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A Piccoli Passi fuori dal carcere
I piccoli e i grandi problemi di una casa di accoglienza che ospita i detenuti, ma anche le loro famiglie
(Realizzata nel mese di gennaio 2004)
Si chiama "Piccoli passi", è una casa di accoglienza per detenuti, e per noi che l’abbiamo vista nascere di passi ne ha fatti parecchi, in questi anni. La responsabile è Eleonora Dalla Pasqua, una volontaria che la gestisce assieme al Gruppo Operatori Volontari Carcerari di Padova, di cui fa parte. L’abbiamo invitata in redazione perché sul nostro giornale abbiamo parlato di tante esperienze di accoglienza in altre città, ma, come capita spesso, non abbiamo ancora raccontato quello che succede "a casa nostra"
Ci racconti come è nata l’esperienza dei "Piccoli passi"? La Casa di Accoglienza l’abbiamo aperta nel 1999, ma la vera attività è partita nel maggio del 2000 e, all’inizio, abbiamo faticato parecchio. Il fatto è che i volontari non sono mai abbastanza, anche perché molti di loro sono giovani e di conseguenza il loro volontariato è molto precario: a me fa piacere avere dei giovani, però questo continuo cambiamento e riorganizzazione dei turni mi dà un po’ di lavoro in più. Finalmente nel 2001 siamo riusciti ad avere un bel gruppo, che io chiamo "il vecchio gruppo": senza di loro io mi sentirei persa e credo che non ce la farei, dichiarando così tutta la mia debolezza e fragilità. Non è facile creare un gruppo omogeneo, che lavori in sintonia, in simpatia e con una certa capacità di rapportarsi l’un l’altro. Ma ci siamo riusciti, e così abbiamo fatto passi da gigante, ospitando ben 152 persone, con 345 giorni di presenza. Nel 2002 abbiamo raggiunto le 198 presenze, con 538 giorni di permessi e 3.815 ore di volontariato. Quest’anno, a tutt’oggi, abbiamo già superato queste cifre. Questo è significativo per far capire l’importanza di questa casetta: ce l’ha sottolineato anche il Magistrato di Sorveglianza che, in assoluto, siamo la struttura che accoglie più persone. Sono state inoltre ospitate, non solo giornalmente, ma anche la notte, 19 famiglie. L’importante è che veniamo informati per tempo, in modo che io possa organizzare nel miglior modo la sistemazione dei famigliari.
Voi ospitate solo persone in permesso? No, abbiamo ospitato pure persone in affidamento. All’inizio abbiamo avuto anche qualche esperienza negativa, forse perché eravamo un po’ sprovveduti, dicevamo "sì" senza valutare certi problemi. Abbiamo ospitato anche un ragazzo che aveva già terminato la pena, in accordo con il C.S.S.A., per tre mesi, poi gli hanno trovato un appartamento. Noi vorremmo continuare a lavorare con il C.S.S.A., naturalmente chiedendo che si impegni entro un periodo di tempo definito a trovare la casa per le persone che ci chiede di ospitare, senza costringere noi a buttarle fuori, perché questo è doloroso. Attualmente abbiamo un ospite in sospensione pena, che aspetta l’affidamento… vediamo se glielo danno, anche perché le stanze ci servono. Non è che posso dire di sì ad uno e di no ad un altro: abbiamo due camere grandi e due piccole, in definitiva si tratta di 5 posti letto, e non sono tanti.
Quando una persona vuol venire da voi, la incontrate prima in carcere? No, noi non abbiamo nessuna preclusione. Tante volte vado a parlare con i detenuti che mi chiedono se possono fare la domandina per venire alla Casa, ma è da quando l’abbiamo aperta che diciamo: tutti siete accolti.
E se la moglie viene a trovare una persona in permesso? Se arriva la moglie, il volontario si sposta in un’altra camera e loro possono stare da soli.
Di solito i detenuti che vengono lì in permesso sono agli arresti domiciliari? No, generalmente hanno il permesso di uscire, o da soli, o accompagnati da un’assistente volontaria.
All’inizio della vostra attività c’è stata una discussione sull’accoglienza delle persone tossicodipendenti. Come si è risolta la questione? Certo ospitare i tossicodipendenti è un rischio maggiore, però non ci pare giusto fare discriminazioni.
Sappiamo che avete avuto dei problemi recentemente, e vorremmo parlarne, anche perché è inutile nascondersi dietro un dito: noi preferiamo affrontare anche le questioni spinose, e il sospetto che la casa attiri qualche spacciatore è una questione spinosa. Il fatto è che per una struttura di questo tipo non è facile farsi accettare in un dato ambiente e, se qualcuno dice che lì intorno si spaccia, rischi pure di essere costretto a chiudere… la preoccupazione è quella di non rovinare un lavoro faticoso di anni. Qualche problema lo abbiamo avuto, e per questo abbiamo chiuso per un mese alla notte, per attrezzarci ad essere presenti sempre. La necessità di una presenza continua di volontari è una cosa che ci è stata detta più volte dai magistrati di sorveglianza, perché "struttura protetta" vuol dire che deve essere coperta 24 ore al giorno. Del resto il magistrato ci ha fatto anche un esempio chiarissimo: che chi ospita a casa sua una persona non è che poi la può salutare e lasciare là da sola, altrimenti vuol dire che non l’ha ospitata davvero bene.
Parlare di ospiti personali è un conto, ma in una Casa d’accoglienza è molto impegnativo essere presenti anche la notte. Lo so, ma si pretende questo da noi. Adesso cerchiamo di attrezzarci per fare una turnazione anche la notte. Vorremmo tante cose e vedremo le nostre forze cosa ci permetteranno di fare: parleremo con la Caritas e con il Comune, per capire se hanno disponibilità. A dire la verità però finora sul comportamento dei ragazzi ospitati non ho niente da dire: capita che ci sia qualche piccola scorrettezza, qualche menefreghismo, ma sono cose che succedono anche nelle famiglie "normali".
Con l’alcol, avete avuto problemi? Anche perché molti in carcere assumono terapia, e fuori spesso finisce che l’alcol per parecchi detenuti diventa un sostitutivo degli psicofarmaci. L’alcol da noi è vietato in maniera assoluta. Se poi uno lo prende e lo beve di nascosto… ecco che allora servirebbe una maggiore presenza nostra: fino a qualche giorno fa noi ci stavamo infatti solo dalle 9.00 alle 18.30 ed era poco, lo dicevamo anche noi. Oggi però, per fortuna, c’è una presenza di volontari giorno e notte.
Paolo Moresco (Ristretti Orizzonti): Mi pare evidente che una struttura di questo genere, che tutto sommato è appesa ad un filo, debba proteggersi anche dagli sbadigli.
Elton Kalica (Ristretti Orizzonti): Il problema è come proteggersi. Nelle carceri spesso c’è qualcuno che infrange le regole, e le direzioni prendono poi dei provvedimenti, che spesso rendono la vita più difficile per tutti, in modo che i detenuti capiscano quello che succederà se vanno avanti così. In una casa di accoglienza, dove in fin dei conti vengono pur sempre dei detenuti, che appena escono vogliono almeno sentirsi un po’ più liberi, è facile che qualcuno pensi di bersi un bicchiere di più… sono cose che succedono. In carcere ci sono tanti alcol e tossicodipendenti ed è difficile pensare che li possiate correggere durante un permesso, fare in modo che cambino idea, che abbiano un maggior senso di responsabilità. Spero però che una struttura come la vostra, se si verifica qualche violazione delle regole, non debba prendere provvedimenti come la chiusura di sera, con la speranza che così non possa venire nessuno a creare dei problemi. Perché dobbiamo far pagare anche agli altri detenuti le colpe dei loro compagni?
Eleonora Dalla Pasqua: E perché noi dobbiamo rischiare che tutti i detenuti non abbiano più una struttura dove andare, solo perché lasciamo la "manica" un po’ larga? Cerchiamo di stringerla un po’ piuttosto, anche se in qualche periodo i detenuti faranno solo permessi giornalieri, non è poi una grande punizione, ma serve come avviso. L’ho sentito dire un po’ da tutti, che se succede qualcosa di serio le case di accoglienza rischiano di chiudere, e allora ne venite a patire tutti voi.
Elton Kalica: Ho capito che la struttura va tutelata, ma i miei dubbi sono sul modo in cui la si tutela; noi siamo già abituati ad avere punizioni qui in carcere, fuori vorremmo che le cose andassero diversamente.
Ornella Favero (Ristretti Orizzonti): Ti faccio un esempio, Elton. L’anno scorso a Civitas, la fiera del terzo settore, avevamo quindici detenuti in permesso per tre giorni; è successo che la prima sera, al rientro, uno ha portato dentro della "roba", ci siamo ritrovati subito gli articoli sui giornali, perché queste cose le paghi, e, il giorno dopo, siamo stati costretti a chiedere i documenti alle persone che venivano al nostro stand a trovare i detenuti: è una cosa orrenda, perché noi non siamo controllori, ma non è semplice gestire queste situazioni. Il problema dei "Piccoli Passi" è che hanno una struttura considerata protetta e, finora, l’hanno gestita in modo più aperto di quello che prevedeva la struttura stessa… adesso non è che chiudano, ma applicano la regola per cui, o c’è qualcuno 24 ore su 24, oppure non possono tenerla aperta sempre.
Francesco Morelli (Ristretti Orizzonti): Una cosa che mi ha colpito è che da voi l’alcol sia proibito. Il motivo lo posso immaginare, ma se uno va in un posto dov’è proibito bere e poi beve di nascosto non mi sembra il massimo della vita. Per me uscire dal carcere e dover fare le cose di nascosto è una cosa molto umiliante. Se tu aiuti le persone, portandole fuori dal carcere, allora introduci anche l’idea di spazi per fare un percorso, con riflessioni e ragionamenti: la proibizione chiude gli spazi di riflessione, ti mette di fronte ad un muro. Se guardi sui permessi non c’è scritto "non farà uso di alcol", ma "non abuserà di sostanze alcoliche", quindi questa proibizione assoluta l’avete messa voi alla casetta… così rischi di non confrontarti con le persone, ti imponi e basta…
Eleonora Dalla Pasqua: Tu metti in evidenza solo le esigenze della persona, ma non metti in evidenza la struttura ed il rispetto per chi porta fuori in permesso le persone detenute. La struttura è questa, se ne accetti le regole vieni, se non ti piace cerchi un’alternativa.
Ornella Favero: Con il problema del bere ti misuri continuamente, quando hai le persone in permesso. Non è il fatto di bere il bicchiere, il problema è dov’è il limite e come lo fai rispettare. È molto difficile proibire, io non l’ho mai fatto, ma non so cosa farei se avessi una struttura di quel tipo. Secondo me queste persone dovrebbero essere seguite, non da voi, ma da chi si occupa direttamente di questi problemi, e in una struttura di accoglienza forse questi operatori non dovrebbero mancare.
Marino Occhipinti (Ristretti Orizzonti): Se non ci fosse stato il problema dell’abuso penso che non sarebbero arrivati a mettere la regola. È vero che può essere fastidiosa la forma di controllo o la limitazione che hanno messo adesso, ma è meglio fare un passettino indietro, magari per un mese o due, piuttosto che ritrovarsi con questa struttura chiusa, il che significherebbe per tante persone non poter andare in permesso.
Max Canducci (Ristretti Orizzonti): Con le persone però bisogna comunicare, perché quando io vengo in prigione è perché ho commesso un reato, e non credo riescano a farmi capire il perché l’ho fatto a forza di restrizioni. E’ per questo che penso che, prima di arrivare a delle restrizioni di qualsiasi tipo, bisogna cercare di parlare alle persone.
Ornella Favero: Le persone, molto spesso, quando vanno in permesso in queste strutture pensano esclusivamente a sé, ma dovrebbero fare i conti col fatto che una struttura deve tutelare la sua sopravvivenza, perché è quello che viene messo in discussione, non il singolo permesso. Il fatto che ci siano delle regole di convivenza, dettate dalla necessità di far funzionare la struttura, mi sembra che sia accettabile… certo non credo che se uno beve una birra venga escluso dalla struttura. Però è chiaro che si parte sempre con l’idea di essere i più aperti, disponibili, democratici possibile e poi ci si scontra progressivamente coi problemi e ci si accorge che forse bisogna mettere dei paletti.
Eleonora Dalla Pasqua: Abbiamo visto strutture molto più robuste della nostra che sono andate incontro a problemi ben più gravi, arrivando a volte anche ad una chiusura temporanea. Noi di conseguenza abbiamo deciso di stare molto attenti, per meglio difendere il diritto di tutti di godere dei permessi premio in una struttura protetta come i "Piccoli Passi".
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