Associazione Betel

 

Una banca etica in carcere? Ad Alessandria, un progetto

di piccoli prestiti a detenuti ed ex detenuti

 

(Realizzata nel mese di ottobre 2002)

 

A cura di Nicola Sansonna

 

Arianna è un progetto curioso, che assomiglia, e sembra aprirle la strada, a una Banca Etica per detenuti ed ex detenuti. E’ un progetto curioso perché in un luogo come il carcere, in cui sono molti gli "ospiti" che hanno avuto un rapporto "conflittuale" con le banche, si scommette su un sistema di prestiti a detenuti ed ex detenuti, alla cui base c’è la fiducia nella correttezza delle persone che ne usufruiranno. Abbiamo intervistato i volontari dell’associazione Betel, che stanno portando avanti questa iniziativa.

 

Come nasce l’idea di prestiti ai detenuti o ex detenuti?

L’idea è nata dalle considerazioni ricorrenti sulle difficoltà incontrate dai detenuti nella fase del reinserimento (a fine pena, o anche nello scontare pene alternative). Sono numerosi i casi di persone che escono dal carcere dopo una lunga detenzione senza un soldo in tasca, senza lavoro, senza casa, senza il sostegno di una famiglia, ritrovandosi magari in una città sconosciuta. La nostra associazione ha sempre cercato di dare una mano in questi casi, offrendo se possibile, tra le altre cose, un minimo di sostegno economico. Tuttavia disponiamo di mezzi limitati, quindi ci ritroviamo spesso a chiedere fondi ad altre associazioni o a privati. Per i residenti vengono in aiuto i consorzi dei comuni, ma nell’attesa del loro intervento è comunque necessario anche qui intervenire per far fronte alle esigenze più pressanti.

Nell’elaborare il progetto "Arianna" abbiamo cercato di creare uno strumento in grado di sostenere economicamente il detenuto nel momento del reinserimento, con una particolare attenzione per l’inserimento lavorativo.

 

In cosa consiste il progetto?

Il progetto consiste nella erogazione di sussidi (piccoli prestiti nella sostanza, anche se non ne hanno la veste contrattuale) a ex detenuti e detenuti che scontano pene alternative fuori dal carcere: essi coprono le prime spese sostenute nel reinserimento, e verranno restituiti senza interessi in piccole rate mensili. A seguito delle restituzioni verrà ricostituito il fondo iniziale, e si potranno effettuare nuovi interventi.

 

Perché la scelta di associare aiuto economico e avviamento al lavoro? Non potrebbe avere più bisogno chi non ha ancora trovato un impiego?

Il lavoro è un fattore centrale nel rientro nella società: non è solo mantenimento economico della persona, è vero e proprio strumento di recupero e reinserimento: consente una rapida "normalizzazione" dei rapporti con gli altri, relativamente all’ambiente di lavoro; è realizzazione personale, anche qualora si tratti di un’attività manuale, in quanto consente di mantenersi e contribuire al mantenimento di un’eventuale famiglia. Certo, non è facile trovare lavoro in uscita dal carcere; alcuni interventi istituzionali vengono in aiuto, anche se talvolta non sono utilizzabili (ad esempio, in Piemonte per la Legge Regionale 22-28 i tempi di fine pena o della semilibertà spesso non coincidono con i tempi di attuazione della legge stessa).

Nel nostro piccolo, abbiamo voluto dare con "Arianna" una risposta al seguente quesito: come sostenere i detenuti che escono dal carcere con la certezza di un lavoro, ma privi di mezzi per sostenere le prime spese, quali vitto, alloggio, trasporto al luogo di lavoro? Non volevamo solo reperire mezzi per questi aiuti, ma anche creare un’alternativa ai tradizionali interventi assistenziali; infatti i soggetti considerati hanno la prospettiva di un reddito certo, non si tratta di persone assolutamente prive di mezzi.

La legge regionale 38/94, che prevede all’articolo 14 il finanziamento di progetti di associazioni di volontariato atti a "prevenire e rimuovere situazioni di bisogno e/o emergenze sul territorio, con azioni innovative, sperimentali, personalizzate e rivolte alla crescita della solidarietà sociale", ci ha offerto l’occasione e lo stimolo per misurarci con una attività assolutamente nuova.

 

Il progetto è già iniziato? Siete riusciti a ottenere quanto chiedevate per poterlo realizzare?

Il progetto ha preso avvio a maggio con la prima erogazione. Il fondo iniziale è stato costituito per l’80% da un contributo della Regione Piemonte (articolo 14 della Legge Regionale 38/94) e per la parte restante finanziato dalla nostra associazione.

 

Con che esiti i primi prestiti sono stati erogati?

L’unico prestito erogato sinora è servito al pagamento dell’affitto e della cauzione dell’alloggio ad un detenuto a fine pena; il caso ci ha consentito di perfezionare l’iter di erogazione e la modulistica. Abbiamo già discusso altri casi di detenuti in uscita e già "fuori".

 

Che criteri utilizzate per l’assegnazione dei prestiti?

Presumiamo che chi non ha bisogno di soldi non chieda di partecipare al progetto (vedremo se l’esperienza ci darà ragione). Non siamo una banca, non vogliamo iter complicati, non chiediamo neppure di documentare la mancanza di mezzi (d’altronde, riteniamo doveroso accettare anche le richieste di detenuti che non vogliono o non possono chiedere aiuti a familiari); dobbiamo però documentare in modo scrupoloso le spese sostenute, la presenza di un contratto di lavoro e delle condizioni per accedere al prestito (cioè la condizione di detenuto o ex) – questo per un obbligo di rendicontazione all’ente che ci ha finanziati.

 

E’ corretto parlare di banca etica?

No, non è corretto, in quanto ci sono le uscite di una piccola banca, ma non le entrate; mancano cioè le operazioni di raccolta, i depositi.

 

Le persone che sostenete con che atteggiamento si sono avvicinate a voi (vi facciamo questa domanda perché sappiamo che non è affatto facile chiedere)?

Certo, non è facile chiedere; in realtà nessuno ha chiesto – in questa fase di prima sperimentazione – e la opportunità di partecipazione al progetto è stata offerta da alcuni volontari della nostra associazione a persone già conosciute, di cui seguivano il percorso di avvio al lavoro; allo stesso modo, sono stati sensibilizzati gli operatori del carcere e di altri enti che si occupano di reinserimento nel territorio. Questi sono stati invitati a collaborare alla realizzazione del progetto "Arianna", sottoponendoci casi da seguire e "finanziare". Abbiamo creato i presupposti per un lavoro di rete, coinvolgendo le direzioni dei due istituti di pena alessandrini, il CSSA, la Provincia, il Gruppo Operativo Locale (G.O.L.), e il Consorzio Intercomunale dei Servizi; riteniamo che proprio lo sviluppo di queste collaborazioni estese e la complementarità degli interventi aprano la via alla buona riuscita del reinserimento.

 

Riuscite a seguire anche in alcuni passi del normale evolversi del reinserimento le persone che usufruiscono del prestito?

"Arianna" non è un intervento a sé stante, ma l’integrazione di un intervento di un accompagnamento di contenuto più esteso, che impegna prima e dopo la scarcerazione, e impegna più soggetti/enti. E’ quindi l’anello mancante in una attività di sostegno già praticata, anche se con lacune e difficoltà. Per quel che riguarda i fruitori del progetto Arianna, non siamo ancora in grado di rendere conto dell’esito dell’ "accompagnamento".

 

Il numero di persone (10/12) ammesse al finanziamento non vi sembra un po’ limitativo rispetto a quanti magari avrebbero bisogno di questo sostegno?

La realtà alessandrina è di oltre 700 detenuti, divisi tra un penale e un circondariale. Ma le richieste poste sinora alla nostra attenzione sono solo 5/6. Infatti presso la casa circondariale si trovano detenuti in attesa di giudizio o con pene brevi, che non sono particolarmente coinvolti nell’iniziativa; i problemi di reinserimento qui affrontati riguardano in misura maggiore l’altro carcere (casa di reclusione di S. Michele), in quanto chi viene da una pena molto lunga vive più facilmente una condizione di sradicamento – e qui i detenuti a fine pena non sono in questo momento molti.

Ritornando al numero di sussidi previsto, il limite è rappresentato dall’entità del fondo disponibile; la restituzione da parte dei primi finanziati, consentirà di provvedere a nuove erogazioni.

 

Quali sono le vostre valutazioni su una possibile estensione del progetto ad altre zone d’Italia?

Non siamo ancora in grado di prevedere l’esito dell’iniziativa, è una scommessa… contiamo molto sul senso di responsabilità delle persone che hanno aderito, e di quelle che stanno per farlo, che sono motivate, contente di avere un’occasione per dar prova della propria correttezza. Ci piacerebbe vedere diffondersi questa idea di un aiuto economico che si associ alla dignità di un impegno morale e di solidarietà, e speriamo di avere offerto con questa intervista uno spunto utile a chi affronta i nostri stessi problemi. Non sarebbe anzi bello vedere nascere proprio in carcere una banca etica, alimentata dai risparmi degli stessi detenuti e addetti ai lavori? Perché no?

 

 

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