Incontro con Gianfranco Bonesso

 

Incontro con Gianfranco Bonesso ed i mediatori culturali

 

Gianfranco Bonesso lavora per il Servizio Immigrati del Comune di Venezia. Ci siamo incontrati con lui (e con altri due mediatori culturali) nell'ambito delle attività previste dal progetto regionale "Marco Polo 2"

 

(Realizzato nel mese di novembre 2001)

 

Gianfranco Bonesso

Prima di parlare della mediazione è bene capire a cosa serve questo ponte tra italiani e stranieri e quali sono davvero le differenze culturali, perché a mio avviso c’è troppa sottolineatura delle differenze culturali senza scavare bene per capire cosa sono, senza vederle nella vita quotidiana. Così si rischia che diventino degli stereotipi, che poi, nella relazione diretta, nella vita di tutti i giorni, vengono a cadere, o diventano al contrario l’ostacolo principale.

Quindi, in questi incontri di sensibilizzazione alla mediazione, di sensibilizzazione alle differenze, ci deve essere questa discussione, ma anche questo scambio.

L’altra volta abbiamo distribuito un questionario e ne sono tornati ventidue. Adesso vedremo di ricostruire assieme alcune risposte. Vi darò i questionari: guardate che non siano i vostri, in modo che ci sia distacco rispetto a quello che c’è scritto. Commenteremo queste risposte, cercheremo di scavarle. Il tema è sempre quello: le differenze, quali differenze (ovviamente nel vostro ambito, che è quello di detenzione), se le differenze pesano, qui dentro, oppure no.

Già su questo aspetto, se pesano o non pesano, ci sono delle risposte diverse, perché ci sono dei "sì" ma ci sono anche tanti "no": cioè, secondo alcuni di voi, non è il fatto di essere straniero che fondamentalmente cambia la vita qui dentro.

Vediamo la prima domanda, che è molto semplice: "Ci sono aspetti, secondo te, che differenziano la situazione di detenzione tra stranieri e italiani?". Qui le risposte sono o "sì", o "no": in totale sono diciassette i sì e cinque i no. Diciassette di voi rispondono sì: cosa vuole dire? La maggioranza di voi ritiene che ci sono aspetti differenti, nella vita dentro il carcere, tra stranieri e italiani. Questa è già una considerazione importante. Voi siete d’accordo su questa cosa ed avete commenti da fare?

 

Ornella

Su una questione sono sicura che le differenze sono forti, ed è sui benefici; sulla vita in carcere, al di là dei problemi di comprensione linguistica, sono più perplessa che siano così tante le differenze.

 

Francesco

A volte le differenze sono date dalla situazione economica delle persone, perché spesso gli stranieri hanno meno soldi degli italiani. Certo, ci sono anche italiani poveri, ma in prevalenza i più poveri sono gli stranieri.

 

Nicola

Se sono italiano e combino qualcosa, gli agenti me la possono anche far passare; se la stessa cosa succede ad uno straniero, è più facile che gli rompano il fondoschiena.

 

Paola

Non sono solo i benefici difficili da ottenere, ma anche la mancanza di rapporti con l’esterno che mettono lo straniero in condizioni di esasperazione. Poi c’è una prospettiva diversa per il fine pena, con una condizione psicologica che sicuramente è diversa da quella di un italiano.

 

Gianfranco Bonesso

Ci sono delle differenze, però vediamo che non è una risposta corale; ci sono anche dei "no", quindi vuol dire che vi è un bilanciamento che va incontro un poco a tutte queste differenziazioni che voi ponete. Io posso commentare una cosa: salvo forse per chi ha risposto che manca un luogo per pregare, molte risposte hanno poco a che fare con le differenze culturali vere e proprie, ma riguardano delle questioni che sono, come dire, strutturali. Esasperazione e difficoltà psicologiche sono legate a situazioni di contesto, chiamiamolo "contesto legale" o "contesto penale", che penalizza di più alcuni, rispetto ad altri.

 

Nicola

Però bisogna tenere presente che noi qui dentro, italiani e stranieri, lavoriamo assieme da tanto tempo e ci vogliamo anche una sorta di bene, l’uno con l’altro…

 

Gianfranco Bonesso

Il questionario è stato fatto da un gruppo di persone abbastanza omogenee, tra le quali probabilmente certe cose sono superate. Di qui la spiegazione di certi aspetti, che sono stati accantonati o, comunque, non resi come principali. Sono alcuni aspetti delle differenze che abbiamo normalmente anche tra noi italiani, se vogliamo, ma sicuramente sono più forti in una persona che viene da un altro paese, che ha altri riferimenti.

I vostri primi commenti non sono stati improntati a dire "è diverso perché è islamico, è diverso perché mangia cose particolari". Invece avete guardato a una situazione piuttosto strutturale, nella quale un aspetto molto interessante, che accomuna e tocca molto, è l’aspetto della povertà, della capacità e della possibilità.

Anche in questo rientrano gli atteggiamenti culturali, perché è vero che l’atteggiamento degli agenti nei confronti degli stranieri è diverso, però, secondo me, dipende anche dal fatto che, sempre senza generalizzare, forse per questioni culturali è più difficile che lo straniero quando ha un battibecco con l’agente abbia un comportamento accomodante, come furbescamente farebbe un italiano.

A me interessa che arriviamo a queste culture diverse, ma che ci arriviamo senza mettere per forza nelle differenze culturali tutte le differenze.

Adesso vediamo se le cose che dite sono vere, perché dalle risposte si vede la provenienza un poco diversa. La seconda domanda dice: "Indica tre ragioni di distinzione tra la carcerazione degli stranieri e quella degli italiani". Siccome questa domanda è un poco complessa, io cercherò, dalle cose che mi dite, di sintetizzare una parola chiave.

Su ventidue, cinque non hanno messo ragioni. Le ragioni indicate dagli altri sono: problemi di lingua, problemi di cultura diversa e, solo uno, dice "problemi di religione". Ci sono poi altri aspetti, abbastanza isolati, legati a problemi strutturali del carcere: minore attenzione da parte degli operatori (e qui si tratta di vedere il perché); mancanza di comprensione (però questa è legata, in parte, alla lingua); assenza di colloqui con i familiari, per motivi strutturali; vi è inoltre "un’incompatibilità di carattere", ma questo non è cultura, è qualcosa di più e di meno, cioè ha a che fare probabilmente con i singoli; infine c’è una "discriminazione nell’assegnazione al lavoro".

  

Omar

In rotonda due, dove esiste solo un lavoro manuale di pulizia, lavorano solo gli stranieri e mai gli italiani: i lavori mal retribuiti, o degradanti, vengono assegnati solo a noi stranieri.

 

Nicola

A Padova non succede questo, in altri istituti magari sì, ma a Padova questo è molto limitato e magari diventa un luogo comune.

 

Ornella

Non credo che questo sia del tutto vero e suppongo sia veramente un luogo comune, comunque propongo di fare una statistica in merito, di reperire informazioni esatte dagli educatori. Secondo me le direzioni sono molto attente a questa cosa, molti stranieri sono disagiati e per questo vengono assegnati ai lavori di pulizia, che sono anche i più semplici, i meno impegnativi.

 

Gianfranco Bonesso

Queste cose si chiamano rappresentazioni della realtà, cioè come una persona si immagina siano le cose. Per andare a verificare va benissimo fare una statistica, dopo di che se ne trarrà un risultato oggettivo e, se poteste fare una graduatoria dei lavori che sono più ambiti, questo sarebbe un dato statistico ancora più interessante.

Però abbiamo anche sentito, dai vostri discorsi, che se uno di voi potesse scegliere a chi lasciare un posto di lavoro lo passerebbe al proprio "paesano".

 

Graziano

Al di là della nazionalità, qui ci sono dei piccoli gruppi, con cui si fa la socialità o con cui si hanno dei rapporti più confidenziali, persone che sono il sostituto affettivo della famiglia, e diviene una cosa normale lasciare il tuo posto di lavoro a chi a te è più congeniale o amico… se io posso favorire qualcuno favorisco uno del mio gruppo.

 

Gianfranco Bonesso

Ecco, noi ora stiamo ragionando su quelli che potrebbero essere i criteri. Un criterio potrebbe essere la provenienza, ma anche la solidarietà: quello lì ha tanto bisogno ed io provo ad aiutarlo. Poi, come si diceva prima, io non voglio fare brutta figura ed allora posso favorire anche uno che sa fare quel determinato lavoro.

 

Francesco

Bisognerebbe anche capire quanti di noi hanno un compagno di cella di nazionalità diversa: qui a Padova siamo in due per cella, quindi di solito il compagno lo si sceglie e mi sembra abbastanza raro che in una cella ci siano persone di nazionalità differente.

 

Ornella

Va detto che questa di Padova è una Casa di Reclusione, con gente che ha mediamente pene lunghe. È diversa da un carcere circondariale, dove è molto più facile che si creino situazioni più pesanti: a Bologna, per esempio, gli stranieri, in alcune sezioni almeno, sono separati dagli italiani, a causa dei conflitti che si erano creati.

 

Graziano

Nella mia carcerazione ho avuto compagni di cella che erano davvero dei pazzi, o degli alieni, veramente extraterrestri, ma non è importante la nazionalità di provenienza quanto lo stile di vita in cella. Perché per esempio, se io ho un’attività, vado a dormire presto e, di conseguenza, mi alzo presto, cerco di mangiare regolare e non sto a vedere la televisione sino alle quattro di mattina.

Allora, piuttosto che un connazionale che tiene accesa la televisione tutta la notte, preferisco uno straniero che abbia maggiori affinità con il mio stile di vita.

 

Gianfranco Bonesso

Non abbiamo ancora parlato della cultura delle istituzioni: la cultura del carcere, la cultura istituzionale, favorisce o non favorisce quella che in sociologia si chiama "etnicizzazione", cioè il fatto di avere comunque un’appartenenza?

Il contatto quotidiano, il farsi la doccia assieme, il mangiare assieme, dovrebbe mettere in contatto le persone come singoli esseri umani al di là delle provenienze, ma così evidentemente non è, perché ci sono meccanismi che portano a risultati contrari.

Il problema della lingua c’è sempre e comunque, ma ci sono alcuni aspetti culturali che sono tradotti nello psicologico: la mentalità, il modo diverso di vedere le cose, l’essere educati e rispettosi oppure no. Su questo avremmo molto da lavorare, perché un conto è essere incompatibili con uno che ti fuma in cella, (io che non fumo potrei avere molte difficoltà), ma è una questione solo di mentalità o c’è dell’altro? È una questione di abitudini, o di sapersi gestire?

Il passaggio tra il culturale e lo psicologico personale, addirittura del sangue "io ce l’ho nel sangue e lui sarà sempre diverso da me", insomma questi aspetti primordiali, biologici, cromosomici, sono molto diffusi nelle rappresentazioni esterne. Un aspetto culturale diventa addirittura un aspetto biologico: si chiama darwinismo sociale, se volete. Cerchiamo di capire perché un milione, o due milioni, o dieci milioni di persone in Italia potrebbero pensarla in questo modo: è questo che ci interessa.

Allora, io ho degli amici stranieri, perché lavoro con alcune persone straniere da anni, in particolare con un ragazzo turco e con un altro ragazzo, sempre turco, però mussulmano islamico. Ecco, io li ho aiutati, ci siamo visti moltissimo, ma alla fine, nel nostro rapporto personale, esistono sempre due cose su cui non ci si riesce a capire: la prima questione è Dio e la seconda è la famiglia.

Su tutte le altre questioni, pur con sfumature diverse, alla fine ci si capiva, ma a proposito di religione (non perché lui fosse particolarmente religioso, o io fossi particolarmente non religioso), per lui era impossibile concepire che io non credessi in Dio e che credessi che dopo la morte non c’è niente. Anche mia madre è un poco così, ma poi lei capisce, è abituata perché in Italia c’è stata un’evoluzione del pensiero laico.  

L’altra questione difficile è la famiglia, perché per questo mio amico era del tutto incomprensibile che a una certa età uno non fosse sposato, non avesse dei figli: per lui era fondamentale il legame con la famiglia, l’identità legata alla famiglia.

Questa concezione della famiglia è diversa da quella che avevamo noi in passato, anche se ogni tanto diciamo: "Anche noi, venti anni fa…". No, è un’altra cosa, e su questo io mi sono lasciato un terreno aperto perché bisogna che noi ne sappiamo di più.

 

Paola

Aggiungo una riflessione, che sto facendo da qualche tempo, che riguarda invece il rapporto con la legge. Secondo me lo straniero che viene in Italia nel 90% dei casi è consapevole che sta trasgredendo. Entra clandestinamente, poi magari arriva il permesso di soggiorno e arriva tutto il resto, però la consapevolezza di essere dei trasgressori, di essere fuori dalla legge, secondo me, modifica le cose già in partenza.

 

Gianfranco Bonesso

Io conosco alcuni gruppi nazionali che hanno un’idea di legalità molto forte, anche se è vero che la trasgressione è una cosa diversa. Tra i filippini ci sono moltissimi irregolari, ma non accetterebbero assolutamente di essere messi su un livello di trasgressione, perché certe regole vengono ritenute meno importanti dei soldi per mangiare e, quindi, del venire in Italia regolarmente.

 

Graziano

Può essere che, per una qualche questione culturale, si ritenga che nel paese dove si giunge si possano fare cose che non si farebbero mai a casa propria, per esempio, quando gli inglesi vanno in Spagna fanno sfracelli.

 

Pilar

Secondo me non è così, io sono colombiana e sono cresciuta nel mio paese, e quando sono venuta in Italia avevo solo 17 anni, però ho cercato di fare, in un certo senso, ancora meno di quello che facevo nel mio paese, comunque cercavo di evitare di essere messa in mezzo a dei casini.

 

Paola

Io penso che un dato sicuramente importante è a che età si arriva e con chi e da dove: se io sono una donna filippina e lascio quattro figli al mio paese, sono qua per lavorare, per alzare il livello economico della mia famiglia. Ho più difficoltà a fare un eguale confronto con i senegalesi o i nigeriani, ma questa non è un’analisi che spetta a me.

 

Gianfranco Bonesso

Qui occorrono precisi dati culturali, ma anche qui c’è la discussione tra sociologi e antropologi: sono solo le condizioni in cui arrivano a determinare il comportamento degli immigrati? Per cui se io, marocchino di 16 anni, arrivo a Genova ed ho questa idea dell’avventura ed ho voglia di fare delle cose e di provarle, probabilmente c’è una propensione a trasgredire, rispetto magari a delle cose che non farei mai nel mio paese di provenienza.

Ma stiamo in guardia da una cosa: non è che le culture sono così diverse. Come noi abbiamo l’antenna parabolica e vediamo tutto il mondo, così anche in Marocco forse si vede il mondo, quindi se noi prendiamo solo la parte che ci interessa, ci sono anche altri che prendono la parte che a loro interessa. Il mondo è davvero globalizzato, i nostri collaboratori che vanno in Marocco un anno sì e l’altro no, ogni volta mi dicono che là è cambiato tutto. A scuola ho fatto un lavoro di sensibilizzazione sul discorso delle feste tradizionali e invece è cambiato tutto, perché anche lì le ragazze sono molto laicizzate, sono molto più libere, quindi noi abbiamo un’idea del Marocco che è superata, invece le culture cambiano, sono in contatto tra loro e si scambiano le cose. Le persone forse non sono abituate a questo scambio, ma non è che non sanno.

Come quando si viene in carcere e dopo un poco di tempo si apprendono tutte le regole, così quando uno viene in Italia magari non saprà il dettaglio legale (che poi il dettaglio legale non lo conosciamo neanche noi…) ma il resto lo sa benissimo. Allora, il problema è capire a che progetto mira uno, questa è la differenza che troviamo tra un utente e un altro che viene ai nostri sportelli.

"Il mio viaggio come è stato? Mi fermo qui o no? Mi sposo qui o… ho lasciato mia moglie di là?" I senegalesi, come saprete, sono tutti sposati ed hanno lasciato la moglie al loro paese, quindi anche questa è una scelta. "Resto qui o vado a casa una volta ogni sei mesi e faccio i figli lì?". Poi c’è il mito del ritorno al paese di origine…

 

Omar

Quando arrivi spesso non hai un punto fermo, non sai dove andare o cosa fare, quindi anche l’entrare in un bar e aggregarsi è utile per capire, per apprendere.

 

Gianfranco Bonesso

Ma perché alcuni sono disponibili a certe cose e altri, che magari al loro arrivo trovano le stesse condizioni, non sono disponibili a farle? Qui una riflessione occorre farla e riguarda alcune differenze: lingua, esperienza di immigrazione, lontananza dai luoghi della propria infanzia e inculturazione. "Inculturazione", "acculturazione" e "deculturazione" sono tre cose diverse: inculturazione vuole dire quando si apprende la propria cultura; acculturazione è quando si apprende un’altra cultura, cambiando la propria, quindi mescolando, e deculturazione non è altro che la distruzione della propria cultura. 

Un immigrato, in Italia, è a rischio di deculturazione, cioè di distruggere tutto quello che ha imparato nella propria esperienza, perché è lontano dal luogo dove è cresciuto ed ha appreso le sue basi culturali.

 

 

Precedente Home Su Successiva