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Con
la legge Bossi - Fini, sono ancora possibili
(Realizzata nel mese di luglio 2003)
A cura di Francesco Morelli
Emilio Santoro (Associazione "L’altro diritto"), risponde ad alcune richieste di chiarimento in merito all’applicazione della legge Bossi – Fini ed, in particolare, all’espulsione dei detenuti stranieri
Gentile professore, abbiamo letto con attenzione il suo l’articolo "Il carcere non è un centro di permanenza temporanea" (che abbiamo anche pubblicato nel nostro sito) e, al riguardo, le inviamo alcune osservazioni e richieste di chiarimenti, che derivano dalla nostra esperienza di rapporto con la magistratura, in particolare quella di sorveglianza.
Contro la decisione del giudice che, ai sensi dell’art. 16 comma 1 Dlgs 286/98, dispone l’espulsione dello straniero a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione, non è possibile alcun ricorso, in particolare quando si procede con il rito ordinario (non con il patteggiamento)? Non è possibile rifiutare la sanzione sostitutiva, chiedendo di essere sottoposti ad un normale processo, quindi con l’opportunità di presentare, eventualmente, appello contro la sentenza di primo grado? (questo sarebbe importante per coloro che non sono colpevoli e vogliono provarlo, dato che oggi l’espulsione sostitutiva alla detenzione viene eseguita anche se la sentenza non è definitiva, quindi in un momento nel quale dovrebbe valere una presunzione di innocenza).
Questo è un problema molto delicato. L’espulsione come pena sostitutiva non può essere effettuata sicuramente finché non è pena, quindi fino a quando la sentenza non è diventata esecutiva. Questo è pacifico. Il problema è: se la questura provvede non di meno all’espulsione sulla base di una sentenza non definitiva, come si fa a bloccarla? La cosa è molto difficile. Le vie percorribili sono: il ricorso gerarchico contro il provvedimento della stessa questura che dispone dell’espulsione mediante accompagnamento... il problema è che non è chiaro a chi questa impugnazione debba essere fatta. C’è chi sostiene che il ricorso debba essere fatto al prefetto chi al ministro e comunque anche se fatto al prefetto non è detto che riesca a bloccare la procedura di espulsione. Si può provare a fare ricorso al giudice competente per le espulsioni chiedendo che l’annulli per mancanza dei presupposti (condanna definitiva) ma anche in questo caso non è detto che il giudice si riconosca competente (va motivata bene l’impugnazione altrimenti il giudice dice che gli si chiede di sindacare il provvedimento di un’altro giudice, va chiarito che gli si chiede di sindacare l’ordinanza del questore che dispone l’effettuazione dell’espulsione mediante accompagnamento per mancanza di presupposti) né che fissi l’udienza in tempo. Sicuramente la cosa si potrebbe far valere di fronte al giudice che convalida il trattenimento nel CPT dello straniero in attesa di effettuare l’espulsione, ma di solito questo giudizio non c’è perché il soggetto viene trattenuto in carcere e non nel CPT. L’ultima possibilità è quella di far valere la mancanza di presupposti di fronte al giudice che convalida l’accompagnamento alla frontiera, ma questo è un provvedimento che viene emesso con rito camerale senza contraddittorio... è quindi indispensabile che l’avvocato abbia l’eccezione pronta e presenti tempestivamente memoria (di solito gli lasciano poche ore di tempo per farlo)... Prendete con le molle quello che vi dico, non sono sicurissimo è una materia molto delicata e difficile. Confrontate il mio parere con quello di altri!
Su quali basi è possibile impugnare, dinanzi al Tribunale di Sorveglianza, il decreto con il quale il Magistrato di Sorveglianza dispone l’espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione? L’impugnazione è possibile anche quando l’espulsione riguarda uno straniero che non ha mai avuto il permesso di soggiorno (la maggioranza dei casi)? Se il Tribunale di Sorveglianza rigetta l’impugnazione, è prevista la possibilità di presentare ricorso per Cassazione?
L’impugnazione è sempre possibile, il problema di trovare un motivo è complicato. Diciamo che ci si può sempre appellare ad uno dei motivi dell’art. 19 del T.U. (anche pretestuosamente ... per esempio si può dire che c’è il rischio di essere perseguitato), allo stato di salute del detenuto (eventuali disturbi psichici, stato di tossicodipendenza, etc.), si può sempre contestare la certezza dell’identificazione, ma soprattutto, a mio parere, si può contestare l’esistenza di una pena pecuniaria da eseguire (che non viene sostituita dall’espulsione) oppure l’interruzione del percorso di reinserimento sociale già avviato (se il soggetto ha cominciato ad usufruire dei permessi) richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di art. 4 bis. Il motivo del ricorso può essere pretestuoso, perché poi il punto centrale è sollevare di fronte al tribunale l’eccezione di incostituzionalità (che, se fatta propria dal Tribunale, sospende l’espulsione), sulla II parte dell’art. 16.
Chi ha l’espulsione in sentenza (come misura di sicurezza da eseguirsi al termine della pena) e riesce, tramite un’udienza per la rivalutazione della pericolosità sociale, ad ottenere la revoca di questa misura, può ugualmente vedersi decretare l’espulsione come misura alternativa alla detenzione?
Il problema non dovrebbe porsi, perché la revisione della misura di sicurezza si fa a fine pena, quindi a quel punto non c’è più rischio di vedersi applicare la misura alternativa dell’espulsione.
Per quanto riguarda la conversione delle multe in libertà controllata, a Padova succede che il Magistrato di Sorveglianza non prende neppure in considerazione le richieste dei detenuti (stranieri e italiani), poiché soltanto la Procura può chiedere al Magistrato di procedere in tal senso. Noi stiamo inviando in Procura delle dichiarazioni di insolvenza, con il sollecito ad attivare la richiesta di conversione ma, finora, senza aver ottenuto alcun risultato. Se la Procura non chiede la conversione delle multe, è possibile rivolgersi a qualcun altro?
La competenza sull’esecuzione delle pene pecuniarie era stata attribuita al giudice dell’esecuzione dal T.U. sulle spese giudiziarie, ora (da due settimane) la Corte costituzionale sembra averla riportata al magistrato di sorveglianza. Forse era questo il problema. Ora il magistrato di sorveglianza dovrebbe rispondere... faccio comunque presente che, rimanere con l’esecuzione della pena pecuniaria sospesa, se i giudici accettano l’idea che non si può espellere chi deve pagare la pena pecuniaria, è un vantaggio... consente di rimanere in Italia.
Sulla rateizzazione delle multe (per un massimo di 30 rate) il problema è che viene concessa soltanto a chi può fornire qualche garanzia: nella nostra esperienza, un lavoro interno al carcere, o in misura alternativa. I compagni stranieri possono quindi avere la rateizzazione finché sono detenuti, o in semilibertà, etc.. Dal momento nel quale la pena detentiva è terminata, non possono più avere un lavoro in regola (se non hanno un permesso di soggiorno in corso di validità), quindi non possono fornire garanzie sulla disponibilità di denaro per il pagamento delle rate. Se un Tribunale chiede di fornire queste garanzie, mi sembra un po’ azzardato rispondere che, ottenendo la rateizzazione, si ottiene poi anche la possibilità di lavorare in regola… quindi ci sarebbero i soldi: è un po’ il gatto che si morde la coda! Infine, c’è da dire che molti stranieri sono condannati per reati di droga che, notoriamente, prevedono multe altissime, di decine di milioni di lire. Anche suddividendole in 30 rate, avrebbero comunque da pagare cifre notevoli, cosa improponibile per chi esce dal carcere e deve ripartire da zero… quindi le chiederei di spiegarci meglio come potremmo rendere effettivamente realizzabile la sua proposta riguardante il pagamento rateale delle multe, per contrastare la Bossi - Fini.
Sicuramente la rateizzazione la possono chiedere quelle persone che hanno un reddito. Di fatto, la possono chiedere le persone che sono in misura alternativa e quindi hanno un lavoro e che continueranno a lavorare anche una volta finita l’esecuzione della pena. La mia tesi è che il fatto di essere in esecuzione di pena consente loro di continuare a lavorare, come se fossero detenuti, anche se irregolari e, quindi, in teoria in assumibili. Lo stato di soggetto in esecuzione pena dovrebbe consentire infatti ai datori di lavoro di stare tranquilli (ma sarà una lunga discussione con gli uffici del lavoro, che spesso ancora si rifiutano di iscrivere anche le persone in esecuzione pena!). Quando uno lavora fa la cessione del quinto dello stipendio e paga le 30 rate... alla fine del pagamento delle 30 rate il t.u. sulle spese giudiziarie dice esplicitamente che il giudice convertirà la parte residua in libertà controllata. La conversione in libertà controllata che, comunque, dovrebbe impedire l’espulsione, è l’unica strada percorribile da chi non ha lavoro (ma anche questa richiede che si trovi un posto dove la persona possa stare e un lavoro per mantenersi...)
Riguardo alla non retroattività della Bossi - Fini, per quel che riguarda l’impedimento a rinnovare (o rilasciare!?) i permessi di soggiorno, deve intendersi applicabile a tutti gli stranieri detenuti al momento dell’entrata in vigore della legge? Soltanto a quelli in esecuzione pena al momento dell’entrata in vigore della legge? Solo a quelli ammessi a misure alternative alla detenzione al momento dell’entrata in vigore della legge? Per quella che è la nostra esperienza, già prima della Bossi – Fini le questure si rifiutavano di prendere in considerazione le richieste di rinnovo del permesso di soggiorno provenienti dal carcere, in forza di una circolare del Ministero dell’Interno, che riporto integralmente (4.09.2001 P.N. 300/C/2001/3595/A/L264/1^ DIV "…l’art. 5 comma 4 del Dlgs 286/98 detta le condizioni a cui deve essere sottoposto il rinnovo del permesso di soggiorno, che riguardano i motivi e la sussistenza dei requisiti necessari al rilascio e la cui verifica deve essere effettuata dall’Autorità di P.S. … nel caso di richiesta volta ad ottenere il rinnovo presentata da un cittadino extracomunitario in stato di detenzione, si deve precisare che l’istanza non può essere accolta, atteso che la verifica della sussistenza dei requisiti necessari, caratterizzanti la tipologia del permesso invocata, è obiettivamente superata dal provvedimento dal provvedimento dell’A.G. in forza del quale l’interessato è detenuto. In sostanza, si può ben sostenere che tale provvedimento contiene in se stesso la caratteristica di autorizzazione al soggiorno, rendendo vano un ulteriore intervento, peraltro di natura amministrativa, dell’autorità di P.S."). Temiamo che oggi la situazione sia perfino più brutta, quindi, nel caso il rinnovo venga rifiutato (non parliamo di concederne di nuovi!), è possibile tentare qualche strada diversa?
La irretroattività della Bossi - Fini vuol dire che non si può applicare la normativa a chiunque abbia commesso un reato precedentemente alla sua entrata in vigore. Che la Bossi - Fini non è retroattiva vuol dire che si applica la normativa previgente, che fondava la mancata concessione del permesso di soggiorno sulla pericolosità del soggetto. Se è vero, come dice la circolare, che questa si può considerare implicita nel provvedimento dell’autorità giudiziaria, è anche vero che, se l’autorità giudiziaria la esclude, non ci sono i presupposti per non rinnovare il permesso di soggiorno. Per cui, chi va a chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno (oltre ad avere i requisiti dell’alloggio e del lavoro), deve avere o un’ordinanza del giudice di sorveglianza che lo dichiara non pericoloso, o provenire da una misura alternativa andata a buon fine (che automaticamente implica la non pericolosità). In altre parole, serve munirsi di un provvedimento dell’autorità giudiziaria che neutralizzi quello di condanna.
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