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Intervista
a Don Giorgio Caniato
Avvenire, 8 Luglio 2001 Un anno fa il Giubileo delle carceri. Era il 9 luglio del 2000, quando il Papa oltrepassò il portone di Regina Coeli e idealmente quelli di tutte le prigioni del mondo. Per portare speranza alle persone finite dietro le sbarre, ma anche ai loro sorveglianti, agli educatori, ai volontari. “E stato il Giubileo nelle carceri, non solo delle carceri”, sottolinea infatti monsignore Giorgio Caniato, Ispettore generale dei cappellani penitenziari. Un gesto e un messaggio forti che hanno travalicato le mura spesse delle prigioni per riversarsi nel mondo “chiuso fuori”. Aprendo finalmente un canale di comunicazione tra carcere e società: “Da quel giorno il modo di guardare e di pensare la realtà carceraria non è più lo stesso”, assicura monsignore Caniato. Che cosa è cambiato? Il discorso del Papa e quelli dei vescovi hanno scosso le coscienze. Adesso c’è più conoscenza e più attenzione nei confronti di questa realtà, che in genere si tende a rimuovere. Anche a livello istituzionale si registra una disponibilità maggiore a riflettere sull’argomento e sui tanti problemi complessi, insomma, ci si è accorti che il carcere è parte integrante della società, non un mondo a parte. Anche la richiesta di una moratoria universale delle condanne a morte è nata con il Giubileo? Esattamente. E i diversi Stati che in quest’ultimo anno hanno aderito dimostrano l’esistenza di quello "scatto" di sensibilità di cui parlavo. Il Papa, inoltre, aveva invitato i governanti di tutto il mondo a compiere un gesto di clemenza? Sì, un piccolo segno di buona volontà per donare ai detenuti un po’ di speranza nel domani, perché se a questa gente togliamo anche la fiducia nel futuro... Comunque
ben 13 Stati hanno accolto la sollecitazione, concedendo uno sconto di pena ai
reclusi. Uno sconto leggero, per lo più si è trattato di qualche mese, ma
assai importante per il significato che ha. Quali Paesi hanno aderito? Tra loro figurano l’Ecuador, la Guinea equatoriale, il Perù, le Filippine, la Repubblica slovacca, il Paraguay, la Repubblica centroafricana, la Spagna, il Malawi, il Madagascar, la Nigeria. Altri 14 Stati, poi, hanno assicurato che ci avrebbero riflettuto. In Italia se n’è parlato tanto, alimentando
aspettative e proteste tra la popolazione carceraria, ma alla fine non si è
fatto niente. Allora
io dico, il Parlamento appena eletto non potrebbe tornare a pensarci su? Tenendo
conto che nella scorsa legislatura non si è voluto o potuto concedere né
amnistia né condono, che il governo attuale ha già fatto sapere di essere
ugualmente contrario, è il caso forse di spiegare ancora una volta che il Santo
Padre non intendeva entrare in scelte di questo tipo. Ha soltanto auspicato un
piccolo segno di clemenza: dal punto di vista giuridico si potrebbe pensare
all’istituto della “riduzione di pena" o "liberazione
anticipata", cioè qualche mese in meno da scontare per tutti i detenuti.
Niente a che vedere con l’amnistia, né con l’indulto, parziale o totale che
sia. Per: capirci, in questo caso non sarebbe necessaria la maggioranza dei due
terzi dei Parlamento per l’approvazione: comunque, a scanso d’equivoci,
preciso che il Giubileo è un’altra cosa. In che senso? Nel
senso che non vorrei essere annoverato tra quelli che hanno ridotto questo
grande evento spirituale al dibattito sul gesto di clemenza. Posso garantire che
noi, in carcere, abbiamo celebrato veramente il Giubileo nell’incontro con il
Signore e siamo spinti a continuare a farlo anche senza amnistie, condoni o
altri provvedimenti. E la vita quotidiana dentro il carcere è cambiata? Purtroppo le condizioni di vita restano difficili, problemi come il sovraffollamento e l’inadeguatezza delle strutture non si risolvono in pochi mesi. Però i progetti per migliorare sono tanti e, ripeto, mi pare che da parte delle istituzioni ci sia maggiore attenzione rispetto al passato. C’è soltanto da rimboccarsi le maniche.
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