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Se il principio della rieducazione è un principio universale dovere dello Stato è rieducare chiunque. Compresi i detenuti stranieri
(Realizzata nel mese di aprile 2003)
A cura di Francesco Morelli e Marino Occhipinti
Un’intervista ad Alberto Marcheselli, Magistrato di Sorveglianza di Alessandria che ha rimesso alla Corte Costituzionale gli atti riguardanti l’espulsione di un detenuto marocchino, evidenziando una possibile incompatibilità tra il fine rieducativo della pena e l’espulsione
Con la Legge 189/2002 (la cosiddetta Legge Bossi-Fini), che ha modificato il Testo Unico sull’Immigrazione, per i detenuti stranieri sta venendo meno qualsiasi possibilità di inserimento sociale, anche per coloro che avevano un permesso di soggiorno prima dell’arresto. Infatti, per chi deve scontare una pena inferiore ai due anni, è prevista l’espulsione (art. 16, comma 5, T.U.), mentre per chi ha una pena maggiore l’espulsione arriverà comunque: scontata la pena in eccesso ai due anni, oppure al termine della carcerazione, per chi è condannato per reati più gravi. Per altro verso i detenuti stranieri possono accedere alle misure alternative della detenzione, al pari degli italiani: possono lavorare in semilibertà (Circolare del Ministero del Lavoro 15.03.1993, n° 27), possono essere accolti in una comunità di recupero per tossicodipendenti (Decreto Ministero della Sanità n° 5/2000). Quindi possono avviare dei percorsi di risocializzazione, almeno fino a che la loro pena è superiore alla fatidica soglia dei due anni, quando l’espulsione arriva a demolire quello che loro (e, con loro, gli operatori penitenziari e sociali) hanno faticosamente costruito. Di fronte a questo destino apparentemente ineluttabile c’è spesso silenzio e rassegnazione, anche da parte delle Associazioni che si battono per i diritti civili e di chi dà lavoro agli stranieri semiliberi. Una nota di speranza viene, forse, dal Magistrato di Sorveglianza di Alessandria, Alberto Marcheselli, che ha rimesso alla Corte Costituzionale gli atti riguardanti l’espulsione di un detenuto marocchino, evidenziando una possibile incompatibilità tra il fine rieducativo della pena e l’espulsione (che di rieducativo non ha nulla). Abbiamo intervistato Alberto Marcheselli per dare più informazioni su un tema così difficile e controverso come quello della condizione dei detenuti stranieri nel nostro paese.
Dottor Marcheselli, può spiegarci i motivi che l’hanno portata a sospendere il procedimento di espulsione di un cittadino marocchino detenuto, disponendo l’invio degli atti alla Corte Costituzionale? Ho riflettuto lungamente sulle norme e studiato la giurisprudenza costituzionale in materia e non sono riuscito a risolvere un dubbio che mi è sorto, circa la compatibilità delle norme con la Costituzione. Quando sorge un dubbio di tal tipo è un dovere del magistrato investire la Corte Costituzionale, perché quello è l’organo competente, previsto dalla legge.
Quali sono, secondo Lei, i parametri ed i profili che contrasterebbero con le norme contenute nella cosiddetta Legge Bossi-Fini? Il mio dubbio concerne il rapporto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e al principio di rieducazione di cui all’art. 27. Il fatto che l’espulsione sia automatica, senza esaminare la posizione del soggetto, è l’aspetto che mi ha creato il dubbio.
La negazione di un diritto costituzionalmente sancito (articolo 27 della Costituzione) può trovare fondamento dalla sola condizione di clandestinità del cittadino straniero detenuto? È questo il punto su cui ho chiesto il dovuto chiarimento alla Corte Costituzionale. Studiando la giurisprudenza di essa, ho potuto apprendere come finora si è affermato che si può prescindere dalla attuazione del principio di rieducazione quando è ragionevole presumere che la rieducazione non sia necessaria. Il fatto che l’espulsione sia automatica, senza esaminare la posizione del soggetto è l’aspetto che mi ha creato il dubbio.
È giuridicamente corretto che l’espulsione avvenga senza tenere conto, in nessuna maniera, del percorso del soggetto, che potrebbe anche essere di piena adesione alle attività trattamentali e rieducative, e quindi, di fatto, interrompendo la possibilità di risocializzazione? Questo è uno dei punti che la Corte potrebbe chiarire nell’esaminare la mia ordinanza.
In sostanza l’espulsione dei cittadini stranieri detenuti si traduce in una sospensione della pena con conseguente rinuncia da parte dello Stato a far scontare la pena stessa. Tale decisione non potrebbe essere vista anche come una sorta di discriminazione nei confronti dei cittadini italiani e/o comunque di coloro che non possono "beneficiare" di tale possibilità? Si tratta di verificare se il principio di rieducazione di cui all’art. 27 della Costituzione debba essere inteso limitato alla rieducazione nazionale oppure sia un principio universale. Nel primo caso, dovere dello Stato è rieducare solo chi abbia titolo a rimanere nel territorio dello Stato. Nel secondo, tale dovere riguarderebbe chiunque. Stabilire la portata dell’art. 27 Cost. come di tutte le disposizioni della Costituzione è compito riservato alla Corte Costituzionale, ed è per questo che ho modestamente sollecitato un autorevole intervento a chiarimento.
Con l’ultima domanda ci piacerebbe che, sulla base della sua esperienza in qualità di Magistrato di Sorveglianza, ci parlasse delle pene alternative, della difficoltà di applicarle per i cittadini stranieri, dell’incidenza ancora pesante della recidiva nei percorsi di reinserimento.
Per quanto concerne le misure alternative e i benefici penitenziari nei confronti degli stranieri, si tratta, essenzialmente, di un problema di strutture, essendo ovviamente più difficile reperire validi sostegni esterni. In questa direzione, nella mia esperienza, è sempre stato fondamentale l’intervento del volontariato. Per quanto attiene le misure alternative in genere, non si contano le occasioni pubbliche nelle quali mi trovo a dover spezzare una lancia per difenderne l’utilità e il loro valore, irrinunciabile, di strumenti indispensabili in una società moderna illuminata. Ancora recentemente, a un dibattito nel quale molti esponenti della cosiddetta "società civile" sollecitavano un deciso giro di vite rispetto a questi strumenti, ho avuto occasione di ripetere alcuni dati. Che tutti – io credo - dovrebbero conoscere. In Italia, da due anni, ci sono più persone che eseguono la pena fuori che in carcere. Questo numero potrebbe aumentare ancora moltissimo, se vi fossero adeguati investimenti nella spesa sociale per la rieducazione.
Solo lo 0,29% delle misure alternative viene revocato per la commissione di reati
I dati statistici sono molto incoraggianti. Solo lo 0,29% delle misure alternative viene revocato per la commissione di reati. Anche tenendo conto del fatto che si scopre un autore di reato su cinque, si arriva a circa 1,5 casi di recidiva ogni cento (0,29 x 5). Anche ipotizzando che ne venga scoperta solo la metà durante la misura alternativa, si arriva a un tasso di recidiva del 3% (1,5 x 2). Questi dati sono la miglior difesa della Legge Gozzini. È una strada che bisogna continuare a percorrere, con impegno. Sono onorato di essere stato consultato e porgo i miei migliori auguri.
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