande conquista di civiltà giuridica. Ma il ministro non si ferma qui. Parlando di giustizia penale spiega che se si stabiliscono “tre certezze, quella del reato, del processo e della pena, automaticamente si assicura anche la sicurezza”. Una bella soluzione, che lascia l’ex sottosegretario alla giustizia Franco Corleone di stucco, “Cos’ha fatto il ministro in questo mese che non ha parlato? Un corso di banalità? Perché noi, invece, volevamo non perseguire i reati, oppure non far espiare la pena?”. E aggiunge “Castelli sta dimostrando di non sapere nulla sul carcere”. Per Corleone, infatti, il ministro vorrebbe una legge, come quella del lavoro coatto, che è non solo illegittima, ma altresì incostituzionale. Ma non è solo sul lavoro che il Governo intende puntare per affrontare la questione carceraria e soprattutto il sovraffollamento che vede 57 mila detenuti ristretti in strutture attrezzate per ospitarne 45 mila. “Alcune situazioni sono al limite della sopportabilità”, ha sottolineato il ministro, che si è detto molto perplesso dalle scelte compiute dai governi precedenti su questo fronte: “Sono anni che da un lato sentiamo dire che le carceri scoppiano e dall’altro mi sono trovato di fronte a un programma di chiusura di venti penitenziari, tuttora in funzione. Il caso di Pianosa, poi, mi pare clamoroso: ho potuto verificare di persona che è stata abbandonata una struttura, non solo perfettamente funzionante, ma anche in grado di far lavorare i detenuti”. Si tratta di un vecchio carcere speciale, che insieme a quello dell’Asinara venne chiuso da un’apposita legge perché teatro di violenze e maltrattamenti da parte dei secondini. Ma la ricetta per sfoltire le carceri, oltre ai lavori forzati e alla riapertura di luoghi degni da film dell’orrore, punta anche sul rimpatrio degli extracomunitari attualmente detenuti per piccoli reati e la creazione di circuiti penitenziari differenziati. Che significa regimi rigorosi per rei di gravi crimini e regimi meno severi per altri. “Utile - per Castelli - è un circuito per la custodia attenuata destinato a detenuti di scarsa pericolosità e bisognosi di trattamenti particolari”, come i tossicodipendenti e i malati psichici. Un’altra bella soluzione. Peccato che sia già prevista dalla legge attuale e in funzione già in molti istituti. “Con le leggi attuali si possono risolvere tutti i problemi legati al carcere - spiega Corleone - il problema è che non tutte vengono sviluppate. Occorrono risorse e disponibilità degli operatori carcerari e anche della magistratura di sorveglianza, restia alla concessione di misure alternative anche in casi in cui non c’è pericolosità”. Opinione condivisa anche da Giovanni Russo Spena, deputato di Rifondazione comunista, che da anni si occupa di problemi legati al carcere e che aggiunge “Sono d’accordo sulle misure alternative, ma c’è bisogno anche dell’amnistia e dell’indulto”.
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