Angiolo Marroni

 

La garanzia di essere ascoltati

Salute, territorializzazione della pena, lavoro, accesso alle misure alternative: il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Regione Lazio ha uno sportello in ogni carcere di sua competenza e si occupa così dei problemi dei detenuti, di quelli generali, ma anche dei casi individuali, perché nessuno deve pensare di non essere ascoltato

 

(Realizzata nel mese di settembre 2005)

 

a cura di Ornella Favero, Stefano Bentivogli, Graziano Scialpi

 

È il primo Garante dei diritti delle persone private della libertà personale istituito da una Regione, e non è una figura simbolica: ha una sede all’EUR, bella, luminosa, immersa nel verde, e molte persone che lavorano con lui per rendere sempre più concreto il suo ruolo. Angiolo Marroni, avvocato, volontario in carcere, ricopre da più di un anno il ruolo di “Garante dei detenuti” del Lazio. Lo abbiamo incontrato in un luogo piuttosto inusuale per una intervista, una trattoria della Garbatella. Attorno al tavolo a parlare di galera, oltre a lui, un suo collaboratore, e poi due detenuti di Ristretti in permesso, Graziano Scialpi e Stefano Bentivogli, e Ornella Favero.

 

Vorremmo prima di tutto fare il punto su come va definendosi, dopo il primo anno di esperienza, questa figura del Garante regionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

Intanto devo ricordare che l’esperienza del Garante regionale, che per ora c’è solo nel Lazio, potrebbe allargarsi, nel senso che la Regione Sicilia ha approvato una legge in cui c’è un articolo che istituisce il Garante regionale per le persone private della libertà personale. Non so se l’hanno nominato ma comunque l’hanno istituito, anche se con caratteristiche un po’ diverse dalla legge che ha istituito quello del Lazio. Vi sono poi alcuni garanti comunali, i più noti sono quelli di Firenze e di Roma, che sono però persone più legate alla ricerca, più studiosi che operatori quotidiani. I nostri operatori invece ogni settimana entrano in tutte le carceri del Lazio, che sono quattordici, compreso il carcere minorile di Casal del Marmo, anche con più presenze. Per esempio in carceri come Rebibbia Nuovo Complesso, dove ci sono circa 1600 detenuti, ci vanno in due, poi seguiamo alcune sezioni normalmente non seguite, tipo quelle per i transessuali, quella per i malati di AIDS, cerchiamo di avere una presenza molto attenta. Dentro le carceri funziona proprio lo sportello del Garante, che fa da tramite tra i detenuti e il nostro ufficio. È un ufficio che è stato abbastanza potenziato, ci lavorano quattordici operatori, poi abbiamo avuto due stagisti che vengono a fare il loro stage qui, e alcuni volontari che svolgono la loro attività con noi.

Il sistema carcerario del Lazio non è omogeneo, abbiamo circa 5800/5900 detenuti, sono carceri che non hanno lo stesso livello di fruibilità, di opportunità, spesso l’attenzione di tutti, compreso il DAP, ma non solo, si ferma su Rebibbia Nuovo Complesso e Rebibbia Penale, al massimo si arriva a Rebibbia femminile, si arriva a Regina Coeli e poi ci si ferma là. È difficile immaginare che qualcuno vada a Frosinone, a Cassino, a Latina, a Viterbo, a Civitavecchia, a Rieti…, quindi da questo punto di vista le carceri romane sono indubbiamente quelle meglio vivibili sia pure con problemi. Quando andiamo fuori Roma ci sono situazioni veramente pesanti, difficili sotto ogni profilo, oltre che per l’affollamento che è una condizione di disagio generalizzata. Devo dire che non abbiamo avuto finora ostacoli dalle direzioni, e neppure dal Provveditorato, anzi abbiamo collaborazioni con il Provveditorato anche in attività di studio e di ricerca, su questioni che riguardano la sanità ad esempio.

 

Quali sono i problemi per i quali i detenuti si rivolgono al Garante?

I problemi più pesanti sono sicuramente quelli legati alla salute, ma anche la questione della territorializzazione della pena è un punto delicato, perché tu vedi detenuti trasferiti da carceri del Lazio a carceri lontane centinaia di chilometri come Verona o Trapani. La scusa è sempre il sovraffollamento, abbiamo molte istanze di detenuti che vogliono tornare a Roma o al contrario da Roma vogliono andare a Milano.

Riguardo alla salute, c’è un tema che stiamo cercando di affrontare meglio, che è il rapporto tra le ASL e la medicina penitenziaria. Io devo dire che inizialmente ero un po’ radicale con tutte le ASL: strada facendo, visto come funzionano le ASL, mi sono messo a metà strada, perché non posso non vedere che bene o male all’interno del carcere hanno un sistema sanitario che per quanto poco ripara, vale a dire che, per esempio, i ricoveri spesso è più facile averli da detenuti che da cittadini normali. Il problema sono le scorte, ma una volta ottenuta la scorta, nessuno ti può dire niente, e questo invece se sei fuori… è quasi peggio!

Anche la questione delle cure dentistiche è una cosa abbastanza seria, perché se le devono pagare le persone detenute, allora stiamo cercando di convincere l’Assessorato alla sanità a renderle gratuite.

Poi l’altra cosa importante che facciamo, avendo un budget piuttosto consistente che la Regione dà al suo Garante, è che qualche volta provvediamo anche a far fronte a carenze strumentali delle carceri. Per esempio abbiamo già acquistato sia per Regina Coeli sia per Rebibbia il triage, che è una macchina tipo defibrillatore, e penso di poter dotare al più presto di questa apparecchiatura tutte le carceri del Lazio che ne hanno bisogno. Questo lo facciamo con il nostro budget, è una collaborazione anche un po’ delicata perché qualcuno poteva dire: “Ma tu, perché stai usando i tuoi soldi al posto dei soldi che dovrebbe mettere a disposizione il DAP?”. Però questo è un argomento del tutto teorico perché poi il DAP non li mette a disposizione, i soldi per questi strumenti, e nelle carceri la situazione sanitaria è sempre più pesante.

L’altro grande problema che incontriamo è il lavoro. Devo dire che c’è una buona attitudine del Comune di Roma e della Provincia, in virtù della quale le cooperative sociali hanno un trattamento di riguardo. Di recente abbiamo costituito e patrocinato un consorzio di cooperative, con delle specializzazioni sul verde, l’edilizia, le pulizie… che vanno sul mercato, che assumono detenuti, anche in articolo 21, e poi abbiamo esperienze di cooperative sociali che gestiscono la mensa in carcere. Ma bisogna potenziare questo tipo di attività, e così stiamo cercando di mettere in cantiere un’altra iniziativa, che è quella di promuovere una banca per il microcredito alle piccole imprese artigiane e cooperative, con la mia partecipazione come garante, anche finanziaria. Dovrebbe essere una banca plurifondo e ci dovrebbe essere anche un fondo per fare credito alle imprese e cooperative di detenuti, ma tutto questo è condizionato all’autorizzazione della Banca d’Italia.

 

E com’è il rapporto con i magistrati di sorveglianza?

Io devo dire francamente che con la magistratura di sorveglianza noi abbiamo un rapporto difficile; alcuni magistrati sono eccellenti, il presidente del Tribunale di sorveglianza è molto disponibile, però quando poi vai dai magistrati di sorveglianza…! Le cose non sempre funzionano, loro adducono come giustificazione il fatto che sono sovraccarichi di fascicoli, di cause, di udienze, e poi c’è senz’altro un problema grave che è una carenza di organico dei magistrati stessi, quindi ci sono delle pratiche inoltrate nel 2004 ignorate totalmente perché non c’è un magistrato che si prende l’incarico di valutarle.

 

Quali sono le situazioni più pesanti nelle carceri del Lazio?

Nelle carceri del Lazio, in alcune realtà trovo drammatica la condizione dei malati di AIDS, trovo anche molto brutto il fatto che nell’alta sicurezza molti detenuti non vengono declassificati come spesso potrebbe essere, solo perché ci si attiene a non meglio specificate informative da parte delle forze dell’ordine. Io poi ho chiesto di poter accedere a visitare il 41bis, ma non mi fanno entrare, e questo trovo che sia una violazione perché anche i detenuti del 41bis hanno dei diritti che meritano di essere tutelati.

Io ho detto ai miei collaboratori che le risposte ai singoli detenuti vanno date tutte, quindi non si può avere una posizione ideologica per cui o il problema è generale o non è. Noi siamo garanti dei diritti del detenuto e perciò anche dei singoli detenuti. Quindi il nostro dovere è questo, prendere in considerazione tutte le richieste che ci arrivano dalle carceri. Però è chiaro che una funzione così importante come quella del Garante, istituzionale, regionale, per altro anche così costosa, non è che può esaurirsi soltanto in questo, per cui noi affrontiamo temi anche più generali. Per esempio abbiamo firmato dei protocolli d’intesa con i direttori delle carceri, con i quali il rapporto è molto buono, e se nascono problemi evitiamo le sparate giornalistiche inutili e cerchiamo di risolverli appoggiandoci a questi protocolli. Se poi non li risolviamo allora ognuno di noi ha la libertà di dire e fare quello che vuole. Il protocollo ci obbliga a discutere il caso quando sorge e ad affrontarlo se possibile in collaborazione.

 

Ci sono iniziative particolari che state promuovendo?

Sì, stiamo cercando di mettere a punto una iniziativa che affronta il tema di una possibile riforma del diritto penitenziario. La organizzeremo noi con una importante associazione di magistrati in una sede autorevole tipo la Fiera di Roma, dove inviteremo diverse personalità, magistrati, avvocati, politici, e poi naturalmente detenuti, per trattare questo argomento della riforma del diritto penitenziario alla luce di una ipotesi di puntare di più sui diritti piuttosto che sui doveri dei detenuti.

Noi abbiamo firmato finora più protocolli, uno con la CGIL-CISL-UIL e con l’UGL, un altro con l’azienda che si occupa del diritto agli studi universitari della Regione Lazio, che è l’azienda che dovrebbe aiutare i detenuti studenti delle scuole medie superiori ad accedere all’università e anche a trovare soluzioni post-universitarie.

Abbiamo firmato anche un protocollo con il coordinamento delle associazioni di volontariato del Lazio, e uno ne abbiamo messo a punto con il principale sindacato della polizia penitenziaria, ed abbiamo fatto anche un accordo di collaborazione con il CSSA. Posso dire che da tutte le parti c’è una gran disponibilità a collaborare, poi certo il problema è di gestirli davvero, questi protocolli, perché non rimangano sulla carta, ma vengano applicati e diventino utili strumenti di lavoro.

 

Vi occupate concretamente anche dei problemi dei detenuti stranieri?

Abbiamo parecchie difficoltà con gli stranieri, perché sono quelli trattati peggio, hanno il problema della famiglia, di una cultura diversa, di una serie di ostacoli da superare per riuscire a telefonare a casa. Fanno poi molta fatica a trovare un lavoro esterno e quindi a ottenere l’ammissione a misure alternative. Quello che noi possiamo fare concretamente, tanto per cominciare, è cercare di avviare dei rapporti con le ambasciate. A breve poi firmeremo una specie di accordo con il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma, in modo tale da avere un rapporto chiaro con gli avvocati e con le camere penali con l’intento di facilitare l’accesso al gratuito patrocinio per tutti quelli che ne hanno diritto, anche per gli stranieri.

 

Che cosa deve fare un detenuto per accedere allo sportello del Garante?

Un detenuto per ottenere un colloquio con il nostro ufficio deve fare la “domandina”. I nostri operatori a giorno fisso ogni settimana stanno lì, ricevono i detenuti nelle sezioni, a volte hanno anche un locale messo a disposizione dalla direzione, raccolgono le segnalazioni di problemi e poi, in ufficio, le esaminiamo caso per caso per vedere cosa si può fare e diamo prima possibile una risposta, cercando di affrontare e di risolvere i problemi, vuoi con il Provveditorato, vuoi con il DAP, con il CSSA, con le famiglie.

Riceviamo anche lettere da altre parti d’Italia, da detenuti che hanno sentito parlare di noi. Incontriamo anche parecchi familiari, purtroppo non possiamo dare aiuti economici a nessuno, ma è anche vero che nessuno ce li chiede, ci chiedono piuttosto di risolvere problemi, inerenti ai trasferimenti ed agli avvicinamenti ed alle difficoltà che ne conseguono.

I trasferimenti all’interno della regione fanno capo al Provveditorato e con quello abbiamo un rapporto diretto, quando si tratta del DAP che si occupa dei trasferimenti nazionali la cosa è molto più complicata. La risposta che riceviamo più frequentemente è che per motivi di sicurezza non è possibile operare il trasferimento richiesto. Loro hanno sempre la motivazione dell’affollamento e della sicurezza, e poi succede che un detenuto dell’alta sicurezza, da Roma, con la famiglia che vive in Campania, con bambini piccoli, lo mandino a Nuoro e ci resti per anni. Io trovo che le assegnazioni dei detenuti nelle varie sedi carcerarie siano una delle cose che hanno meno senso.

 

Ci sono altre questioni di rilievo di cui il Garante può occuparsi?

Il problema degli alloggi è complicatissimo, noi abbiamo tentato di risolvere qualche situazione abitativa, però non è facile. Ci sono delle iniziative della Provincia, dei contributi per trovare alloggi, ci sono case famiglia per detenuti anche stranieri. Abbiamo avanzato la richiesta al Comune di reperire degli alloggi, però è una questione davvero fra le più complesse da affrontare.

Il Garante poi potrebbe anche occuparsi di coordinare le iniziative degli enti locali sul carcere. Per quanto riguarda i rapporti con altri assessorati che si occupano di carcere, tipo quelli per le politiche sociali, siamo in una fase iniziale. Questi assessorati si dedicano al carcere con poche iniziative, io ho detto a tutti loro che siamo assolutamente contenti che le facciano, queste iniziative, una cosa che però ho ribadito è che bisognerebbe ci fosse un’organizzazione migliore sulla copertura del territorio, perché se tutti vanno a Rebibbia e Regina Coeli, quei poveri disgraziati che stanno a Latina cosa fanno?

 

Ci sono state critiche alle scelte fatte finora dall’Ufficio del Garante?

Qualcuno mi ha accusato di essere “istituzionalizzato”, e che essendo istituzionalizzato, sono portato ad essere accomodante e quindi a non avere conflitti. Allora io ho dimostrato invece che ogni volta che un caso merita il contrasto, io non ho difficoltà ad affrontarlo, anzi, sono disposto a battermi per far capire a tutte le istituzioni, compresa quella giudiziaria, che noi siamo all’interno di un sistema che chiede, per norma costituzionale, di prevedere la pena unitamente, non separatamente, al reinserimento, e tutti dobbiamo rispettare questa norma. Nel farlo ci possono essere naturalmente delle situazioni conflittuali, e quando poi arrivi all’accordo, non devi pensare che la questione sia chiusa: il problema è gestirlo poi l’accordo, farlo rispettare, per non rischiare di perdere i benefici ottenuti.

 

 

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