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L’avvocato delle cause impossibili quelle degli stranieri detenuti
Ci sforziamo sempre di trovare strade percorribili per evitare l’espulsione di persone reinserite socialmente dopo un periodo di detenzione
(Realizzata nel mese di maggio 2004)
A cura di Marino Occhipinti
Gianni Lopez, avvocato, collabora con l’associazione L’Altro Diritto, che si occupa del mondo penitenziario con la finalità dell’affermazione dei diritti delle persone detenute e, in genere, delle persone emarginate. L’Altro Diritto si occupa anche di ricerche sulla marginalità ed il carcere, ha un sito dedicato a queste tematiche, entra con i propri volontari in molte carceri della Toscana, e soprattutto si occupa attivamente della condizione degli stranieri detenuti. Proprio per questo, per il fatto che c’è ancora qualcuno che non ha rinunciato, neppure dopo la Bossi-Fini, a cercare degli spiragli contro espulsioni, emarginazione, esclusione dai benefici di tanti detenuti stranieri, abbiamo intervistato Gianni Lopez per saperne di più su questi temi.
Il principio della irretroattività della legge Bossi-Fini in relazione al rinnovo del permesso di soggiorno è importante
Ci sono stati dei ricorsi in Toscana, di persone immigrate, riguardo alla irretroattività della legge Bossi-Fini? Sì, vi sono stati dei ricorsi relativi alla questione dell’efficacia nel tempo della Bossi-Fini. E vi sono state delle sentenze da parte del T.A.R. per la Toscana che sono sostanzialmente in linea anche con decisioni adottate da altri tribunali amministrativi. In tal senso, considerando il caso di uno straniero con precedenti penali maturati in seguito a sentenza di patteggiamento, il T.A.R. per l’Emilia Romagna nel luglio 2003 aveva stabilito la non retroattività dell’articolo 4 della legge Bossi-Fini. Ricordiamo che l’articolo 4, una delle norme chiave della legge, ha introdotto tutta una serie di cause impeditive all’ingresso e al soggiorno sul territorio nazionale. Queste cause riguardano l’esistenza di sentenze di condanna a carico del cittadino straniero per i reati di cui agli articoli 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale (i reati che prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza), condanne per reati inerenti gli stupefacenti, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ecc. L’articolo 4 ha considerato, e qui è il punto, come causa ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno anche la sentenza di condanna pronunciata a seguito di patteggiamento. Tuttavia, il T.A.R. Emilia ha stabilito il principio della non retroattività della legge Bossi-Fini e ha ritenuto che l’articolo 4 si applichi solo per le sentenze di condanna all’esito di patteggiamento successive all’entrata in vigore della legge medesima. Ciò per la ragione semplicissima che coloro che sono addivenuti ad una sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti lo hanno fatto anche valutando la mancanza di un effetto ostativo quale quello introdotto dall’articolo 4. Ovvero che patteggiando non avrebbero avuto un pregiudizio circa la regolarità del loro soggiorno. Nello stesso senso si è pronunciato anche il T.A.R. per la Toscana con un provvedimento sempre del 2003. Il principio della irretroattività della legge Bossi-Fini in relazione al rinnovo del permesso di soggiorno è importante. Tuttavia, riferendoci a persone detenute, il problema del rinnovo del permesso riguarda una minoranza, essendo la gran parte dei migranti reclusi irregolare…
Ma ce ne sono anche che lo diventano rimanendo in carcere, perché i permessi scadono… Il problema dei permessi che scadono in carcere è annoso. Vi sono delle circolari che precludono a priori il rinnovo del permesso di soggiorno se effettuato dal carcere, in quanto il provvedimento dell’autorità giudiziaria in forza del quale il cittadino straniero è detenuto fonda l’autorizzazione al soggiorno e rende inutile il provvedimento di rinnovo dell’autorità di pubblica sicurezza. Tuttavia, il Tribunale di Pistoia ha sancito che la scadenza del permesso di soggiorno in carcere rappresenta un legittimo impedimento al suo rinnovo. In tal modo, è possibile che, una volta cessato il regime detentivo, l’interessato possa ottenere un permesso di soggiorno, sempre che si riesca a neutralizzare l’effetto preclusivo al rinnovo derivante dal reato. E, in ordine a quest’ultimo punto, si deve considerare la data di commissione del reato, perché se antecedente alla entrata in vigore della legge Bossi-Fini, non dovrebbero operare tutti quegli impedimenti al rinnovo di cui abbiamo parlato in precedenza, riferendoci all’art. 4 (reati di cui all’articolo 380, commi 1 e 2, reati inerenti agli stupefacenti…). Pertanto, la valutazione dei precedenti ai fini del rinnovo dovrebbe basarsi sulla concreta pericolosità della persona e non fondarsi sulla semplice commissione di certe tipologie predefinite di reati. Sempre in ordine alla ostatività al rinnovo del permesso di soggiorno conseguente alla commissione di un reato, è opportuno fare riferimento a sentenze, anche molto recenti, ad esempio del T.A.R. Emilia, che hanno stabilito la sostanziale equiparazione fra riabilitazione ed esito positivo dell’affidamento in prova.
Sulla base dell’esito positivo dell’affidamento in prova si può fondare un ricorso per far annullare un provvedimento espulsivo
Cioè, una persona straniera che ha concluso il suo percorso in maniera positiva, è da considerarsi riabilitata? Sì, difatti dal punto di vista dell’ex detenuto, che esce fuori ed è in una situazione di irregolarità, ci dicono sempre: "Eh sì, però non è riabilitato…". Questa sentenza, e ce n’è un’altra, che però è un po’ meno chiara, afferma la sostanziale equiparazione fra riabilitazione ed effetto estintivo derivante dall’affidamento in prova. Quindi, l’esito positivo dell’affidamento opera una "restitutio ex quo ante" della situazione della persona con la cancellazione di tutti gli effetti penali. La cancellazione di tali effetti apre interessanti prospettive anche per lo straniero irregolare con precedenti penali che ha concluso positivamente il periodo di affidamento in prova al servizio sociale, posto che anche l’espulsione amministrativa può essere considerata un effetto penale della condanna. E, quindi, sulla base dell’esito positivo dell’affidamento in prova si può fondare un ricorso al giudice ordinario per far annullare un provvedimento espulsivo. Ancora non mi risultano pronunce in tal senso e anche il principio che gli effetti della riabilitazione debbano essere considerati eguali a quelli dell’esito positivo dell’affidamento in prova non è detto venga seguito dagli altri tribunali amministrativi, anche se è un buon punto di partenza.
Questo accade perché non ci sono indicazioni univoche e precise, ma ogni T.A.R. si esprime in maniera diversa? Sì, ci sono difformità, però direi che è una strada da percorrere. In proposito stiamo seguendo in questi giorni il caso di un ex detenuto, entrato in Italia con visto turistico e poi divenuto irregolare, che è stato condannato per un reato particolarmente grave. Questa persona ha avuto un percorso penitenziario esemplare, passando per le "tappe canoniche": articolo 21, permessi premio, semilibertà e affidamento in prova. Attualmente ha espiato la pena ma il Tribunale di Sorveglianza non si è ancora pronunciato sull’esito positivo dell’affidamento. La persona continua ancora a lavorare presso il datore di lavoro che lo aveva assunto per il periodo di affidamento. In proposito, può essere utile sottolineare che finché il Tribunale di Sorveglianza non si pronuncia sull’esito dell’affidamento, il soggetto, pur avendo espiato la pena, non può essere espulso e può legittimamente continuare a lavorare. Per quanto riguarda la situazione relativa al reato, stante l’equiparazione fra riabilitazione ed esito positivo dell’affidamento in prova che abbiamo vista sancita da vari T.A.R., questa è meno preoccupante, paradossalmente, rispetto alla sua condizione di clandestinità. Però, eliminando l’effetto ostativo derivante dal reato, considerandolo sostanzialmente un soggetto riabilitato, la persona potrebbe rientrare sia in future, probabili, regolarizzazioni sia nell’ambito della disciplina dei flussi. Si tenga presente che queste considerazioni vanno prese con il beneficio di inventario perché ancora non mi risultano applicazioni concrete di questa possibile interpretazione.
Quindi qual è il suo consiglio pratico per gli stranieri che hanno commesso il reato prima dell’entrata in vigore della Bossi-Fini? Dipende dal possesso o meno di un permesso di soggiorno. Se il cittadino straniero lo aveva, premesso quanto detto circa il rinnovo dal carcere, la valutazione dovrà basarsi sulla considerazione della sua pericolosità in concreto. E, in tal senso, sarà rilevante il grado di inserimento sociale, la natura ed il numero dei precedenti, la sua situazione familiare. La mancanza di pericolosità potrà conseguire anche dal provvedimento con cui il Magistrato di Sorveglianza revocherà l’eventuale espulsione disposta come misura di sicurezza, la cosiddetta espulsione in sentenza. Se, viceversa, la persona non aveva il permesso di soggiorno, vale quanto detto sopra e il consiglio pratico è di passare da un periodo di affidamento in prova che come abbiamo visto potrebbe aprire la strada alla possibilità di regolarizzazione.
Ci sforziamo di trovare strade percorribili per evitare l’espulsione
Ma non è facile per uno straniero ottenere una misura del genere: mancanza di un’abitazione, di una famiglia, di un lavoro, di un radicamento sul territorio… Lo so, ed è questo l’ostacolo, ma se passasse dall’affidamento in prova ci sarebbero delle possibilità. Si può parlare solo di possibilità perché in questo momento la terra è bruciata per tutti, è bruciata per quelli che non hanno precedenti e che però sono stati semplicemente accompagnati coattivamente una volta alla frontiera, figuriamoci per chi è stato in carcere e per chi ci è stato più volte. Però, ci sforziamo sempre di trovare strade percorribili per evitare l’espulsione di persone reinserite socialmente dopo un periodo di detenzione. Una di queste vie è rappresentata dall’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani. In tal senso, il Tribunale di Torino con provvedimento del gennaio 2003 ha annullato un decreto di espulsione a carico di una ex detenuta straniera perché aveva una situazione familiare oramai consolidata in Italia e l’articolo 8 della Convenzione consente l’espulsione soltanto quando questa risponde al bisogno imperioso di sicurezza. Quindi c’è una valutazione sulla singola persona e sulla sua pericolosità effettiva. Allora, valutata questa persona, che se non ricordo male aveva due precedenti, valutato il suo grado di inserimento sociale, il fatto che poi la pericolosità era venuta meno, anche alla luce di un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che aveva revocato la misura di sicurezza dell’espulsione, a quel punto il Tribunale di Torino ha annullato l’espulsione. Ora questa persona si trova in una situazione in cui l’espulsione è annullata, però non ha ancora un permesso di soggiorno. Tuttavia, con una nuova sanatoria potrebbe regolarizzarsi. Questa sentenza è come se avesse gettato un colpo di spugna sul passato e anche questa è sicuramente una cosa importante.
Invece per uno straniero che si vede notificare l’espulsione come sanzione alternativa, per capirci meglio quella misura che viene inflitta dai Magistrati di Sorveglianza quando allo straniero detenuto rimangono meno di due anni di pena da scontare, cosa si può fare? Questa è un’altra misura ancora. Bisogna sempre distinguere le varie forme di espulsione: espulsione misura di sicurezza, espulsione amministrativa, espulsione sanzione sostitutiva, espulsione sanzione alternativa. Per quest’ultima si può fare opposizione al Tribunale di Sorveglianza, richiedendo che quest’ultimo accerti la pericolosità o meno dell’interessato. Preliminarmente però si è posto il problema della legittimità costituzionale di tale forma espulsiva (e infatti la Corte Costituzionale l’ha giudicata illegittima), posto che determina un automatismo nell’espulsione, senza distinguere caso per caso, come legittimamente e in senso costituzionalmente orientato si dovrebbe fare. Secondo me in molti casi le opposizioni potrebbero essere accolte, oltre al fatto che c’è tutto l’articolo 19 della legge 286/98 che indica molte situazioni in cui non è possibile procedere all’espulsione. Una di queste condizioni che limitano l’espulsione attiene al fatto che una persona possa essere oggetto di persecuzione al rientro nel proprio paese di origine. Noi abbiamo casi di questo tipo, di persone che sono fuggite magari da regimi dove, tornando, potrebbero effettivamente avere dei problemi e poi c’è la preclusione all’espulsione che riguarda l’aver sposato un cittadino italiano, l’aver riconosciuto un figlio avente cittadinanza italiana. Insomma alcune possibilità ci sono. Altri problemi si pongono in sede di espulsione come misura di sicurezza, ed in questo caso talvolta viene riconosciuta la conversione dell’espulsione in libertà vigilata. In tal caso, vi è un titolo a rimanere nel nostro paese per tutta la durata della libertà vigilata. è una soluzione provvisoria. Consente di rimanere per un certo periodo di tempo prima che l’espulsione avvenga realmente, ma è un tema che tralascerei proprio per il suo carattere di soluzione non definitiva. una circolare ministeriale prevede
La possibilità di essere avviati al lavoro anche per gli stranieri, regolari o meno, che sono nella fase di esecuzione della pena
C’è una sentenza della Corte di Cassazione che dice che ai detenuti stranieri, se irregolari, non devono essere concesse le misure alternative alla detenzione, mentre alcuni Tribunali di Sorveglianza le concedono comunque: come si comporta la Magistratura toscana? Il nostro non è un sistema come quello anglosassone, dove il precedente è legge. Nel sistema anglosassone si dice che il giudice è schiavo del passato e despota del futuro, proprio ad indicare questa efficacia assoluta del precedente. Ma da noi la Corte di Cassazione può essere tranquillamente disapplicata. In Toscana, in base alla mia esperienza, non mi risulta che gli stranieri irregolari non accedano più alle misure alternative se in possesso dei requisiti previsti dall’Ordinamento Penitenziario. Quindi, la sentenza della Cassazione non mi pare abbia determinato cambiamenti nell’accesso alle misure da parte dei detenuti stranieri. Anche perché la sua portata non è così vasta come sembra a prima vista. A prescindere dalla sentenza in esame, credo sia necessaria sempre una lettura costituzionalmente orientata delle norme penitenziarie, in quanto in tema di esecuzione della pena non dovrebbero esserci differenze di trattamento tra i detenuti. Inoltre, c’è una circolare ministeriale che prevede la possibilità di essere avviati al lavoro anche per gli stranieri, regolari o meno, che sono nella fase di esecuzione della pena detentiva. Quindi, diciamo che questa visione della Corte di Cassazione contrasta con quelli che sono gli elementi del trattamento, tra i quali rientra appunto il lavoro, non necessariamente all’interno del carcere anche perché ce n’è poco, e poi entra in contrasto con un altro orientamento della Cassazione, che sullo straniero si è pronunciata, fin dagli anni 90, nel senso della rieducazione. Una rieducazione un po’ particolare, perché nelle sentenze di allora la Cassazione ha detto che lo straniero è soggetto a rieducazione ma che la rieducazione non è necessariamente funzionale al nostro sistema sociale. In altri termini, l’obiettivo è una rieducazione universalmente perseguita. La persona torna a casa sua rieducata, e quindi il compito rieducativo è assolto anche se poi viene espulsa. In quel momento le sentenze apparvero un po’ rigide, ma in confronto a questo nuovo orientamento appaiono più garantiste. Proprio perché lì della rieducazione si parlava anche nei confronti dei detenuti stranieri, regolari o meno, e se ne parlava nei termini della rieducazione che noi conosciamo tramite le misure alternative previste dall’Ordinamento Penitenziario.
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