Franco Corleone

 

La dilazione fa male

 

 Il Manifesto, 29 giugno 2001

 

L’Italia è sotto osservazione da parte del Comitato europeo per la prevenzione della tortura da dieci anni. La prima visita di questo organismo del Consiglio d’Europa fu effettuata nel marzo ‘92 negli istituti di pena di Milano, Roma, Napoli e nelle celle di sicurezza delle caserme dei carabinieri e dei commissariati di polizia. Il Rapporto su tali ispezioni fu reso ufficiale solo nel ‘95, e fu pubblicato dall’editore Sellerio.

Il volume “Rapporto degli ispettori europei sullo stato delle carceri in Italia” riportava anche un’intervista di Enrico Deaglio al direttore di San Vittore, Luigi Pagano, per commentare i rilievi del CPT e descrivere la realtà del carcere dopo tre anni dall’ispezione. Proprio il clamoroso ritardo tra l’ispezione e la pubblicazione del Rapporto consente alcune riflessioni sulla qualità della collaborazione tra i governi e il Comitato.

Questo compì una nuova visita nel novembre ‘95, e allora il tempo di autorizzazione alla pubblicazione si ridusse a 16 mesi grazie alla denuncia di Fuoriluogo, che pubblicò nel giugno ‘97 alcuni stralci del documento per farne conoscere i contenuti e spingere il governo italiano alla risposta indispensabile per la conclusione della procedura prevista.

Oggi siamo di fronte al terzo Rapporto, e rischia di riprodursi lo stesso schema di risposte parziali ed elusive che hanno il sapore della tentazione di guadagnare tempo. D’altronde le contestazioni puntuali di una determinata realtà perdono sicuramente efficacia dopo uno o due anni, perché il mancato recepimento dei rilievi può sempre essere giustificato dall’insorgere di nuove emergenze. Da questo punto di vista l’atteggiamento delle amministrazioni interessate spesso si caratterizza per miope chiusura e giustificazionismo burocratico, laddove sarebbe funzionale al cambiamento e alla trasparenza una collaborazione efficace e una rapidità di discussione pubblica. Certo, se uno Stato trascura sistematicamente le raccomandazioni del CPT quest’ultimo può emettere una dichiarazione pubblica sulle inadempienze. Finora tale censura è stata utilizzata nei confronti della Turchia. Il fatto che vi siano paesi che hanno una realtà penitenziaria in cui diritti e garanzie sono altamente deficitari non autorizza paesi come l’Italia a sentirsi in una botte di ferro. Le grandi questioni come il sovraffollamento, l’insufficienza delle attività trattamentali, la fatiscenza delle strutture, la formazione del personale costituiscono lo sfondo delle riflessioni e dei suggerimenti del CPT e sono state oggetto di confronto politico e culturale assai acceso in Italia. Ora si è conclusa una stagione contraddittoria ricca di elementi riformatori (dall’approvazione del nuovo regolamento di esecuzione delle pene, alle leggi sulla salute e sul lavoro, a quelle sull’incompatibilità della detenzione per i malati gravi e per le detenute madri fino alla legge Simeone - Saraceni) e insieme caratterizzata da provvedimenti di carattere sicuritario.

Il Rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione elaborato dall’associazione Antigone, l’Annuario sociale del Gruppo Abele, gli scritti di Adriano Sofri, le testimonianze del volontariato costituiscono una base di conoscenza che rafforza le indicazioni del Comitato europeo.

Nel rapporto vi sono alcuni punti specifici di contestazione su cui le risposte permangono evasive e opache: le condizioni degli immigrati nei centri di detenzione temporanea, il regime speciale del 41 bis, i casi di maltrattamenti e violenze e, infine, il destino degli ospedali psichiatrici giudiziari. È indispensabile un salto di qualità nell’esame del Rapporto del Comitato del Consiglio d’Europa attraverso un dibattito parlamentare che ne riconosca l’autorevolezza, l’impossibilità a sottrarsi alle sue indicazioni e quindi impegni forze politiche, amministrazione e governo ad adempiere ai suggerimenti ripetuti ormai ossessivamente. Solo così quella che oggi si caratterizza come una sanzione morale, resa quasi inefficace per la mancanza di pubblicità, si potrà trasformare in un elemento di denuncia politica di fronte all’Europa.

 

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