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Sezione a custodia attenuata Facciamo il bilancio di un anno di attività con il primario del Ser.T. 2 di Padova, dottor Renato Bricolo
(Realizzata nel mese di gennaio 1999)
A cura della Redazione
Da circa due anni al "Due Palazzi" è stata attivata una sezione a custodia attenuata per tossicodipendenti. un progetto realizzato, grazie anche ad un finanziamento della Regione, dal Ser.T. di Padova in collaborazione con la direzione e gli operatori del carcere. Si tratta di un’esperienza che ha corrispettivi in molte carceri italiane: una sezione viene regolamentata in maniera diversa rispetto allo standard penitenziario, ma diversa anche dal modello delle "comunità terapeutiche" per il recupero dei tossicodipendenti. Ovviamente il regime carcerario pone dei limiti a questa impostazione, ma nonostante ciò la flessibilità degli orari rimane notevole, permettendo ai compagni che ne usufruiscono di vivere giornate più "piene": 15 ore di vita comunitaria, contro le sei circa delle sezioni comuni, Durante il giorno sono organizzate attività che mirano a far ritrovare ai detenuti il corretto rapporto con il proprio corpo ed in generale un buon equilibrio, psicofisico: corsi di ginnastica, laboratorio artigianale (con produzione di oggetti in ceramica), e gruppi di "auto aiuto" simili ai club di alcoolisti in trattamento. Lo scopo di tutto questo è soprattutto aiutare i tossicodipendenti, che sono prossimi a uscire dal carcere, a non vivere in modo traumatico questa uscita. ma piuttosto a riorganizzare al meglio possibile la propria vita fuori, nella società. Dopo averne incontrato alcuni operatori, abbiamo avuto di recente un cordiale confronto con il primario del Ser.T. 2 di Padova, dott. Renato Bricolo, che non si è fatto pregare nel fornirci informazioni sulla nascita del progetto della custodia attenuata e ha iniziato insistendo particolarmente sull’importanza dello sport come mezzo per riacquistare interesse alla vita e capacità di darsi delle regole: "Chi usa droga ha una percezione scorretta del proprio corpo. Il tossicodipendente sperimenta infatti soltanto due condizioni: il tremendo malessere dell’astinenza, una vera tempesta di dolore, o lo stato di "anestesia" prodotto dallo stupefacente. Quando viene arrestato subisce uno shock, che può essere in qualche modo utilizzato per riorganizzare la sua personalità, L’esercizio fisico diventa allora un mezzo di rieducazione ed inoltre stimola la produzione di endorfine, sostanze che diminuiscono la sensazione del dolore dando un benessere generale all’organismo. Per questo lo sport è coadiuvante nella terapia della depressione. da tempo si parla di queste metodologie, e risale a circa 10 anni fa il primo convegno internazionale che ne parlò approfonditamente". Il dott. Bricolo, che già allora si occupava di tossicodipendenze lavorando nel carcere di Verona, crede fortemente nella validità di questo modo di affrontare il problema e sta cercando di coinvolgere in esperienze analoghe a quella della sezione a custodia attenuata un maggior numero di detenuti. Gli abbiamo posto alcune domande.
Con quale criterio sono stati selezionati i detenuti ammessi alla custodia attenuata? Il progetto è stato ideato per un gruppo di 30-35 persone. Uno dei requisiti è un "fine pena" compreso tra uno e cinque anni, in modo da poter fare uscire questi detenuti in affidamento dopo una preparazione di 6-12 mesi, perché lo scopo principale di questa esperienza è proprio predisporre un programma per il reinserimento nella società di queste persone.
Il Ser.T. si occupa dei detenuti tossicodipendenti anche al di fuori della sezione a custodia attenuata. Con quali interventi? Quando una persona che si dichiara tossicodipendente entra in carcere, il medico penitenziario avverte subito un operatore del Ser.T. che interviene con rapidità. All’arrestato viene proposto un esame delle urine per accertarne l’effettiva condizione di consumatore di droga. Il 70-80% accetta di sottoporsi all’esame. Questo è necessario per evitare il rischio che persone estranee all’uso di droghe mentano (per sostenere particolari linee di difesa) e si trovino in seguito in difficoltà, non potendo più provare il contrario allorché si trovano ad essere svantaggiate nell’ottenimento di misure premiali, a causa della dichiarata tossicodipendenza. Gli eroinomani in crisi di astinenza vengono trattati con" il metadone, solitamente con dosi in progressiva decrescita, fino alla completa sospensione. Abbiamo oramai constatato che questa è la migliore maniera per disabituare il loro organismo alla droga. Poi si studia quello di cui possono avere bisogno e si seguono le persone che chiedono colloqui. Per i non residenti è necessaria l’autorizzazione ai Ser.T. di competenza prima di iniziare il trattamento. A Padova abbiamo stipulato un accordo con le direzioni delle carceri (Circondariale e Penale) che consente l’ingresso di personale dei Ser.T. di altre città. per tenere colloqui con detenuti che ne facciano richiesta e abbiamo anche creato l’InterSer.T., un coordinamento con i Ser.T. di altre zone, per poter collaborare meglio. Per chi proviene da lontano e per gli immigrati senza fissa dimora provvede direttamente il Ser.T. di Padova.
Com’è il rapporto del Ser.T. con gli immigrati clandestini? Il clandestino ufficialmente non esiste e quindi non avrebbe diritto ad alcuna assistenza sanitaria, solo in casi di particolare necessità il ministro Bindi ha autorizzato la prestazione di cure urgenti. Per quanto riguarda i detenuti noi trattiamo gli extracomunitari allo stesso modo degli italiani: al Circondariale forniamo prodotti igienici agli stranieri che ne fanno richiesta, poiché entrano in carcere sforniti di tutto. Finanziare gli interventi a favore dei clandestini è un problema di cui abbiamo interessato anche la Magistratura, perché attualmente si ritiene che prestar loro regolari cure sanitarie vorrebbe dire riconoscergli "di fatto" la residenza. Senza contare che spesso è impossibile accertare la loro vera identità poiché dichiarano nomi diversi ogni volta che vengono arrestati. Ad ogni modo vorremmo ritentare l’esperienza di aprire, per chi è libero, uno "sportello tossicodipendenti" che preveda la presenza di mediatori culturali (un tentativo fatto in passato con interpreti dei Tribunali non ha dato buoni risultati). Per i detenuti c’è invece una nuova commissione regionale che dovrebbe predisporre opuscoli multilingue con le informazioni principali sul carcere e la giustizia italiana.
Chi finanzia i vostri progetti e quali controlli vengono eseguiti sulla loro effettiva attuazione? I fondi arrivano, di norma, dall’U.S.L. dopo che un progetto è stato approvato dalle Direzioni Amministrative e dalla Conferenza dei Sindaci. Quest’ultimo organo si occupa anche di controllare come vengono spesi i soldi e di verificare gli esiti dell’investimento. Quando invece il finanziamento arriva dalla Regione essa a volte nomina un ente indipendente che deve dare un giudizio di validità (tramite un punteggio) sul progetto e la relativa attuazione. Infine anche il Comune di Padova può procedere a controlli autonomi ed il Ser.T. è tenuto a fornirgli dei rendiconti. Attualmente stiamo lavorando a un progetto, che prevede un aiuto a tutti i tossicodipendenti e alcooldipendenti che escono dal carcere, sia per "fine pena" che per misure alternative alla detenzione. Si tratta di fornire consulenza psicologica e sanitaria e programmare un punto di appoggio dopo l’uscita dal carcere. C’è anche la possibilità di un piccolo contributo economico per chi ne ha bisogno. Comunque cerchiamo di lavorare in maniera coordinata con il Comune, per evitare sovrapposizioni di competenza e assenze in altri settori di intervento. Le terapie di psicofarmaci, che per molti tossicodipendenti proseguono inalterate per anni, hanno senso dal punto di vista medico? Il Ser.T. è competente unicamente per i trattamenti metadonici mentre per quanto riguarda le altre terapie possiamo, al limite, dare indicazioni e consigli ai medici del carcere (il Ministero di Grazia e Giustizia fornisce tutti i farmaci per il fabbisogno dei detenuti, ma a volte noi dobbiamo intervenire con medicinali per il trattamento di pazienti in A.I.D.S., che sono particolarmente costosi ed il Ministero è restio a pagare). Detto questo riconosco che l’uso degli psicofarmaci nelle "Istituzioni totali" (carceri e manicomi) è da sempre una questione controversa. Le reazioni alla carcerazione possono essere molto diverse da un recluso all’altro; c’è chi non regge all’angoscia e negargli l’uso di ansiolitici potrebbe indurlo a gesti di autolesionismo, oppure di aggressività incontrollata. Per questo è difficile gestire in modo sereno le terapie di psicofarmaci: vengono usate più che altro per aiutare i pazienti a soffrire di meno e per evitare che si facciano del male. Abbiamo comunque constatato che, nel momento in cui il paziente detenuto comincia ad uscire in permesso, la sua richiesta di farmaci diminuisce di colpo. In casi di affidamento in "luoghi protetti" ci sono state persone che sono arrivate con terapie farmacologiche "da far accapponare la pelle" e poi, quando si sono sentite rassicurate, hanno dimezzato tali terapie.
Quale approccio ha il Ser.T. con i consumatori di "nuove droghe"? Queste persone, di norma, non si rivolgono a noi perché non si sentono tossicodipendenti. A differenza degli eroinomani hanno uno stile di vita relativa. mente normale ed hanno pudore a dichiararsi consumatori di droga. Perciò il problema maggiore consiste nello stabilire un primo contatto con loro ed a questo scopo sono più efficaci i rapporti telefonici, che garantiscono l’anonimato.
Ci può fare il bilancio di un anno di attività della sezione a custodia attenuata? I risultati sono buoni, soprattutto considerando che i detenuti ammessi nella sezione presentano situazioni personali particolarmente difficili: dagli stranieri, privi di ogni riferimenti all’esterno, a persone con seri problemi mentali. L’idea di base è che quanto più una persona si abitua a fare attività, più si riattacca alla vita. Molti detenuti che nelle sezioni comuni di attività non ne svolgevano alcuna hanno cominciato quindi a frequentare i corsi di educazione fisica ed i laboratori dove sviluppare le loro capacità creative e nel complesso hanno migliorato il loro stato fisico ed il livello di socializzazione. L’esperienza è poi servita a molti di loro per uscire in affidamento. Anche chi soffriva di disturbi psichici è migliorato. Abbiamo invece probabilmente sbagliato nell’accettare detenuti con pene più lunghe, che ora non possono usufruire di misure alternative: dopo un anno di programma questo sarebbe lo sbocco naturale, altrimenti le giornate nella sezione finiscono per diventare noiose. Anche la convivenza è stata, tutto sommato, discreta, benché, dovendo stare per forza assieme durante i mesi del "programma" ed in uno spazio piuttosto esiguo, sia quasi inevitabile che si verifichi qualche litigio.
Non ritiene che il regolamento interno alla sezione sia troppo rigido? Chi ha chiesto di entrarvi è stato preventiva mente informato sulle regole, sui programmi che avrebbe dovuto seguire e sullo spirito dell’iniziativa. La sezione a custodia attenuata di Rebibbia, per esempio, adotta le regole di una comunità di recupero, quindi ancora più rigide rispetto alla nostra. In alcuni casi si sono verificati disguidi dovuti ad interpretazioni del regolamento particolarmente restrittive, da parte del personale che non ha familiarità con la sezione: per questo recentemente il Direttore ha diffuso una nota esplicativa che mira a favorire una comune linea di comportamento verso la custodia attenuata.
Il programma "Custodia Attenuata" è destinato a continuare? Attualmente il progetto sta vivendo una fase interlocutoria in quanto il relativo finanziamento regionale si è esaurito e non possiamo più pagare gli operatori esterni dell’Isef, mentre le altre attività proseguono grazie al Ser.T. ed ai volontari.
Non pensa che il "trattamento" di sei mesi - un anno sia troppo breve, quando nelle comunità di recupero dura dai tre ai cinque anni? La custodia attenuata non esaurisce certamente il percorso trattamentale ma ne costituisce una prima fase, che prepara il tossicodipendente all’affidamento esterno: in comunità, in abitazioni "protette", etc. I programmi di trattamento che durano più anni si sviluppano con modalità diverse, impossibili da realizzare in una struttura carcerarla.
Come avviene il passaggio dal carcere all’affidamento esterno? Abbiamo scelto di limitare l’accesso alla sezione ai detenuti con un residuo di pena che gli permetta di uscire in affidamento in un tempo relativamente breve: il tipo di affidamento da chiedere viene concordato dagli operatori assieme agli interessati, anche se di norma il magistrato preferisce la comunità, perché la ritiene una soluzione che dà maggiori garanzie di controllo. Il Ser.T. di Padova ha comunque molti contatti con cooperative e gestisce direttamente un appartamento "protetto" che attualmente ospita 11 affidati. Ma l’idea è di creare una rete di queste strutture, alcune con un alto livello di assistenza, con un educatore che resti lì anche a dormire. altre più "leggere", con una presenza molto più ridotta dell’educatore. In un primo tempo agli ospiti non viene chiesto di contribuire economicamente, quando trovano un lavoro sono invece tenuti a pagare un affitto.
Recentemente, all’interno di progetti di "riduzione del danno", si sono riaccese le polemiche tra i sostenitori dell’uso del metadone e quelli che gli preferirebbero il Temgesic. Quale è la sua posizione al riguardo? La scelta del Ser.T. è sempre stata a favore di terapie sostitutive basate sul metadone, che offre caratteristiche di maggiore praticità rispetto al Temgesic, consente un minor numero di somministrazioni e programmi "a scalare" che evitano l’insorgere dei sintomi da astinenza. Molti operatori italiani condividono questa scelta, invece in Francia avviene il contrario ed è il metadone ad essere poco usato. Personalmente sono dell’opinione che nelle situazioni di tossicodipendenza l’unica cosa idiota è usare un SOLO metodo per tentare di risolvere problemi individuali che ovviamente sono diversi da persona a persona, e invece bisogna scegliere per ognuno il trattamento più adatto, dare a ognuno la risposta più giusta, senza assolutizzare un’esperienza.
In alcune carceri svizzere sono stati effettuati, in via sperimentale, interventi di prevenzione delle malattie infettive con la distribuzione di materiale informativo, siringhe e preservativi. Non pensa che anche in Italia si potrebbero avviare iniziative di questo tipo? In Italia gli interventi vengono decisi tenendo conto principalmente delle ragioni di principio e dare siringhe ai detenuti equivarrebbe ad ammettere che nelle carceri circola la droga, quindi che i controlli sono inefficaci. In quanto ai preservativi non mi è mai successo di sentirmene chiedere in tutti gli anni di lavoro svolto nelle carceri: nessuno ha mai ammesso di avere rapporti omosessuali.
Il D.A.P. ha recentemente diffuso una stima secondo la quale il 30% dei detenuti ha "saltuari rapporti omosessuali"; anche tenendo conto di una possibile sopravvalutazione del fenomeno, si può pensare che nessuno ammetta rapporti omosessuali nel timore di subire discriminazioni o anche punizioni, visto che il sesso in carcere è reato. Le cose comunque potrebbero cambiare se il discorso sull’affettività in carcere cominciasse a diventare più concreto. Per ora si può solo migliorare la qualità dell’informazione, che deve essere assolutamente fatta in più lingue. Per quanto riguarda questi opuscoli informativi, dovrebbero essere a disposizione dei detenuti entro i primi mesi del 1999.
Tirando le somme in redazione Possiamo senza dubbio dire che l’esperienza della custodia attenuata ha introdotto una novità interessante nell’ambito del trattamento penitenziario: i compagni ammessi nella sezione hanno la possibilità di trascorrere buona parte della giornata fuori dalla cella svolgendo attività culturali e sportive o comunque socializzanti, con la assidua presenza di operatori del carcere ed esterni. I due terzi di coloro che hanno partecipato al progetto sono stati scarcerati, usufruendo dell’affidamento ai servizi sociali nelle varie forme previste. A tutt’oggi quasi tutti proseguono in maniera positiva il programma esterno, i "fallimenti" sono stati davvero pochi. Tuttavia non vogliamo minimizzare alcuni problemi, che purtroppo invece sono rilevanti sia per i compagni della custodia attenuata sia per quelli delle sezioni comuni. Nella custodia attenuata si sono create a volte situazioni di tensione che hanno determinato l’immediato trasferimento di alcuni compagni in altre carceri: la convivenza rimane piuttosto difficile a causa di incomprensioni di vario tipo. I detenuti stranieri, poi, trovano sempre meno posto all’interno del progetto, e questo è un grosso limite, se si considera che la percentuale di stranieri tossicodipendenti in carcere è sempre più alta. I laboratori, come quello di ceramica, faticano a produrre per mancanza di adeguate attrezzature e i detenuti che ci lavorano avrebbero bisogno di nuovi stimoli per riprendere a pieno ritmo la realizzazione di oggetti da proporre a un pubblico esterno. Anche da situazioni "protette" (comunità, centri di accoglienza etc.) ci arrivano notizie contraddittorie, secondo le quali gli ospiti trascorrerebbero molto tempo senza fare nessuna attività, ci sarebbe un abuso di psicofarmaci e a volte anche la presenza di droga, mentre gli operatori sarebbero spesso impotenti a migliorare la situazione. Aspettiamo, su questi temi, interventi da parte di chi sta vivendo queste esperienze dentro e fuori del carcere, con un’unica certezza, che coincide con l’affermazione finale del dottor Bricolo nell’incontro con la redazione: "Quello che è sbagliato nell’affrontare questi problemi è, quando si ha uno strumento efficace, pensare di poterlo usare per tutti e non considerare invece ogni caso singolarmente, nella sua unicità".
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