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La difficile condizione dei minori in carcere raccontata da Marco Molinarolo, educatore nell’Istituto Penale Minorile di Treviso
(Realizzata nel mese di marzo 2001)
A cura di Alessandro Pinti
E’ schiacciante, qui più ancora che nelle carceri degli adulti, la presenza di ragazzi stranieri, con il loro carico di problemi legati allo stato di clandestinità, gli scarsi riferimenti che questi ragazzi hanno sul territorio, la mancanza di affetti e la barriera della lingua
Marco Molinarolo, educatore nell’Istituto Penale Minorile di Treviso, l’abbiamo incontrato alla giornata di studi su Carcere e immigrazione, nella Casa di Reclusione di Padova. Era qui proprio perché si parlava di immigrati in carcere, e nei minorili, ormai, soprattutto nel nord Italia, la presenza di ragazzi stranieri è addirittura schiacciante. A Treviso, ci sono attualmente 12 stranieri e 6 italiani, ma ci sono stati momenti in cui gli stranieri erano 17 e di italiani ce n’erano due.
Quali sono le difficoltà più rilevanti che avete riscontrato nei programmi trattamentali con i minori? Le difficoltà più evidenti riguardano le problematiche legate alla lingua, allo stile di comunicazione e la scarsa chiarezza iniziale dei ruoli istituzionali. Sono tutti ostacoli che sono stati superati grazie all’intervento dei mediatori culturali. Nel nostro Istituto da circa sette anni è presente un mediatore culturale di lingua araba e da circa un anno un mediatore di lingua albanese e slava. Grazie al loro apporto, ai ragazzi vengono date le informazioni per comprendere le modalità di funzionamento della vita all’interno dell’Istituto.
Quali attività si svolgono all’interno? Ad esempio, ci sono corsi scolastici, attività di animazione culturale, sportiva, ricreativa e teatrale, e poi c’è il modo, per i ragazzi, di ricevere una formazione indirizzata a un lavoro, e anche di lavorare poi durante la detenzione? C’è prima di tutto la scuola elementare, poi la scuola media con la possibilità di conseguire la licenza, e ancora corsi di educazione fisica, educazione musicale, di informatica, lavorazioni tessili, attività ricreative e di socializzazione. Dal momento che, nei confronti dei ragazzi stranieri, la Giustizia è molto più severa e prevede con più difficoltà l’utilizzo di misure alternative alla carcerazione, che tipo di problematiche pone tale condizione di svantaggio giudiziario? Il fatto è che, allo svantaggio giudiziario, si sommano lo stato di clandestinità, e poi gli scarsi riferimenti che questi ragazzi hanno sul territorio, la mancanza di affetti e la barriera della lingua, tutti elementi che sommati assieme rendono particolarmente dura la carcerazione..
Che tipo di intervento svolge il mediatore culturale, e quali problemi riscontra nel rapporto con i minori stranieri? Il mediatore svolge un lavoro di mediazione linguistico-culturale tra gli ospiti extracomunitari ed il personale della struttura penale. Importante è il suo ruolo anche nella fase di dimissione del ragazzo. Non è stato raro, poi, un suo intervento, nel caso venissero applicate misure cautelari non detentive, come referente di fiducia da parte della struttura ospitante il giovane e come riferimento affettivo e di collegamento con i familiari del minore stesso. Dal punto di vista relazionale, c’è da dire che non si sono riscontrati particolari problemi nei rapporti con i minori.
Le feste organizzate all’interno dell’Istituto, cosa rappresentano per il ragazzo e come lo coinvolgono in questo speciale rapporto di interazione con l’esterno? L’Istituto Penale per Minorenni di Treviso organizza annualmente una festa interculturale, a cui sono invitate tutte le realtà dell’associazionismo della città. Durante l’ultima manifestazione sono state invitate 160 persone. I ragazzi sono coinvolti sin dal primo momento nella fase organizzativa: partecipano alla strutturazione del programma della giornata, all’organizzazione degli spazi, alla scelta del menù e soprattutto all’accoglienza degli ospiti.
I progetti che hanno come obiettivo finale l’inserimento del ragazzo all’esterno, come ad esempio i percorsi scolastici, formativi, lavorativi, hanno successo con i minori stranieri? Ovvero, ci sono stati casi di regolarizzazione avvenuta proprio in considerazione del percorso individuale reinseritivo? Alcuni progetti redatti a favore dei minori extracomunitari, che prevedevano inserimenti in strutture comunitarie, sono andati a buon fine, soprattutto nei casi in cui erano previsti percorsi educativi (formativi e lavorativi) che hanno permesso la regolarizzazione sul territorio nazionale.
La messa alla prova, strumento che consente anche ai minori extracomunitari di usufruire di tale beneficio, che tipo di difficoltà presenta praticamente, considerata la loro condizione di marginalità sociale senza supporto familiare? Premesso che la messa alla prova non è l’unico strumento che consente ai minori stranieri di uscire dal circuito detentivo, è chiaro che la mancanza di riferimenti affettivi e familiari (almeno da quanto riferito dai minori) fa restringere, non di poco, quel ventaglio di "misure alternative" a cui possono accedere, invece, i ragazzi italiani. Purtroppo le risorse territoriali non offrono ancora risposte adeguate a questa nuova tipologia d’utenza.
Una volta tornati liberi, quale tendenza alla recidiva è riscontrata tra i ragazzi passati nell’Istituto di Treviso? Rispetto all’Istituto Penale per Minorenni di Treviso non risulta essere alta la percentuale di recidiva (circa 4/5 all’anno), ma è chiaro che non è sempre facile controllare se un extracomunitario entra nel circuito detentivo di un’altra città, ed è anche da tener presente che talvolta vengono utilizzate false identità da parte dei minori.
Il ruolo delle associazioni di volontariato qual è? Che tipo di intervento svolgono? L’intervento delle associazioni di volontariato rientra prevalentemente nella sfera dell’animazione, è lì che hanno più spazio coi ragazzi, che possono organizzare delle attività che li aiutino a esprimersi meglio.
Quali nuove problematiche si riscontrano nel rapporto con i ragazzi stranieri, e come la loro condizione può essere recuperata togliendoli dal retroterra culturale e familiare che spesso ne determina i comportamenti devianti? In realtà, dalle notizie acquisite, grazie anche agli interventi dei mediatori culturali, non risulta che i minori provengano da famiglie devianti, ma molto spesso la loro "carriera delinquenziale" trova origine dalla condizione di marginalità in cui si trovano questi giovani nel nostro paese e contemporaneamente dall’esigenza di dover inviare rimesse in denaro ai propri famigliari.
Sarebbe auspicabile una politica che tendesse al superamento degli Istituti Penali per Minorenni? Cosa ne pensa, e quali implicazioni crede potrebbe avere a livello generale? Sarebbe auspicabile il superamento delle strutture penali come logica di Istituzioni Totali, ma purtroppo si richiederebbe in alternativa la presenza di una rete di risorse, in grado di ottemperare sia alla necessità del controllo sia a quella della risocializzazione, che attualmente sul territorio non esiste.
Ci piacerebbe trovare una forma di collaborazione tra il nostro giornale e "Pensiero Libero", il giornalino del vostro Istituto. Pensa che sia possibile qualche forma di confronto e di interazione? Al momento è in atto una sostanziale revisione di tutta l’attività connessa alla redazione del Giornalino: l’obiettivo, dopo alcuni anni di sperimentazione, è quello di realizzare un prodotto che sia trasversale alle diverse componenti dell’area tecnico-pedagogica e che sia in grado di farsi riconoscere anche nel tessuto locale esterno all’ambito penitenziario. Perché tutti i conventi non mettono a disposizione almeno una stanza per chi esce dal carcere e si ritrova senza una residenza?
(Realizzata nel mese di Maggio 2002)
A cura di Eugenio Romano
La proposta è di Fra Beppe, uno che non si arrende mai, uno dei pochi che con la sua associazione, La Fraternità, alle famiglie dei detenuti dedica tempo ed energie
Ho rivisto Fra Beppe Prioli nel carcere di Padova, alla Giornata di Studi Carcere: Salviamo gli affetti, dopo circa due anni e mezzo dall’ultima volta che l’avevo incontrato: allora ero in permesso, a Verona, e l’avevo intervistato per conto del "TG2 PALAZZI". Al mio ritorno in carcere volle accompagnarmi fin davanti al cancello del "Due Palazzi". Anche quella volta parlammo di affetti: "Che bella famiglia che hai; tuo figlio è un giovane veramente ammodo...", mi disse al momento di salutarci. "E questa splendida bambina, per tutto il viaggio è rimasta sempre stretta stretta a te. È soprattutto per loro che dovresti cambiare: per i tuoi figli. Tra i sani valori della vita, ci sono quelli dei solidi rapporti famigliari. Tu li hai già: coltivali. Sarebbe un peccato perdere quello che già si ha, in cambio di niente." A Padova il 10 maggio sono venuti in tanti con Fra Beppe, tutti collaboratori volontari della associazione "La Fraternità", che condividono con lui gli sforzi per alleviare il disagio di chi viene a trovare i congiunti reclusi, e che per una breve visita si sobbarcano estenuanti viaggi e snervanti attese. Non è facile intervistare un personaggio come Fra Beppe. Quando parla della "Fraternità" e dei suoi progetti, è come un fiume in piena, e allora, ho preferito che parlasse a ruota libera, limitandomi semplicemente a "correggere il tiro" quando si allontanava un po’ dal tema della giornata.
"Fratello Lupo" (è così che lo chiamano in tanti), ha un po’ di tempo per un "agnellino" della redazione di "Ristretti"? Tu, un agnellino? Questo sì che è un miracolo! Ma, stai scherzando con questo "lei" così formale? Siamo o non siamo amici? Quindi...
È vero, scherzavo... Ciao Fra Beppe, hai visto quanta gente c’è oggi? Tu, che hai sempre operato per un mantenimento più costante dei rapporti tra famigliari e detenuti, non potevi non esserci a questa giornata di studi. Questo di oggi è un evento eccezionale, se si considera l’alto numero dei partecipanti che hanno una conoscenza specifica dell’argomento. Finalmente, chi è intervenuto, lo ha fatto con competenza... Ma non bisogna fermarsi solo alle buone intenzioni. Le associazioni di volontariato dovrebbero coordinarsi, e insistere in questa direzione. Coinvolgere il più possibile le persone che hanno un’idea astratta del carcere, e chi dall’interno delle istituzioni può fare qualcosa.
Ti riferisci a un coinvolgimento emotivo? Non solo, anche se quello è importantissimo. A proposito dell’emotività, hai sentito quella nostra volontaria, madre di un detenuto? La sua è stata una testimonianza veramente toccante sulle difficoltà del mantenimento degli affetti, e sulla necessità di avere un supporto umano, capace di lenire l’angoscia del distacco tra chi è detenuto e il proprio nucleo familiare. Inizialmente temeva di non riuscire a dire quello che aveva nel cuore, ma tutti noi della "Fraternità" contavamo proprio sulla sua presenza. È una donna con una grande forza interiore. Noi l’abbiamo aiutata semplicemente a non chiudersi nel proprio disagio, e oggi è tra le nostre collaboratrici più attive.
A proposito del convegno di oggi: cosa ne pensi della possibilità di creare "spazi affettivi" all’interno degli istituti di pena? Spazi affettivi? Strano modo per parlare di sessualità. Questo, comunque, è un tema veramente forte. Infatti, per l’imbarazzo e per un po’ di pudore, mi sono imposto di usare un eufemismo Io da anni mi batto per la creazione di luoghi più dignitosi per gli incontri fra detenuti e famigliari. Ma penso che sia importantissimo fare in modo che siano meno squallidi gli incontri fra i detenuti e i loro figli. Tanti bambini restano traumatizzati dalle visite ai loro genitori in carcere. Penso che bisognerebbe tutelare, prima di tutto, proprio la loro sensibilità. Per quanto riguarda la sessualità, è un’esigenza che rispetto, ma credo sia difficile da soddisfare se non si creano prima delle strutture opportune. E mi riferisco a strutture esterne.
Esclusivamente esterne? Per il momento sì. Ma non pensare che io sia contrario; penso solo che i detenuti non siano pronti. Molti di quelli con cui ho parlato non mi sono sembrati particolarmente entusiasti. Hanno manifestato delle perplessità sulle eventuali modalità per la fruizione di questa opportunità. Nel senso che si tratterebbe di una sorta di "amore a orario". E questo sarebbe, oltre che imbarazzante, mortificante. Ecco perché dico che sarebbe opportuno creare, o reperire, delle strutture all’esterno dall’area carceraria. Darebbero un senso più logico all’esigenza di un vero e proprio rapporto intimo. Spesso, i problemi sono più quelli inventati per "non fare", o per "ritardare" determinate iniziative, che quelli realmente esistenti. Secondo il mio modesto parere, basta volerlo, e oltre le mura si potrebbe benissimo realizzare qualcosa del genere.
La "Fraternità" in che direzione si sta muovendo, per la tutela dell’affettività? La nostra associazione sta operando per incentivare il sostegno alle famiglie. Un’altra cosa che mi sta a cuore è il problema della lontananza: il detenuto dovrebbe scontare la pena il più vicino possibile al proprio luogo di residenza. I famigliari dei detenuti, quando vengono da lontano dovrebbero ricevere un’opportuna accoglienza, e invece, vengono abbandonati a se stessi nel disagio più totale. A volte diventano loro stessi vittime di questo sistema carcerario che si disinteressa delle evidenti difficoltà. Bisogna rompere le paure delle famiglie, aiutarle a superare il timore del carcere. Invece, sembra che si faccia di tutto per incentivare proprio questo disagio che a lungo andare crea disgregazione nelle famiglie. Non è giusto. Vorrei gridalo forte che tutto questo non è giusto!
C’è qualche altra cosa che vorresti gridare forte? Tante. Ma i miei sono appelli che rivolgo un po’ a tutti quelli che possono o potrebbero fare qualcosa. Alle tantissime cooperative sociali (e non solo delle province venete), vorrei chiedere di assumere almeno uno o due detenuti a testa. Rivolgo un appello anche a tutti i conventi: che mettano a disposizione almeno una stanza per chi potrebbe fruire dei benefici previsti dall’Ordinamento Penitenziario, o per chi esce dal carcere e si ritrova senza una residenza.
Una stanza di accoglienza in ogni convento? Proprio così! E non solo per i detenuti che fruiscono di benefici. Anche per quegli ex detenuti che una volta fuori non hanno più alcun punto di riferimento. Sono moltissimi quelli che alla fine di una detenzione si ritrovano soli e senza sapere dove andare. Un’accoglienza umana e dignitosa non va negata a nessuno. Italiani e stranieri, davanti al disagio sociale sono tutti uguali, e vanno aiutati allo stesso modo.
Fra Beppe, parlaci del prossimo seminario di studi del S.E.A.C. del Veneto, visto che l’argomento è molto vicino a quello di cui stiamo parlando. Affronteremo diversi temi sui rapporti tra il volontariato che opera all’interno del mondo carcerario e le istituzioni. "Un ponte fra le due città", è il titolo del seminario. Attraverso il dialogo, si cercherà di capire in che modo si può cooperare per realizzare un vero e proprio avvicinamento tra il mondo del volontariato e quello delle istituzioni. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma bisognerebbe anche, e insisto su questo punto, far sì che le stesse associazioni di volontariato collaborassero tra loro in modo più attivo.
Quindi, ci vorrebbero più "ponti"? Più ponti per "un unico ponte" tra carcere, società, istituzioni e volontariato. Un dialogo a più voci per un unico traguardo: migliorare la qualità della vita di chi vive, e soffre nel disagio. Il seminario sarà diviso in tre gruppi; si parlerà di "sentimenti", di "atteggiamenti", e di "affetti". Ognuno di questi gruppi avrà un relatore, ma parteciperanno, e testimonieranno la loro esperienza, molti operatori particolarmente attenti e preparati sulle tematiche proposte. Non mancheranno i detenuti e molti dei loro famigliari. Contiamo molto su una loro attiva partecipazione.
Non succede spesso che un’intervista finisca con una domanda finale dell’intervistato. Con Fra Beppe abbiamo chiacchierato ancora un po’, del più e del meno, come due vecchi amici ritrovati. Poi, lui ha cominciato a chiedermi notizie della mia famiglia. Stavo per dirgli che di quella "bella famiglia", che lui ha conosciuto tempo addietro, è rimasto ben poco. Quel poco, però, per cui vale (sempre, naturalmente) la pena di cambiare e migliorarsi: i figli. Comunque, non ho avuto il tempo di parlargliene: alcuni compagni detenuti si sono avvicinati a noi festosamente, e me l’hanno portato via. Meglio così, in fondo... l’intervistato era lui.
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