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Rio Terà dei pensieri, una cooperativa e tanti prodotti realizzati dentro le carceri veneziane
(Realizzata nel mese di giugno 2002)
A cura di Francesco Morelli
E ora l’ultima nata: una linea di cosmetici a base di piante dell’orto della Giudecca Raffaele Levorato e Gabriella Pancamo li abbiamo incontrati alla festa del volontariato sull’isola di San Servolo, in mezzo a bagni schiuma, creme idratanti, latti detergenti, i nuovi prodotti della cooperativa Rio Terà dei pensieri, realizzati con le piante aromatiche e da essenza coltivate nell’orto della Giudecca, secondo un aggiornamento di antiche ricette degli speziali della Serenissima.
Ci potete raccontare quando e come vi è venuto in mente di creare la vostra cooperativa, e con quali obiettivi? Raffaele: La Cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri nasce nel settembre ‘94 - in seguito ad un brutto incidente capitato a un amico, che lo ha portato in carcere - con due compiti istituzionali: la formazione professionale rivolta ai detenuti e, quindi, il loro impiego in attività produttive… perché, quando hai imparato un lavoro, dopo puoi anche realizzare dei prodotti. Noi siamo essenzialmente dei volontari, quindi, di per sé, disorganizzati: non abbiamo un ufficio, non abbiamo una segretaria. Ci teniamo in contatto con un telefono cellulare e, dopo otto anni di lavoro, siamo ridotti a due, o poco più… all’impegno di Gabriella e al mio si aggiungono delle ore, saltuarie, che qualche altro volontario dedica alla cooperativa. Poi io ho una "fissa" ed è quella di non ricercare la visibilità, ma piuttosto di fare bene ciò che devo, attraverso un lavoro quotidiano, sistematico, metodico. Forse è sbagliato, però preferisco continuare ad occuparmi di cose molto sostanziali.
Quali corsi di formazione professionale gestite? E poi riuscite a garantire un’occupazione ai detenuti che li hanno frequentati? Raffaele: Oggi siamo riconosciuti dalla Regione come Ente formatore, ma abbiamo avuto parecchie difficoltà a trovare posto tra gli Istituti che fanno formazione, evidentemente perché la torta diventava più piccola per gli altri… la Regione ci assegna dei corsi "ufficiali" e, quest’anno, ne abbiamo tre: editoria-serigrafia, pelletteria e orto-cosmetica. Gabriella: Gli ultimi due sono delle new entry, mentre il corso di editoria elettronica e serigrafia è "storico". È gradito anche all’Amministrazione penitenziaria, tanto che negli ultimi anni non abbiamo più dovuto fare nessuna richiesta… ci piove nel piatto, perché oramai è tradizione che lo facciamo. Per gli altri due corsi, invece, non è stato così semplice. Il corso di pelletteria ha un secondo nome, "orlatura di tomaie", e l’abbiamo proposto perché nella zona della Riviera del Brenta c’è molta richiesta di orlatori di tomaie. Ci proponiamo di fornire manodopera per quest’attività artigianale di prestigio e, siccome non si trovano più operai italiani… nemmeno in carcere… abbiamo insegnato il lavoro a un colombiano e ora stiamo formando degli albanesi, che hanno dimostrato di saper imparare questo lavoro molto rapidamente (pare che, di solito, servano otto anni per impararlo bene e loro l’hanno imparato in un solo anno). Il corso di orto-cosmetica l’abbiamo avuto probabilmente anche perché l’Amministrazione Penitenziaria ha investito 350 milioni per riattivare il laboratorio, ricavandolo da un edificio fatiscente. Oggi questo laboratorio è moderno e offre delle effettive possibilità di lavoro alle detenute, fornendo loro anche competenze professionali spendibili fuori.
Che cosa producono i laboratori che gestite all’interno delle carceri? Raffaele: Al maschile (Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore - n.d.r.) abbiamo un laboratorio di serigrafia che produce magliette e borse con il marchio della Fenice. Anche l’editoria elettronica necessaria a questa produzione è fatta dai detenuti. Inoltre c’è un secondo laboratorio, di pelletteria e sartoria, nel quale, quando non c’è da lavorare con la pelle, si lavora con la stoffa… Al femminile, alla Giudecca, abbiamo l’orto e, adesso, anche il laboratorio di cosmetica. Poi ci sarebbe un laboratorio di legatoria, già attrezzato, ma attualmente è chiuso perché non troviamo un volontario che si assuma la responsabilità della sua gestione. Se ho capito bene, ci sono gli spazi e le attrezzature necessari ma non riuscite a far funzionare questo laboratorio perché manca un insegnante? Si potrebbe lanciare un appello… chi è disponibile si faccia avanti! Gabriella: Per far funzionare il laboratorio di legatoria servirebbe una persona disponibile a entrare in carcere quasi tutti i giorni, esperta in questo tipo di produzione, che sappia indirizzare le detenute sugli articoli da fare, anche tenendo conto dell’andamento del mercato. Non puoi fare delle cose belle e non vendibili… le detenute devono lavorare, ma anche vendere il proprio prodotto e incassare i soldi del prodotto che hanno fatto.
A quante persone dà lavoro, complessivamente, la vostra cooperativa? Raffaele: Tra formazione professionale e lavoro vero e proprio impegniamo, mediamente, otto - nove persone al maschile e otto - nove al femminile. In più abbiamo due commesse che lavorano nel negozio, che si trova davanti al teatro La Fenice. Va detto che, fin dall’inizio, la nostra cooperativa si è prefissa di non occuparsi delle misure alternative al carcere, delle quali si occupano già in tanti altri: noi vogliamo dare ai detenuti una "misura alternativa alla cella", perché non dimentichiamo che c’è gente che resta quasi tutto il suo tempo in cella, soprattutto al maschile. Certo, sarebbe giusto portare più gente fuori, ma non tutti possono uscire subito e, quando siamo entrati al maschile, nel 1996, là non c’era nulla: noi non vogliamo fare rieducazione… sono parole difficili… forse non siamo capaci di applicare l’articolo 27 della Costituzione… ma volevamo far trascorrere ai detenuti delle ore in maniera diversa e l’abbiamo ottenuto. Alcune persone, che ritroviamo a distanza di tempo, ci ricordano perfino con nostalgia: per esempio, quest’anno alla Festa dell’orto c’erano sei ex detenute, una veniva da Milano ed era stata tra le prime a lavorarci, nel 1995.
Lavorando ogni giorno all’interno delle carceri dovete per forza fare i conti con le regole e i tempi dell’istituzione. Incontrate delle difficoltà particolari nella gestione dei laboratori? Raffaele: È una sfida continua, anche logorante, quando uno si fa sei - sette - otto ore, tutti i giorni, dentro il carcere. L’istituzione in un certo senso "ci sopporta", perché rimaniamo pur sempre degli elementi estranei. Alle tre e mezzo del pomeriggio, per esempio, vogliono chiudere tutti in cella, per questa mania della "conta", e ogni giorno dobbiamo fare una lotta per riuscire a tenere aperto il laboratorio fino alle sei.
Come riuscite a vendere i prodotti dei vostri laboratori? Fate della pubblicità, delle ricerche di mercato? Raffaele: La serigrafia produce più di 11.000 pezzi l’anno, tra magliette e borse di tela, e li vendiamo tutti. Al negozio della Fenice, dove la clientela è rappresentata dai turisti di passaggio, ne vendiamo 2 - 3.000. Il resto è acquistato da Parrocchie, Comuni, Enti vari, di solito attraverso ordini di centinaia di pezzi. Non facciamo assolutamente del marketing - cosa che dovrebbe fare una cooperativa - ma non abbiamo soldi da dare a chi potrebbe farci questo servizio. Gabriella: Per quanto riguarda i prodotti di cosmetica abbiamo fatto un primo "lancio" alla Festa del Redentore, a fine luglio. Per la loro commercializzazione facciamo programmi diversi, secondo la gamma dei prodotti: c’è una linea che si chiama "Rio Terà dei Pensieri" e una seconda, "Veneziana coloniali & spezie", che dovremmo piazzare nelle erboristerie, nelle profumerie, nelle farmacie. Per la linea "Rio Terà dei Pensieri", invece, abbiamo un progetto che prevede la vendita all’interno dei circuiti carcerari del Triveneto, sia per i detenuti, sia per la Polizia penitenziaria. Riteniamo siano prodotti competitivi, nel rapporto qualità/prezzo, e questo giudizio è confortato dal fatto che delle persone che li avevano acquistati alla Festa del Redentore sono ritornate a comprarli, la settimana successiva e due settimane dopo, al banchetto allestito ogni giovedì alla Giudecca, dove vendiamo anche i prodotti dell’Orto.
Ma, alla fine, i conti tornano? Riuscite a gestire economicamente la fase della formazione e poi a garantire un reddito decente ai detenuti impegnati nelle varie lavorazioni? Raffaele: Come cooperativa non abbiamo fini di lucro, quindi non mettiamo da parte i soldi, ma riusciamo a recuperare i costi ed a retribuire adeguatamente le persone che lavorano con noi. I formatori sono pagati con i soldi elargiti dalla Regione, secondo un criterio che prevede un 50% per gli insegnanti e un 50% destinato obbligatoriamente agli investimenti. Il negozio alla Fenice sta in piedi da solo, dal punto di vista economico: vende i prodotti della serigrafia e del laboratorio di cosmetica e le due commesse che ci lavorano sono regolarmente assunte e stipendiate. I lavoratori dei laboratori interni vengono pagati a "pezzo", con la ritenuta d’acconto, inoltre alcuni di loro usufruiscono anche di borse-lavoro istituite dal Comune: 10 in tutto, di cui 7 al femminile e 3 al maschile. L’Orto, se considerato da solo, è in "profondo rosso", ma tutte le attività, messe assieme, permettono di raggiungere il pareggio, nel bilancio della cooperativa.
Se non sbaglio, adesso state pensando di "passare la mano"… vorreste che qualcun altro si occupasse di far funzionare la cooperativa? Raffaele: Abbiamo una cooperativa impiantata solidamente, che sta andando bene, ma, al momento, non troviamo nessuno che la voglia prendere in mano. La verità è che non trovi persone disposte a fare del "volontariato puro". Capisco che serve un’organizzazione, però noi siamo riusciti ad andare avanti, per otto anni, senza un ufficio, senza un impiegato… Io non voglio abbandonare l’attività di volontariato, però non voglio più avere tutta questa responsabilità operativa ed anche economica. È da pazzi continuare a guidare questa cooperativa da soli; meglio dire: "Io vi regalo tutti i laboratori, vi do una situazione economica in attivo, vi do un magazzino fornito, ma dovete avere gli stessi scopi che ho io"… perché il rischio che vedo è che l’attività di una cooperativa, che dovrebbe essere tutta a favore dei detenuti, diventi qualcosa di simile allo sfruttamento del lavoro nero… stiamo attenti, perché poi è facile che in mezzo ci sia dello "sporco". Adesso ci sono tre mesi di tempo per trovare dei nuovi responsabili per la cooperativa: se qualcuno si farà avanti, bene, sennò la cooperativa saremo costretti a chiuderla anche se abbiamo i conti in regola, tutto quello che ci hanno dato l’abbiamo investito…
Con Gabriella e Raffaele abbiamo incontrato, alla festa di San Servolo, anche Prince, nigeriano, detenuto a Santa Maria Maggiore.
Oggi sei uscito per la prima volta in permesso, per allestire il banco con i prodotti della cooperativa. Vuoi raccontarci come ti sei inserito in questo tipo di lavoro e come ti trovi? Prince: Lavoro nel settore della pelletteria da quasi due anni. Prima ho seguito un corso ed ho capito che potevo farcela, ne ho parlato con la cooperativa ed anche loro mi hanno detto che potevamo provare. Così ho iniziato a fare la cucitura delle scarpe e altri articoli in pelle. Ogni giorno inizio il lavoro alle 8.30, a volte alle 9.00, e vado avanti fino alle 15.15, con un’interruzione da mezzogiorno alle 13.30. Se c’è l’insegnante possiamo rimanere fino alle 18-19, compreso il sabato, quindi sei giorni a settimana. Guadagno in base ai prodotti che riesco a produrre, borse ed altre cose, ed i soldi arrivano dopo due - tre mesi a causa di qualche lentezza burocratica. Inoltre ricevo una borsa lavoro dal Comune, che consiste in 130 euro, netti, al mese.
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