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Assistenza sanitaria in carcere: la parola ai medici
(Realizzato nel mese di settembre 1998)
A cura della Redazione
Quasi in contemporanea con la pubblicazione dei risultati del "questionario sulla salute" distribuito ai detenuti della Casa di reclusione di Padova, la redazione si è incontrata con i medici penitenziari che lavorano al "Due Palazzi", dr.. Guerrieri e dr. Montalto, e con il direttore dell’istituto, dott. Carmelo Cantone. Erano presenti anche i Vicedirettori. La disponibilità al confronto è stato l’aspetto più positivo di questa riunione, con i dirigenti sanitari che hanno risposto a domande e critiche e, su suggerimento del direttore, si sono dichiarati disponibili a farlo pubblicamente anche in futuro, tramite una rubrica sul nostro giornale (se avete questioni di interesse generale da sottoporre loro... scriveteci!). Il dibattito è così iniziato senza troppe formalità, con una domanda della redazione sulla situazione "generale" della medicina penitenziaria:
Che cosa pensate dell’ipotesi di "passaggio" della medicina penitenziaria alle U.S.L.? Montalto: Siamo contrari ed abbiamo perciò aderito allo sciopero nazionale, indetto dalla organizzazione sindacale di categoria. Fino ad oggi l’assistenza sanitaria nelle carceri è stata da molti punti di vista "di serie A" e pensiamo che non possa rimanere tale se avverrà il suo "passaggio" dal Ministero di Grazia e Giustizia a quello della Sanità. Tanto più che fare il medico penitenziario è molto diverso che fare il medico fuori, è come acquisire una nuova specializzazione. Si dice che ogni detenuto costi al Ministero 4.000.000 lire all’anno di spese sanitarie, a fronte di una erogazione di 1.500.000 lire che il Sistema Sanitario Nazionale effettua per ogni assistito fuori dal carcere. Solo che questi paragoni non hanno molto senso, perché non si tiene conto che in carcere ci sono circa 5.000 sieropositivi, c’è il problema della tubercolosi, dell’epatite, mentre fuori fanno una media dei costi per anziani, bambini, persone adulte etc., quindi le categorie che più necessitano di assistenza vengono bilanciate da quelle che hanno meno bisogno di cure.
Nelle vostre rivendicazioni sottolineate spesso la diversità tra lo svolgere la professione medica in un carcere e svolgerla fuori. In cosa consiste questa "diversità"? Montalto: La tipologia dei pazienti è diversa, la detenzione è la prima delle malattie e da essa deriva una serie di richieste di cure che non sarebbero necessarie in pazienti liberi.
A quali controlli sanitari viene sottoposto il "nuovo giunto", cioè colui che fa il suo primo ingresso in carcere? Guerrieri: Il "servizio nuovi giunti" comprende una visita medica generale e, qualora si ritenga di dover procedere ad ulteriori esami, vengono svolte analisi ematologiche. Non possiamo naturalmente effettuare il prelievo del sangue senza l’assenso del paziente. Montalto: La maggior parte dei detenuti arriva in questo istituto proveniente da altre carceri, quindi già con la sua cartella clinica. Diversa è la situazione nelle Case Circondariali, dove l’afflusso avviene prevalentemente dall’esterno e non si hanno notizie sanitarie sugli arrestati. Ad ogni modo se il medico ha ragione di credere che un detenuto sia affetto da una malattia contagiosa ne dispone l’isolamento, fino a che non sia accertato il contrario.
Perché nelle carceri non viene fatta alcuna campagna di informazione sulla profilassi delle malattie infettive, come ad esempio succede nelle caserme ed in altri luoghi di vita comunitaria? Montalto: Certamente sul piano dell’informazione si può fare di più. E potreste collaborare anche voi, attraverso il giornale (la proposta è interessante, a patto che i medici ci diano un supporto scientifico).
Alcuni compagni lamentano la "prodigalità" nella prescrizione degli psicofarmaci, usati praticamente come "Medicina per tutti i mali". Montalto: Da parte dei detenuti c’è una notevole richiesta di psicofarmaci, a volte in maniera strumentale; noi medici dobbiamo sempre accertare il loro reale bisogno prima di prescriverli. Anche per questo siamo affiancati da uno psichiatra, che decide il trattamento più opportuno per ogni singolo paziente. Chi si lamenta di avere terapie troppo "vigorose" costituisce comunque un caso anomalo, di solito avviene il contrario, ci viene richiesto l’aumento del dosaggio.
Avete occasione di lavorare assieme agli psicologi che operano nell’istituto? Montalto: No, noi facciamo piuttosto riferimento allo psichiatra; lo psicologo è un operatore più simile alla figura dell’educatore che a quella del medico. Direttore: C’è in realtà una situazione generalizzata, più frequente al giudiziario, che vede una richiesta di psicofarmaci "a bidoni": il detenuto in un certo senso chiede al medico di fare più che altro "il farmacista". Altra cosa sono invece le situazioni in cui ci sono terapie prescritte insieme agli psichiatri.
Con quale criterio decidete che le condizioni fisiche di un malato sono compatibili, o meno, con la detenzione? Montalto: Se le cure di cui ha bisogno non possono essergli prestate in carcere il suo stato di salute è incompatibile con la detenzione. Guerrieri: Oggi comunque, siamo in grado di fare fronte alla cura anche di gravi malattie come l’A.I.D.S. con la somministrazione di farmaci che ne contrastano il progredire. Qui, con la consulenza dell’infettivologo, vengono usati cinque tipi di retrovirali. Tra l’altro questa è una terapia che può costare anche trecento mila lire al giorno.
Proprio riguardo ai farmaci abbiamo riscontrato un certo malcontento: alcuni si esauriscono nel bel mezzo di cure programmate, altri vengono acquistati direttamente dai detenuti ma arrivano con settimane di ritardo. Guerrieri: A volte, in mancanza di un prodotto, ne prescriviamo un altro che contiene il medesimo principio attivo, cambia solo la confezione e non l’efficacia per il paziente. Montalto: I farmaci a pagamento che vengono consegnati dopo settimane di attesa sono di scarsa importanza, saranno collutori; se fossero di stretta necessità arriverebbero ovviamente più in fretta.
Quando un detenuto viene ricoverato in ospedale i medici penitenziari continuano ad occuparsene come fanno i "medici di famiglia" fuori? Montalto: Certamente, i sanitari che lo prendono in cura si consultano con noi, ci richiedono le cartelle cliniche e tutte le informazioni utili.
Però ci è stato segnalato che i ricoveri al "bunker" sono veri incubi... Direttore: Il "bunker" è un reparto di sicurezza allestito presso l’Ospedale Civile, il cui controllo è affidato alla Polizia Penitenziaria. Chi ci viene ricoverato riceve da medici ed infermieri le cure che normalmente essi prestano ai degenti negli altri reparti ospedalieri. Gli vengono portati i pasti e gli viene pulita la stanza. Rispetto al carcere non può uscire "all’aria", non ha la televisione e, generalmente, è da solo nella stanza: quindi si comprende che possa trovarsi a disagio, però va sottolineato che si trova lì essenzialmente per essere curato.
Alcuni compagni lamentano la mancanza di un rapporto di fiducia tra medico e paziente, con visite formali e sbrigative. Montalto: Ogni giorno io ed il mio collega, coadiuvati da un medico di turno, effettuiamo un centinaio di visite ed il lunedì sono anche più numerose (dopo la "sosta" festiva - n.d.r.). E’ fatale che il tempo disponibile per ogni paziente non sia molto e che l’alternarsi dei medici di turno tolga riferimenti a chi vi si rivolge. Personalmente posso dire di aver instaurato buoni rapporti con diversi pazienti, non con tutti ovviamente, non è sempre facile.
Una nutrita serie di segnalazioni riguarda l’ambulatorio dentistico, l’igiene, le attese per essere chiamati alla visita, le discriminazioni per chi non può pagarsi le cure. Montalto: Le critiche sull’igiene sono dovute spesso a "luoghi comuni" sul lavoro del dentista. Gli strumenti odontoiatrici vengono sterilizzati in autoclave (cioè a temperature superiori ai 100°- n.d.r.) e il dentista naturalmente deve usare una serie diversa di ferri per ogni paziente. Certo lo stanziamento per gli impianti di protesi dentarie è limitato e naturalmente la precedenza viene data a quanti hanno un difetto funzionale piuttosto che a coloro che devono rimediare ad inestetismi. Comunque stiamo cercando di migliorare il servizio dentistico.
Si verificano, a volte, difficoltà nell’avere copia delle nostre cartelle cliniche... Direttore: Attualmente il rilascio di copia delle documentazioni contenute nelle cartelle cliniche è abbastanza semplice da ottenere. L‘interessato deve farne richiesta motivata (ad esempio: per farle visionare da un medico di fiducia esterno) e, di norma, essa viene accolta.
Sarebbe pensabile costituire una "commissione sulla salute" all’interno del carcere, sul modello di quella che controlla il vitto? Direttore: La commissione cucina però non valuta il lavoro dei cuochi! Guerrieri: E poi succede già ora che vengano inoltrati reclami a sproposito, non solo al Magistrato di Sorveglianza ed al Ministero di Grazia e Giustizia... perfino alla Corte Europea di Strasburgo per i Diritti dell’Uomo! Direttore: ci vuole uno sforzo particolare per cercare di dare più informazione, e per evitare i luoghi comuni che, rispetto ai problemi sanitari, ci sono anche in libertà. Qui è necessario più che mai ritrovare una relazione costruttiva tra paziente e medico.
Alcune considerazioni fatte in Redazione Pur apprezzando l’apertura al dialogo da parte dei dirigenti sanitari, credo che alcune loro risposte andrebbero approfondite. Comincerei proprio da quest’ultima, dai reclami fatti "a sproposito": in realtà di solito si tratta di tentativi disperati di attirare l’attenzione su situazioni insostenibili. Ricordo di un compagno che attendeva da un paio di anni una protesi dentaria, finche ricorse al seguente stratagemma, scrisse al Ministero: "Chiedo di essere trasferito in un carcere che disponga dei fondi necessari a farmi la dentiera...". Rimase a Padova e, in poche settimane, ebbe i suoi "denti nuovi"! Anche la questione degli psicofarmaci forse non è semplice come a volte si crede. I compagni che ne abusano vogliono stordirsi e dormire il più possibile perché non trovano alternative valide per "riempire" la giornata. Il carcere non sempre gliene dà, infatti solo un terzo della popolazione detenuta è impegnata in attività lavorative e culturali. Le visite mediche con tempi di attesa troppo lunghi o con "sospetto di simulazione" innescano un circolo vizioso: il paziente non si sente preso in considerazione e chiede di essere visitato, il medico lo "accoglie" ancora più freddamente... e così via, all’infinito! Per concludere, sarebbe utile tornare prossimamente sull’idea che l’operato dei medici penitenziari possa essere controllato da un "comitato di difesa del malato". Se noi non abbiamo la competenza per farne parte, diverso sarebbe per dei professionisti che vengano dall’esterno: non lasciamo perciò cadere la proposta, riparliamone!
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