Giovanni Palombarini

 

Il Giusto Processo, una conquista di civiltà giuridica

Ne abbiamo parlato con il dott. Giovanni Palombarini

Sostituto Procuratore Generale in Cassazione

 

(Realizzata nel mese di marzo 2000)

 

A cura della Redazione

 

Definire illuminante l’incontro avuto in redazione con il Dott. Palombarini, è semplicemente affermare la verità. Tra gli argomenti affrontati, c’è quello relativo all’articolo 513 e all’artico 111 della Costituzione, meglio noto come "Giusto Processo", che per alcuni anni è stato terreno di confronto e scontro politico e giuridico.

Il giusto processo è stato approvato il dieci novembre ‘99 alla Camera con larghissima maggioranza (522 voti a favore, 6 contrari, 13 astensioni): cento voti in più dei due terzi stabiliti dall’art. 138 della Costituzione per l’approvazione di modifiche della medesima, senza che sia possibile ricorrere al referendum. Dimostrazione lampante di una sostanziale condivisione da parte del Parlamento di un principio di civiltà giuridica.

 

Dottor Palombarini, può sintetizzarci il significato dell’articolo "513" del Codice di Procedura Penale e dirci inoltre se è applicabile in Cassazione?

Il "513" è stato applicato, in via transitoria, anche in Cassazione. Noi abbiamo un processo tendenzialmente accusatorio: vuol dire che la prova si raccoglie davanti al giudice, durante il dibattimento. Si è reso necessario il criterio poi contenuto nell’articolo 513. poiché capitava che un pentito. ammettendo le sue colpe, indicava altre persone.

Per esempio, dovendo descrivere un omicidio, un fatto di mafia, o fatti d’importazione di stupefacenti, diceva effettivamente "sì, io ho fatto quest’attività e c’erano con me Tizio Caio e Sempronio".

 

Sta parlando della chiamata in correità?

Ecco, la chiamata in correità. Noi avevamo anche una norma sul diritto al silenzio che non riguarda soltanto la cosiddetta chiamata in correità, ma riguarda tutta una serie d’ipotesi, nelle quali qualcuno se rende una dichiarazione in qualche modo può procurarsi uno svantaggio.

Per cui oltre alla chiamata in correità, vi è quello che chiama nel suo stesso delitto, quindi, parliamo di un delitto commesso da più persone.

C’è anche la storia dei reati connessi, ad esempio: facevamo parte della stessa associazione… Per cui noi abbiamo ancora oggi una fascia molto grande di persone che hanno diritto di non rispondere. Anche questa è una cosa un po’ strana, un po’ italiana, diciamo così., perché nei paesi dove c’è il cosiddetto processo accusatorio, una persona, l’imputato, ha il diritto di non rispondere. Ma se l’imputato dichiara che vuole essere interrogato, è interrogato in sostanza come se fosse un teste, perciò deve dire tutto.

Può scegliere: parlo, oppure no! Ma, se parlo, non è che dico quello che voglio, oppure che ho diritto di mentire: non esiste. Esiste solo da noi l’idea che si abbia il diritto di mentire, se uno parla non può mentire, se decide di parlare.

Allora noi avevamo in concreto una situazione per la quale i fatti si svolgevano così: davanti al Pubblico Ministero io accusavo un’altra persona di avere commesso alcuni reati, non con me, di averne commessi degli altri, io lo so, ne sono a conoscenza perché lo conosco, perché siamo dello stesso ambiente, siamo della stessa associazione, e so che Tizio e Caio hanno commesso quell’omicidio, Sempronio ha commesso quell’altro omicidio, lo ha commesso in questo modo, me lo ha raccontato, io non c’entro con questi reati ma so che li hanno fatti loro.

 

Si va al pubblico dibattimento, cioè il momento in cui dovrebbe essere raccolta dal giudice la prova, e queste persone nemmeno si presentano, oppure se vengono dichiarano di avvalersi della facoltà di non rispondere.

L’imputato e il suo difensore, che venivano a sapere dal Pubblico Ministero, che vi erano delle persone che accusavano, non erano nemmeno in grado di fargli una domanda. Cos’è l’articolo 513? E’ una correzione di questa situazione assolutamente anomala e assolutamente inaccettabile. Io ho sempre sostenuto e sono stato favorevole all’approvazione dell’articolo 513, perché rimette il processo davanti al giudice, la raccolta della prova davanti al giudice. Certo nel momento in cui veniva fatta questa norma avrebbero dovuto farne un’altra, che restringesse di molto le persone con il diritto di non rispondere, almeno all’imputato e ai coimputati di questi, e non come accade oggi, che questo diritto è concesso a troppe persone, davvero troppe!

 

Questa norma cosa dice sostanzialmente?

Quelle dichiarazioni rese davanti al Pubblico Ministero, che in precedenza tu leggevi e consideravi prova, quando la persona che le faceva non veniva o taceva, non le puoi fare più: deve rispondere. Lì si è aperta una controversia, che ha riguardato anche la Corte Costituzionale, insomma, quest’articolo 513 non andava giù a molte persone, non lo volevano soprattutto i Giudici, i Magistrati e i Pubblici Ministeri, ma anche tutta una serie di settori politici. Per una ragione di fondo: molte volte si era visto, in concreto, che le dichiarazioni di questi pentiti corrispondevano alla verità, allora se si perdevano queste dichiarazioni, si perdeva una fonte di conoscenza della realtà, di gente che era stata dentro nelle associazioni di mafia per una vita, conosceva tutto di determinate situazioni. Lì si è determinato un grosso contrasto e questo si è risolto con una correzione apportata alla Costituzione. In sostanza, diciamo che oggi l’articolo 513 è entrato direttamente nella Costituzione, con la riforma dell’articolo 111.

 

Cosa ha determinato queste scelte?

Secondo me hanno fatto bene, perché abbiamo una Corte Costituzionale, che è stata tra i soggetti che non hanno digerito il nuovo processo penale. E vi sono state delle sentenze, in questi ultimi dieci anni, in cui si vedeva chiaramente che l’accertamento della verità, la necessità di accertare la verità, tendeva a prevalere sulle garanzie, per esempio: quella del contraddittorio davanti ad un giudice. Allora per risolvere questo problema, visto che la Corte Costituzionale era orientata così, hanno costituzionalizzato, messo nella costituzione il principio del contraddittorio, quello che viene chiamato normalmente il "giusto processo".

Hanno fatto benissimo, adesso si tratta però di completare quest’opera, anche qui, in termini di governo della situazione per quella che è. Facciamo un esempio concreto: non è tollerabile che un pentito racconti tante cose probabilmente vere, prenda tutti i benefici del pentimento, dopo di che va davanti al giudice e dice: No, io non parlo. Come minimo bisognerebbe revocargli tutta una serie di "favori", diciamo così, che gli sono stati concessi… come minimo!

Prescindendo da questo e dalla gestione dei pentiti, quello che va fatto secondo me, e va fatto con urgenza, è stabilire bene il numero ristretto delle persone che abbiano il diritto di rifiutarsi di parlare, perché se lo fanno pregiudicano la loro situazione, e si mettono nelle condizioni di farsi condannare: allora preferiscono tacere. Ma anche qui c’è bisogno di una correzione: se io, imputato, e poche altre persone (un’area ristretta), ho diritto di non rispondere, ma se dico che voglio rispondere, non è che poi posso andare lì a raccontare balle, devo dire la verità, come avviene in tanti altri Paesi dove c’è il processo accusatorio.

 

Ma se quello che ha rilasciato le dichiarazioni non è più in grado di farlo?

Nella nuova legge, e anche nella correzione costituzionale, così è detto: "A meno che...", a meno che sussistano la violenza, la minaccia, l’impossibilità. Questo è previsto.

 

Se si rende irreperibile il pentito, se esce fuori dopo avere avuto benefici e si rende latitante, espatria, e qualcuno è accusato da questo pentito, chiede l’applicazione dell’articolo 513 come si risponde a quest’esigenza? Ci sono qui con noi casi reali di questo tipo.

Se espatria, e non si sa più dove sia, probabilmente è uno di quei casi d’impossibilità oggettiva di trovarlo. Perché questo è il problema, trovare una persona per portarla davanti al giudice e fargli delle domande. Certo se non siamo in grado di trovarlo o perché l’hanno minacciato o perché è fuggito, allora la possibilità che venga applicato l’ "a meno che .." contenuto nella legge è reale.

 

Allora in questo caso non viene applicato l’articolo 513?

Viene applicata l’eccezione dell’articolo 513, non viene applicata la regola che dice: "Quella non è più la prova". L’articolo 513 permette di acquisire le dichiarazioni come prova, salvo poi valutarle, se ci sono dei riscontri, oppure no, ma intanto le posso acquisire dentro il processo; questo è il quesito a cui risponde.

 

 

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