Forum: vittime dei reati

 

Da un agente di Polizia Penitenziaria

"dimenticate chi soffre a causa dei vostri reati..."

 

Vi scrivo in merito all’articolo:

“Com’è duro per un detenuto incontrare il proprio figlio in carcere”, apparso sul n° 3 della vostra rivista e firmato da un non meglio identificato Gianni.

Detto articolo, come sempre i vostri, è palesemente strumentale e volto ancora una volta a creare un alone di pietà attorno alla vostra figura, normalmente posta come e più di quella delle vittime.

Innanzitutto chi firma un articolo, per quanto fasullo possa essere, dovrebbe avere il coraggio di firmarsi per esteso (Gianni chi?), poi non dovrebbe limitarsi a raccontare soltanto i disagi che provoca un provvedimento restrittivo in carcere, ciò perché è bene ricordarlo, in carcere vengono recluse persone che commettono reati e che quindi scelgono volontariamente un tipo di vita, assumendosi tutti i rischi ad essa connessi.

Personalmente, al posto di Gianni, che si lamenta delle condizioni dei colloqui in carcere con i minori, mi soffermerei di più con i bambini, figli delle vere vittime, figli di tutte le persone innocenti che magari solo per poche migliaia di lire, sono state ammazzate dai nostri “poveri criminali”.

Credo che quei bambini neanche nel migliore dei propri sogni abbiano la possibilità di incontrare il padre per sei volte al mese in una “squallida” (a vostro dire) saletta.

Quindi quando ‘sto Gianni dichiara: “Non basta essere detenuto chiuso, limitato, ristretto nei propri diritti, ma c’è anche il pensiero sofferente che lo accompagna per i propri cari ...”, guardi poco più in là del proprio naso e pensi al dolore dei familiari delle vere vittime da lui causate, o forse Gianni si aspettava un premio per la sua illiceità?

Tenga presente anche che la nostra Costituzione limita la libertà del singolo per garantire la libertà della collettività. Ed ancora, riguardo al fatto che non ha conversazioni lunghe ed esaurienti con gli Agenti di Polizia Penitenziaria, egli omette di scrivere che normalmente vige un codice comportamentale non scritto ove il detenuto che dialoga troppo con l’agente è considerato un “confidente infamone”. Il tutto affinché Gianni riesca ad avere più ampi orizzonti.

 

Intervento firmato

 

Risponde Ornella Favero, coordinatrice di Ristretti Orizzonti...

 

Quando abbiamo cominciato a progettare questo giornale, due sono stati i temi che hanno impegnato più a fondo, e in modo a volte conflittuale, la redazione.

La necessità di affrontare, sulle pagine di Ristretti Orizzonti, anche argomenti che sono considerati spesso tabù in carcere (i pentiti, i reati commessi in regime alternativo al carcere, etc.), e l’esigenza di confrontarsi in modo chiaro e corretto con tutti quelli che hanno a che fare col carcere, e quindi anche con chi al suo interno si occupa della questione più scottante, la custodia.

È per questo che abbiamo deciso senza esitazioni di pubblicare le prime lettere che ci hanno inviato due agenti, e ci fa piacere continuare il confronto, anche aspro, ma senz’altro utile, che abbiamo iniziato nel giornale già da tempo.

Ci scrive il primo agente che l’articolo che, nel numero dedicato alle famiglie dei detenuti, parlava del rapporto fra genitori detenuti e figli molto piccoli è “palesemente strumentale”, perché chi l’ha scritto al figlio avrebbe potuto pensarci prima di delinquere, e ora dovrebbe piuttosto riflettere sul “dolore dei familiari delle vere vittime da lui causate”. Vorrei subito spiegare chi è Gianni, l’autore dell’articolo in questione.

Gianni non ha firmato con il suo cognome perché non tutti, nella sua famiglia, sanno della sua detenzione, però Gianni non è un criminale incallito che ha seminato vittime sul suo percorso, è una persona “dentro” per reati amministrativi, come ce ne sono, e più di quanti si pensi, in carcere. Ho il sospetto che per motivi analoghi molte delle cosiddette persone “oneste” avrebbero potuto avere la stessa sorte, ma sono state più furbe.

Questo mi serve per sottolineare anche che traspare, dalla prima lettera, l’idea che i detenuti siano tutti criminali sadici e incuranti delle vittime. Nel caso di Gianni, per esempio, ma anche in altri casi, questo punto di vista si dimostra poco obiettivo, così come non penso sia obiettivo il giudizio dato del nostro giornale, che non mi sembra affatto “volto a creare un alone di pietà” intorno ai detenuti né intento a parlare di “poveri criminali”.

È un giornale che tenta, naturalmente con fatica, di parlare di detenuti senza scadere nell’autocommiserazione e senza dare un quadretto idilliaco della realtà di chi è “ristretto” in carcere. Anzi, da questo punto di vista, non abbiamo mai cercato di attirarci le simpatie di nessuno, e tanto meno di chi si aspetterebbe da un giornale fatto in carcere degli articoli “carcerariamente corretti”, cioè tutti tesi ad accogliere non tanto le legittime critiche al carcere così com’è, quanto vittimismi o nostalgie per il carcere più “virile” e solidale del passato.

 

 

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