Roberto Feltrin

 

A Milano il progetto Sabil si occupa soprattutto di stranieri

clandestini tossicodipendenti e alcoldipendenti

 

(Realizzata nel mese di luglio 2001)

 

A cura di Omar Ben Alì

 

Fra i tanti problemi, la scarsa consapevolezza degli interessati sui rischi della tossicodipendenza, decisamente sottovalutati

 

La diffusione dell’uso di sostanze stupefacenti tra gli immigrati clandestini è un fenomeno recente e molto difficile da interpretare. Difficile è anche capire quanti ragazzi immigrati abbiano questo problema, anche per il fatto che gli stranieri sono disinformati sul loro diritto alla salute e quindi si rivolgono poco alle strutture, pubbliche e del privato sociale, che si occupano di tossicodipendenza e alcoldipendenza. Noi di Ristretti raccogliamo informazioni sulle esperienze di chi opera in questo ambito, anche per metterle poi a disposizione di chi ne ha bisogno. In questo numero presentiamo il progetto Sabil, con un’intervista a Roberto Feltrin, che ne è il responsabile.

 

Come è iniziata la vostra attività di assistenza ai tossicodipendente clandestini?

La nostra attività è cominciata nell’estate 1998 per iniziativa del Comune di Milano e grazie ai fondi stanziati dalla legge 309/90 sulle tossicodipendenze, sollecitata dalla rilevanza che il problema della tossico e alcoldipendenza tra gli stranieri cominciava ad assumere nella città di Milano. Allo scadere della convenzione con il Comune, il progetto è stato riapprovato e finanziato dalla regione Lombardia per un ulteriore triennio, a partire dall’inizio del 2000.

Il progetto in realtà non si rivolge solo a stranieri clandestini, ma ad utenti cosiddetti extraterritoriali, vale a dire tutti coloro che per i motivi più diversi vivono a Milano pur non avendovi la residenza e quindi la possibilità di accesso ai servizi: di fatto però, fin dall’inizio, l’utenza straniera ha rappresentato circa il 90% del totale.

Essendo il servizio finalizzato alla riduzione del danno, l’accesso è a bassa soglia: nei limiti del possibile, viene accolto chiunque si presenti nel momento stesso in cui si presenta, vale a dire senza appuntamento né requisiti per l’accesso.

 

Quali servizi fornite, in concreto, a coloro che si rivolgono alla vostra struttura?

Le prestazioni sono innanzitutto di natura sanitaria:

interventi medico - farmacologici per il controllo della sintomatologia astinenziale;

terapia disintossicante per chi lo desidera (con farmaci sintomatici o invio concordato ad un Ser.T. per il trattamento con farmaco sostitutivo);

visita medica in loco ed esami ematochimici in strutture convenzionate (ubicate in prossimità del nostro ambulatorio);

visite ed esami specialistici in altre strutture sanitarie della rete di intervento;

educazione sanitaria per la prevenzione delle malattie infettive correlate alla tossicodipendenza, sia individuali a chi si rivolge al nostro centro, sia di gruppo (per utenti e operatori) presso i centri di prima e seconda accoglienza, di pronto intervento, di aggregazione e così via.

A questi si aggiungono interventi, sempre più frequenti, di assistenza sociale e di formulazione di programmi riabilitativi, spesso supportati dalla consulenza legale per aspetti sia amministrativi (legati al permesso di soggiorno) sia penali. Da quest’anno è stato avviato anche un servizio di sostegno psicologico per chi ne abbia bisogno, o ne faccia richiesta.

A questo nucleo centrale di prestazioni del progetto, si sono aggiunte nel corso del tempo altre attività o progetti collaterali. Più che convenzioni, abbiamo definito degli accordi di collaborazione con alcune realtà pubbliche e del privato sociale, che sono così diventate risorse di rete (un ospedale per i ricoveri, tre strutture pubbliche per gli esami ematochimici e di diagnostica strumentale, due comunità, alcuni centri di assistenza sanitaria del privato sociale).

 

Per quella che è la vostra esperienza, quali sono i motivi per cui i Ser.T. spesso si rifiutano di assistere i tossicodipendenti clandestini?

Il problema dei Ser.T. nei confronti degli stranieri irregolari penso sia riconducibile a tre fattori.

Il primo d’ordine amministrativo-economico: se la Regione (e perciò l’A.S.L.) non li autorizza esplicitamente, la decisione di aprire il servizio anche agli irregolari diventa un atto arbitrario e discrezionale del responsabile. Alcuni l’hanno fatto, altri aspettano direttive più precise.

Richiamandoci alla legge nazionale sugli stranieri, laddove parla del diritto all’assistenza sanitaria per cure urgenti ed essenziali, abbiamo interpellato la Regione Lombardia chiedendo un pronunciamento sull’interpretazione (estensiva o restrittiva) di questo diritto: dopo alcuni mesi la Regione Lombardia ha risposto con una circolare che sancisce il diritto alla cura presso i Ser.T., ma anche presso le comunità terapeutiche, per gli stranieri tossicodipendenti anche se irregolari.

Questa novità non è ancora a regime, ma ormai i Ser.T. milanesi cominciano ad essere accessibili anche agli irregolari (magari ancora con qualche difficoltà), per cui non abbiamo fatto sondaggi o mappatura dei Ser.T. disponibili perché in teoria ed in previsione dovrebbero esserlo tutti quelli della Regione Lombardia. Per le altre Regioni non so, ma il precedente della Lombardia potrebbe essere utile anche altrove.

Un secondo fattore di resistenza è la cronica carenza di personale che affligge molti Ser.T., per cui nessuno vede di buon occhio un aumento del carico di lavoro senza le risorse per farvi fronte.

Da ultimo, direi che contribuisce la paura che tutti hanno rispetto alle novità e alla diversità: lo straniero è uno sconosciuto che richiede un ulteriore sforzo di comprensione - in un lavoro già difficile - e non si tratta solo di un problema di lingua. In Lombardia, l’A.S.L. di Milano, in collaborazione con il CAD - progetto SABIL ed altri, ha attivato un corso biennale su stranieri e tossicodipendenze rivolto a operatori dei servizi privati e pubblici.

 

Che voi sappiate, esiste una ricerca regionale di questo tipo, effettuata in qualche parte d’Italia, o addirittura una mappatura a livello nazionale sulle strutture che danno assistenza sanitaria agli stranieri non in possesso del permesso di soggiorno?

Non sono a conoscenza di mappature nazionali di servizi d’assistenza sanitaria per stranieri irregolari, però ho appena trovato l’indirizzo di questo sito interessante:

briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/2000/aprile/guida-assistenza-sanitaria.html.

 

Quali sono i problemi principali che dovete affrontare nello svolgimento del vostro lavoro?

Mi chiedete le principali difficoltà che incontriamo nel nostro lavoro:

fino a ieri, l’inaccessibilità dei servizi, pubblici ma anche privati (le comunità, per intenderci) perché questi ultimi sono pagati dal Pubblico;

la reale mancanza di prospettive e quindi il rischio di ricadute e reati per chi non ha il permesso di soggiorno;

la difficoltà anche di fare programmi riabilitativi con gli irregolari, visto che al termine non ci sono possibilità di inserimento socio-lavorativo;

la scarsa consapevolezza degli interessati sui rischi della tossicodipendenza, decisamente sottovalutati, a fronte di altri bisogni ritenuti primari e più urgenti;

la mancanza di una rete relazionale di sostegno (le famose "comunità straniere" non esistono, almeno a Milano, e quando esistono non vogliono saperne dei connazionali "drogati o detenuti");

l’indisponibilità degli interessati a prendere in considerazione progetti di rientro temporaneo al paese d’origine per poter tornare in Italia legalmente (nessuno vuole tornare se non ha fatto i soldi). La precarietà del nostro stesso progetto, anch’esso subordinato a un finanziamento pubblico.

 

E così via, ma credo che possa bastare.

 

 

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