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Presentazione dell'Associazione
L’associazione "Il granello di senape" si è costituita nel 1996, con l’obiettivo di sviluppare una maggiore attenzione e una più forte solidarietà nei confronti dei detenuti, favorire il loro reinserimento sociale e garantire eventuale sostegno a loro e alle loro famiglie.
L’associazione si è impegnata e si impegna sia a Padova che a Venezia, soprattutto all’interno del carcere femminile della Giudecca, a raggiungere le seguenti finalità:
I problemi del carcere oggi
Siamo consapevoli che l’amministrazione carceraria e più in generale quanti sono chiamati a gestire la fase della pena continuano a incontrare notevoli difficoltà nel produrre una qualche forma di cambiamento finalizzato alla funzione di positivo inserimento del detenuto nella società esterna. Il mutamento ipotizzato nella riforma avrebbe imposto infatti un salto qualitativo e culturale sul modo di intendere l’esecuzione della pena, ma avrebbe anche richiesto una revisione ed un adeguamento delle strutture, l’utilizzo di strumenti idonei di intervento, una riqualificazione del personale e molti altri impegni. Nel frattempo le condizioni della popolazione carceraria sono gravemente peggiorate e l’emarginazione degli ex detenuti è aumentata; si tratta spesso di soggetti giovani, donne e uomini per lo più privi di qualificazione professionale con evidenti difficoltà di inserimento che trovano ad accoglierli una società sempre più competitiva ed ostile. Il disagio mentale, la tossicodipendenza, la marginalità, gli effetti del fenomeno migratorio e il suo portato di incomunicabilità, differenza e rifiuto, sono alcune delle caratteristiche più evidenti, sia in termini statistici che di problematicità, all’interno delle mura del carcere. Questo è il carcere nel cui ambito cresce la percezione dell’indistinta inutilità, dell’assenza di un riscontro positivo della propria attività, e tutto ciò con risvolti drammatici anche per il territorio; il sistema penitenziario non è un sistema avulso dal macrosistema sociale e disattendere, o peggio, negare questo legame non può che determinare ripercussioni negative in termini di restituzione sociale. Il carcere deve quindi ripensarsi come un servizio in una rete di servizi; il carcere deve saper accogliere gli operatori esterni che istituzionalmente intervengono ma anche i volontari che lo vogliono frequentare e conoscere. Volontariato e ruolo delle istituzioni
Lo sviluppo, l’interesse e la partecipazione attiva del volontariato non potrà mai sostituire l’intervento pubblico ma piuttosto potrà esserne complementare e va perseguito perché diviene, a mio parere, ogni giorno più prezioso per raggiungere quegli obiettivi per i quali l’impegno e l’organizzazione pubblica sono talvolta più in difficoltà. Volontariato è risposta positiva ad una domanda diffusa di solidarietà, che è tanto più intensa quanto più grandi sono le difficoltà che caratterizzano la vita dei singoli e dei gruppi; volontariato è la parte positiva di una società conflittuale che genera malessere ed emarginazione; volontariato anticipa, integra, completa, sostiene l’opera istituzionale senza mai prevaricarla ne sostituirla. Volontariato non come risultato di uno stato assistenziale, ma piuttosto come portato di uno "stato di diritto a fini sociali", ultima spiaggia dopo la grave crisi del welfare, e prodotto dell’attenzione e della generosità di coloro che sono consapevoli di appartenere ad un "unicum" e che sanno come il benessere dei singoli assicuri spesso il benessere di tutti. Credo infatti nella concezione di uno stato partecipato dove tutte le persone, i cittadini, sono membri attivi di una comunità e non soggetti passivi di un intervento; in questo nuovo concetto di stato l’esecuzione penale non è più compito esclusivo dell’amministrazione penitenziaria ma diviene piuttosto espressione delle politiche sociali in cui i cittadini sono chiamati a farsi carico di una esecuzione penale rinnovata nei suoi principi, nei suoi valori e prospettive e che avverte la necessità di coordinarsi e di integrarsi con il sistema locale dei servizi. Sono convinta che occorra pensare, realizzare e potenziare la rete dei servizi, senza confusione di ruoli e competenze, come risorsa capace di occuparsi dei bisogni più diffusi, tipica di uno stato sociale che vuole prendersi cura anche dei propri cittadini più deboli e contro uno stato-mercato o uno stato-impresa in cui prevale la legge del più forte ed il debole diviene sempre più debole. Tutti i protagonisti di questa impresa, enti locali, privato sociale e volontariato devono farsi quindi portatori ed esigere una nuova cultura di disponibilità, solidarietà, assunzione di responsabilità e collaborazione basata sulla capacità di programmare insieme e di interagire reciprocamente. I danni creati dalla repressione pura
E' sempre necessario ribadire che la repressione pura e semplice non è mai stata in grado di risolvere i problemi, ma al contrario li ha aggravati, facendo talvolta del carcere un luogo di emarginazione e di delinquenza, per di più costoso e di difficile gestione. Occorre cominciare a pensare insieme e sempre di più alla pena utile, produttiva, utilizzando le strutture penitenziarie con grande attenzione ed insistere piuttosto su sanzioni non detentive, più idonee e basate su percorsi individuali di recupero sociale quali l’affidamento al servizio sociale, la semilibertà, la libertà controllata, il lavoro sostitutivo, in cui all’opera di controllo si affianca anche quella di aiuto. Tra gli ultimi degli ultimi
Quello penitenziario è un volontariato che pochi si sentono di affrontare: i condannati sono "ultimi fra gli ultimi", talvolta chiusi e ostili, in posizione di difesa, come capita a chi si sente isolato e rifiutato. È un volontariato spesso difficile e a primo acchito poco gratificante poiché implica la partecipazione al dolore, alla disperazione di chi ha commesso reati e si sente riprovato, emarginato e solo; un volontariato che non si occupa dei "buoni" ma dei condannati, di coloro verso i quali più spesso vanno sentimenti di riprovazione e timore. Come associazione ci siamo impegnati a creare possibilità di impiego di manodopera in attività sia all’interno che all’esterno del carcere, a coadiuvare così la possibilità di riconoscere ai detenuti coinvolti l’impegno e la volontà di giungere alla libertà anticipata nel tentativo di restituire loro pari opportunità e dignità. Siamo, infatti, certi che perseguire questo obiettivo possa migliorare la situazione almeno di alcune persone, possa dare maggiore visibilità al sistema penitenziario e renderlo più utile per la società e gli individui, convinti come siamo che un carcere più attento alle persone ad esso affidate non possa che consentire a queste di sviluppare, a loro volta, una positiva relazione umana.
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