Salvatore Pirruccio

 

Certe esplosioni di violenza sono la spia di un malessere 

diffuso che riguarda la generalità dei detenuti

 

In un’intervista al direttore, Salvatore Pirruccio, una fotografia della 

Casa di reclusione di Padova e dei piccoli e grandi disagi della vita in galera

(Realizzata nel dicembre 2004)

 

 

Non è un carcere modello, ma non è nemmeno “una galera” come ce n’è tante in Italia, con letti a più piani e gente che passa in branda buona parte della carcerazione: la Casa di reclusione di Padova è considerata un carcere “decente”, e la decenza forse è il massimo che ci si possa aspettare dagli istituti penitenziari del nostro Paese. Però se a livello nazionale si tagliano i fondi per la sanità in carcere e se i numeri del personale che dovrebbe occuparsi del cosiddetto “trattamento” e del reinserimento delle persone detenute sono oggi ridicoli, è evidente che anche a Padova si comincia a stare male, cresce la tensione e il clima è a volte pesante.

L’ultimo fatto, ne abbiamo già parlato nel numero di dicembre del nostro giornale, è stato l’aggressione subita da un’educatrice, a seguito della quale rischiava di innescarsi una perversa dinamica tipicamente carceraria, per cui per un fatto grave, commesso da una persona, si decide di punire tutti peggiorando le condizioni generali di vita: “Colpiscine cento per non rieducarne nessuno”, potrebbe definirsi questa politica ricorrente e insopportabile. Abbiamo pensato allora che valesse la pena affrontare la questione in modo chiaro e diretto, e abbiamo chiesto al direttore di venire in redazione a parlare di questi temi. Il direttore ha accettato.

 

Ornella Favero: Vorremmo iniziare la discussione comunicandole la nostra intenzione di creare un foglio di informazione da distribuire a tutti i detenuti della Casa di reclusione di Padova. L’idea, insomma, è di tentare di colmare almeno in parte quel vuoto di comunicazione fra istituzione-carcere e detenuti che spesso, purtroppo, finisce per diventare l’anticamera di sospetti, di “voci” incontrollate, di allarmismi che potrebbero essere evitati con vantaggio di tutti. Ne abbiamo avuto un triste esempio qualche settimana fa, quando è avvenuta l’aggressione a un’educatrice da parte di un detenuto. Un episodio grave, che tutti ci siamo trovati concordi nel condannare, qui in redazione. Però informare vuol dire mettere in luce anche l’altra faccia della medaglia: riconoscere cioè che certe pur intollerabili esplosioni di violenza sono la spia di un malessere diffuso, che riguarda la generalità dei detenuti. Non è per cattiva volontà di nessuno, ma è un fatto che qui a Padova, allo stato attuale, ci vogliono ventidue mesi per vedersi chiudere una sintesi…

 

Marino Occhipinti: Io credo che sappiamo tutti che se ci vuole tanto tempo a chiudere una sintesi la colpa non è di questo o di quell’operatore, ma della sempre più grave carenza di personale, due educatori per 750 detenuti. Io penso però che se i detenuti fossero informati di più, se queste cose gli venissero dette chiaramente, si avrebbero delle reazioni più ponderate. La verità è, invece, che queste cose in sezione si vengono a sapere per sentito dire, e che quindi finiscono per caricarsi di inevitabili “tossine”. Il foglio di comunicazione con i detenuti a cui stiamo pensando potrebbe essere molto utile perché – fornendo informazioni serie e documentate – troncherebbe sul nascere le distorsioni, le esagerazioni, le speculazioni più o meno consapevoli.

Direttore: L’idea di un foglio informativo, che faccia sapere ai detenuti come stanno effettivamente le cose, mi sembra utile. Ci sono situazioni che è certamente un bene che vengano portate a conoscenza di tutti, perché è nell’interesse di tutti che non si creino incomprensioni e fraintendimenti dannosi. L’informazione, d’accordo con voi, aiuta la comprensione reciproca e quindi abbatte i conflitti. Se studiate un foglio periodico improntato a questo spirito, da far girare fra i detenuti, avete fin d’ora la mia disponibilità a periodiche occasioni di confronto con voi.

 

Ornella Favero: Volevamo parlare con lei anche di alcuni disagi che ci sono attualmente qui in carcere, naturalmente proponendoci per quello che siamo, cioè un organo di informazione e non certo una rappresentanza sindacale dei detenuti. Proprio a seguito dell’episodio appena ricordato, per fare un esempio particolarmente attuale, si è venuta a determinare per qualche giorno una situazione di tensione generalizzata, in cui tutti si sono sentiti coinvolti. Noi pensiamo che quando avvengono fatti del genere occorrerebbe distinguere chiaramente le responsabilità, evitando che il clima si incattivisca a svantaggio di tutti. Siamo anche convinti che ci sia uno stato di disagio forte, dovuto a una condizione delle carceri sempre più pesante per mancanza di personale e di risorse. Il clima è peggiorato, e notevolmente, e ce ne accorgiamo tanto più quando la vita del carcere è scossa da episodi anomali e allarmanti come l’aggressione all’educatrice. Si ha la sensazione che l’istituzione, colpita, si difenda inasprendosi nei confronti della generalità dei detenuti, che con quell’episodio non c’entrano e che anzi in larga maggioranza lo biasimano.

Direttore: Sono del tutto d’accordo, tant’è che nei giorni immediatamente successivi all’episodio ricordato ho indetto una riunione con tutti coloro che frequentano il reparto della scuola (nel cui ambito è avvenuto l’episodio ricordato), in cui ho detto chiaramente che la responsabilità è sempre personale, ma che comunque si gradiva un comportamento più corretto da parte di tutti. Voglio ricordare, peraltro, che quello della responsabilità personale - secondo cui nessuno può essere chiamato a rispondere di colpe non sue - è un principio costituzionalmente garantito. In ogni caso non possiamo dimenticare che questo è un carcere e che qui vige un regime di custodia, in cui c’è uno che guarda e uno che viene guardato. Ed è inevitabile, di conseguenza, che se succede qualcosa quello che guarda abbia una prima, istintiva reazione di inasprimento nei confronti di quello che è guardato. Ma sto parlando, sia chiaro, di “stati d’animo”, perché il principio della responsabilità personale deve essere comunque garantito, anche nell’immediatezza di fatti incresciosi come quello a cui abbiamo accennato. In queste situazioni, comunque, bisogna fare in modo che prevalgano la misura e il buon senso, da parte di tutti, perché tutti abbiamo l’interesse a che la convivenza fra personale penitenziario e detenuti si rassereni, e al più presto. L’importante è che in tutti sia sempre chiaro un concetto: un clima meno teso lo si può ottenere soltanto con un comportamento di collaborazione e di reciproco rispetto, perché se uno mi guarda – come dicevo prima – e io sono il guardato, il controllato, o metto il controllore nella condizione di svolgere il suo compito con serenità, oppure innesco un clima di tensione che poi si ripercuoterà fatalmente anche su di me. So io per primo che la  repressione fine a se stessa non ha nessun senso, e che anzi fa danno; so anche però che, nell’immediatezza di un fatto che turba gravemente la vita carceraria, un iniziale irrigidimento è inevitabile. Quello che più mi preme, in questo momento, è capire a che punto di conflittualità siamo arrivati. E così, dividendomi fra il mio ufficio e l’ufficio Comando, ogni giorno faccio scendere detenuti un po’ “problematici” e parlo con chiarezza con loro. Il mio principale obiettivo, in questo momento, è fargli capire che qui si deve convivere in un clima di collaborazione e di rispetto reciproco. Vedete, l’episodio a cui abbiamo accennato è particolarmente grave perché vittima dell’aggressione non è stato un agente (il che sarebbe comunque deplorevole, d’accordo, ma si inserirebbe tuttavia nel classico conflitto fra “guardie e ladri”), ma un’educatrice, e cioè una figura umana e professionale che il detenuto dovrebbe vedere come un punto di riferimento e di appoggio, non certo come un nemico su cui scaricare in modo aggressivo le proprie tensioni. Comunque, vi do in anteprima una notizia: sono arrivate due nuove educatrici! Si tratta però di educatori a tempo determinato, e sono naturalmente persone che non conoscono ancora il carcere. Attenzione, quindi: non è che, appena arrivate, già ci riuniamo per fare le sintesi…

 

Una sanità in grave crisi

 

Ornella Favero: Ci piacerebbe poter introdurre già in questa occasione, con lei, un confronto sui problemi legati alla salute, che è un argomento delicato, aggravato anche dal fatto che, allo stato attuale, la sanità carceraria ci sembra una sorta di “terra di nessuno”, a metà strada fra il Ministero della Giustizia e il Servizio sanitario nazionale, che pare tuttavia non averla ancora presa efficacemente in carico.

Direttore: La situazione sanitaria, e quella dei farmaci in particolare, è davvero deleteria. Anche in questo settore siamo afflitti da una gravissima carenza di fondi. Tanto per essere chiari, quest’anno abbiamo dovuto fare i salti mortali per non tagliare la guardia medica, e l’anno prossimo ancora non so come faremo, e se ce la faremo, a garantire un servizio pure così importante. Per quel che riguarda i farmaci, dovete sapere che il capitolo di bilancio a cui si attinge per pagare medici e infermieri è lo stesso che serve per pagare i farmaci: e siccome è stretto, molto stretto, basta a malapena per l’approvvigionamento dei  farmaci di assoluta necessità, in fascia A. Tanti altri prodotti non possiamo evidentemente acquistarli, o, comunque, li acquistiamo nella misura minima che ci è concessa dalle nostre limitatissime risorse, per far fronte alle necessità dei detenuti che non hanno proprio una lira. Gli altri, quelli che hanno del denaro sul conto, se hanno bisogno di quei farmaci devono necessariamente pagarseli da sé, facendosi autorizzare dal medico.

 

Il cambio cella, una piccola risorsa nel caos del sovraffollamento

 

Elton Kalica: Vorrei segnalarle il problema del cambio cella, che sta diventando sempre più problematico. Dovendo vivere per forza per tanto tempo dentro quattro mura, non crede che andrebbe favorito, anziché ostacolato come sempre più spesso avviene, il desiderio dei detenuti di avere per compagni delle persone affini per interessi e carattere?

Direttore: Probabilmente se c’è stato qualche irrigidimento dipende anche dal fatto che si è ecceduto un po’ troppo nelle richieste. Mi sembra evidente che se a voler cambiare cella è un numero ragionevole di persone la cosa si può fare, ma diventa irrealizzabile se il numero dei richiedenti si moltiplica in maniera esponenziale. Insomma, se un detenuto chiede di trasferirsi in una cella dove c’è un posto libero il più delle volte non è un problema, e si cerca di accontentarlo; ben altra cosa, però, è quando un cambio di cella rischia di innescare una catena senza fine di altri spostamenti…

 

Ernesto Doni: Noi chiediamo più attenzione, in particolare, per quel che riguarda cambiamenti all’interno della stessa sezione. Per fare un esempio concreto, mettiamo il caso che il mio compagno di cella venga liberato, e che io desideri rimpiazzarlo con una persona che va d’accordo con me e che invece non si trova troppo a suo agio con il suo compagno di cella attuale: la cosa più semplice sarebbe che ci si potesse accordare subito, parlandone con il capoposto. E invece va a finire, il più delle volte, che non fai a tempo a compilare la domandina e a inoltrarla che già ti vedi “recapitare” in cella un nuovo venuto, col che i giochi sono in pratica chiusi. Ed è una pena nella pena, mi creda, spartire la propria cella con una persona con cui non si va d’accordo. E poi, mi scusi: mi sono diviso da mia moglie, le pare giusto che mi si obblighi a convivere con qualcun altro?

Direttore: Se potessi, la farei stare da solo, in una cella tutta per lei. Ma la situazione è quella che è.

 

Ornella Favero: Adesso, inoltre, accade sempre più spesso che una persona che deve scontare una pena lunghissima si trovi per compagno uno che deve scontare una condanna di due anni e anche meno, e che pertanto vive il carcere in maniera profondamente diversa.

Direttore: È indubbio che sia così, e capisco che ciò crei dei problemi. Sono però persuaso che con l’andare del tempo si stabilizzerà nuovamente la qualità e la tipologia del detenuto, perché l’orientamento che si sta imponendo a livello di Provveditorato è di non procedere al trasferimento dei detenuti, se non per motivi molto seri.

 

I colloqui: rendiamoli più decenti

 

Marino Occhipinti: Un altro argomento su cui abbiamo diverse domande da farle è quello dei colloqui con i parenti. Io, in particolare, vorrei chiederle se non è possibile concedere a chi lo desidera l’allungamento dell’orario a due ore, nelle giornate di giovedì e venerdì, senza dover per forza compilare la domandina. Sa, il problema è che in più di un’occasione, e me e ad altri compagni, è capitato che la domandina – debitamente compilata e inoltrata – sia andata smarrita, con il risultato di non poter usufruire del previsto raddoppio d’orario.

Direttore: Quando è possibile, mi risulta che l’estensione dei colloqui a due ore in assenza di domandina venga concessa ugualmente, anche se è comunque consigliabile presentare la richiesta, perché il carcere funziona con la domandina dappertutto. Devo aggiungere che se un parente per venire qui a Padova ha affrontato un viaggio molto lungo, non lo mandiamo via neppure se arriva il martedì o il mercoledì… Certo lo preghiamo di telefonare, di informarsi sui giorni dei colloqui, la prossima volta, ma facciamo comunque il possibile per permettergli di avere un colloquio con il proprio congiunto detenuto.

 

Marino Occhipinti: Non sarebbe possibile creare una corsia preferenziale per le persone molto anziane o svantaggiate da un grave handicap fisico? La lunga attesa all’esterno del carcere, e poi dentro, prima di poter entrare in sala colloqui, rappresenta un “pedaggio” troppo pesante, per una persona molto in là con gli anni o afflitta da gravi problemi fisici… 

Direttore: Di questo posso parlare con il personale addetto ai colloqui, ma non è un problema tanto semplice da risolvere. Io posso solo fare il possibile per agevolare le persone fisicamente svantaggiate, ma non posso obbligare una persona che aspetta da un’ora a restare in attesa un’ora in più per avvantaggiarne un’altra. è chiaro il concetto?

 

Gianfranco Gimona: Sempre in argomento colloqui, vorrei porre il problema dei parenti in attesa fuori, che magari sono reduci da un lungo viaggio e devono aspettare un’ora o anche più senza poter disporre di un servizio igienico.

Direttore: Il problema dei servizi igienici l’ho già affrontato direttamente con qualche parente, e ho detto – e lo sanno tutti, soprattutto gli agenti – che quando una persona in attesa ha una necessità non ha che da farlo presente al personale, che provvederà a farla accedere al bagno collocato all’interno dell’istituto, nei locali che precedono la sala colloqui.

 

Marino Occhipinti: Un’ultima cosa, direttore: è un vero peccato, non le pare?, che l’area verde attrezzata per gli incontri con i figli più piccoli giaccia, praticamente, in stato di abbandono…

Direttore: Concordo con lei che è un peccato, averla potuta utilizzare finora così poco: ma dove lo trovo il personale che mi serve per renderla effettivamente agibile? Il problema, alla fin fine è sempre quello: la carenza di personale. Comunque, ora provvederemo a rimetterla in ordine, approfittando del corso di giardinaggio, e poi, quando tornerà la bella stagione, vedremo cosa si potrà fare per renderla fruibile.

 

I dolori della spesa: I detenuti sono considerati i consumatori più ricchi che esistano: per loro, niente offerte speciali, niente prodotti discount, ma solo grandi marche e a prezzo pieno.

Qualche piccola proposta della Redazione e le risposte del Direttore

 

Ristretti: Un argomento su cui desideravamo confrontarci è quello della spesa. Saprà quanto noi che in genere le persone detenute si lamentano per i prezzi, che vengono ritenuti mediamente più alti di quelli che si praticano fuori. Noi, con l’aiuto di alcune volontarie, che hanno battuto con pazienza diversi supermercati, ci siamo in realtà resi conto che, almeno a Padova, spesso i prezzi del sopravvitto non sono di molto più alti, e che - tanto per far degli esempi - la pasta Barilla o il caffè Lavazza costano più o meno come fuori, ma fuori ci sono innumerevoli offerte speciali di gran lunga più convenienti. Il vero problema, poi, è che in carcere non esiste una scelta di prezzo. Il cittadino fuori si orienta sempre di più sui discount o sui cosiddetti prodotti di “primo prezzo” che ormai si trovano in qualsiasi supermercato; prodotti non “di marca”, insomma, e quindi nettamente più economici. Questo tipo di scelta, qui, non esiste. E il risultato è che, se raffrontiamo la spesa interna al carcere a quella esterna, risulta che quella che si può fare in carcere è una spesa da ricchi. 

Direttore: Volete dire, insomma, che il Sopravvitto vende la pasta Barilla, ma non quella tedesca, tanto per fare un esempio?

 

Ristretti: Più che quella tedesca, vorremmo quella italiana,  buona, ma magari di una marca poco pubblicizzata. Qui mancano i prodotti di tipo discount, mancano le offerte speciali, per cui di fatto il detenuto è costretto a fare un tipo di spesa che, per il costo dei prodotti, il cittadino medio fuori non si può più permettere. Noi solleviamo quindi questo problema: è possibile chiedere alla ditta che provvede agli acquisti di proporre anche una linea di prodotti non di marca?

Direttore: È un problema delicato e difficile da risolvere, perché per disposizione ministeriale il servizio del Sopravvitto viene affidato in appalto alla stessa ditta che fornisce il vitto dell’amministrazione. A questa ditta noi chiediamo che provveda a un immagazzinamento corrispondente a circa tre mesi di fornitura dei prodotti di tipo alimentare e a una scorta comunque congrua anche degli altri. Ovvio che, acquisendo con un notevole anticipo tutto questo materiale, la ditta voglia garantirsi di poterlo poi smaltire in tempi rapidi, anche perché si tratta in gran parte di prodotti deperibili. Per questo motivo nelle sue scelte d’acquisto si orienta sui prodotti che vanno per la maggiore, e che quindi non corrono il rischio di languire troppo a lungo in magazzino. Non possiamo dimenticare che, a fare gli acquisti, è un privato che ha legittimi fini di lucro, e che pertanto non può correre il rischio, mettiamo, di acquistare 100 chili di merendine di una marca che nessuno conosce e di venderne, magari, solo tre o quattro chili e di veder deperire in magazzino i restanti. Che fa, li butta gli altri 96 o 97 chili di merendine che nessuno vuole? Comunque, io posso provare a chiedere alla ditta di valutare la possibilità di inserire nella sua “lista della spesa” alcuni prodotti di primo prezzo, a patto che siano prodotti di grande consumo e che offrano la garanzia di essere poi effettivamente venduti. Vi invito, perciò, a valutare quali prodotti scegliere e a farmi avere una lista. Vedremo cosa si può fare. Sia chiaro, però, che alla lunga il discorso può funzionare solo se questi prodotti alternativi, in termini di prezzo, hanno comunque requisiti di una certa qualità. Perché se mettiamo in spesa una pasta conveniente che però, quando la butti in pentola, diventa una colla, bé, la volta dopo non la comprerà più nessuno. 

 

Ristretti: Se lei è d’accordo, nel primo numero di quel foglio informativo a circolazione interna che pensiamo di realizzare potremmo fare un piccolo sondaggio, chiedendo ai detenuti di segnalare i prodotti di tipo discount a cui sono più interessati… Ma visto che siamo in argomento spesa, vorremmo segnalare questa anomalia padovana dell’unica spesa settimanale, mentre nel resto delle carceri di spese settimanali ce ne sono almeno due; e ci dicono che al circondariale, qui accanto, se ne facciano addirittura tre…

Direttore: Anch’io in un altro istituto ne facevo tre, ma avevo solo 200 detenuti! Comunque, rendetevi conto che il problema del numero limitato delle spese non è legato tanto a inefficienze o a chissà che cosa: è legato al numero di agenti che lavorano in quell’ufficio, e gli agenti sono quelli che sono, e cioè troppo pochi, perché l’organico dell’istituto è sceso notevolmente da due-tre anni a questa parte. Insomma, se fosse possibile da domani mattina metterei quattro agenti in più al Sopravvitto, e la spesa potreste farla due volte alla settimana. Ma allo stato attuale, con la carenza di personale che c’è, non è possibile.

 

 

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