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Sicurezza e informazione Il carcere troppo spesso è diseducativo Rita Guma, presidente dell’Osservatorio sulla legalità e sui diritti onlus, parla di come il carcere funga spesso da scuola negativa per chi abbia commesso reati minori e sarebbe facilmente recuperabile, o induce alla disperazione altri che potrebbero cambiare strada
(Realizzata nel mese di ottobre 2009)
intervista di Marino Occhipinti
L’Osservatorio sulla legalità e sui diritti onlus è una associazione di volontariato senza scopo di lucro per la tutela dei diritti civili che si prefigge fra l’altro di informare e sensibilizzare i cittadini sui diritti, la giustizia, la legalità e la libera informazione in Italia e nel mondo e denunciare la lesione di tali principi anche presso le istituzioni europee ed internazionali. Ne è presidente Rita Guma, che abbiamo intervistato.
I timori dei cittadini riguardo alla sicurezza sono davvero fondati o sono anche il frutto dell’allarme quasi quotidiano lanciato dai media? Va fatta una distinzione fra le grandi aree metropolitane dove, per fattori che toccano anche molte altre metropoli occidentali, il cittadino “vede” la criminalità di strada e talora quella organizzata, quindi si allarma anche se non è direttamente vittima, e le aree del Paese dove non c’è un rischio effettivo, ma dove comunque si registra fra i cittadini un timore, che è di fatto infondato. Non dico che non vi siano fenomeni criminosi in aumento, ma ve ne sono pure in diminuzione proprio in alcuni settori per i quali il cittadino è più allarmato, e per verificarlo basta leggere i dati ufficiali. Oggi gli omicidi esterni all’ambiente domestico e quelli complessivi sono in diminuzione, mentre, secondo dati diffusi dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza, gli episodi di violenze sessuali nel 2008 sono diminuite dell’8,4 per cento.
Ritiene perciò che gli organi di informazione contribuiscano ad amplificare l’allarme sociale? Ritengo che alcuni media e politici abbiano una responsabilità significativa nell’amplificare l’allarme sociale, spesso sfruttando i pregiudizi già diffusi. In questi ultimi anni la cronaca nera è passata in prima pagina, mentre prima era relegata nelle pagine interne. Parlare di un delitto al giorno in tv provoca allarme nonostante i dati in declino. Ricordo all’epoca del ministero Pisanu, quando, grazie a pochi casi efferati sbattuti in prima pagina ed in prima serata, “nacque” mediaticamente il fenomeno delle rapine in villa, in realtà in decrescita rispetto agli anni precedenti.
L’informazione tratta tutti allo stesso modo? No, basti pensare che sono stati coniati titoli allarmanti o che sottolineano quando il presunto autore del reato è uno straniero, riportando nel testo le generalità del sospettato mentre l’italiano è spesso indicato in modo anonimo. Va tenuto conto che l’identificazione dell’immigrato con il crimine porta a vivere come una minaccia l’immigrazione tutta, e quindi al suo aumento corrisponde anche una maggiore percezione di insicurezza.
Qual è il suo parere sull’ultimo “pacchetto sicurezza”? Sotto il profilo meramente organizzativo è un aggravio per la giustizia: più processi e maggior sovraffollamento delle strutture carcerarie e dei Centri di identificazione temporanea. Sotto il profilo dei diritti e delle garanzie individuali, reputo negativi – fra l’altro – le ronde, la criminalizzazione dello status di clandestino, il clima da “caccia alle streghe” che ne viene determinato ed i conseguenti rischi per l’incolumità personale del malato clandestino, che se teme una denuncia metterà più facilmente a rischio la sua salute. Anche le misure che incidono sulla disposizione dei domiciliari si prestano a critiche sul piano delle garanzie. Va detto però che chi difende i diritti (quindi anche quelli delle vittime) apprezza il valore “simbolico” di alcuni inasprimenti della pena introdotti per sanzionare ad esempio i reati societari.
Cosa risponde a chi attacca la legge Gozzini e le misure alternative alla detenzione, che tutte le statistiche indicano come il miglior sistema antirecidiva? Rispondo appunto con le statistiche, con i numeri del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, altrimenti prevalgono gli slogan che fanno leva sulla paura e sul valore di “vendetta” attribuito da alcuni alla pena. È noto che la recidiva viene quasi del tutto eliminata nei giovanissimi cui vengano concesse pene e misure alternative. E ci sono altri dati confortanti anche per altre categorie di detenuti. Per non parlare dell’effetto che avrebbe sul sovraffollamento delle carceri la modifica della legge Gozzini proposta dal senatore Berselli. Peraltro, pochi anni fa una legge voluta dalla stessa parte politica di Berselli ha abbassato i limiti d’età per la concessione della detenzione domiciliare, che il senatore nella sua proposta di legge ha proposto di innalzare nuovamente. Andrebbe anche bene, se non fosse che questa breve “finestra” temporale in cui i termini sono cambiati ha consentito l’uscita dal carcere di un politico della maggioranza stessa…
Il sovraffollamento penitenziario, che sta raggiungendo livelli insostenibili, consente ancora alla pena di essere veramente rieducativa, come prevede la Costituzione? A mio avviso no. Tranne che per lodevoli eccezioni, progetti qualificati e qualificanti (cooperative agricole, teatro, biblioteche, apprendistato…) promossi da organizzazioni di volontariato o dall’amministrazione, ritengo che a volte la pena sia proprio diseducativa, perché il carcere funge da scuola negativa per chi abbia commesso reati minori e sarebbe facilmente recuperabile, o induce alla disperazione altri che potrebbero cambiare strada.
Cosa ne pensa del nuovo piano-carceri predisposto dal Capo del DAP, Franco Ionta? Mi fa venire in mente il film con Rowan Atkinson dove il personaggio interpretato da John Malkovich aveva in progetto di erigere carceri in tutta la Gran Bretagna, facendola divenire un enorme istituto di pena. Intendo dire che aumentare le strutture fisiche non risolve il problema, sia nell’immediato – visto che i tempi tecnici di costruzione non si possono ridurre oltre un certo limite – sia perché, mentre si costruiscono i penitenziari in progetto oggi, la popolazione carceraria sarà ulteriormente aumentata, soprattutto continuando a fare leggi che penalizzano i piccoli criminali, introducono nuovi reati, estendono la carcerazione preventiva e criminalizzano i clandestini, mentre i tempi lunghi dei processi mantengono costantemente in un “limbo” i detenuti in attesa di giudizio. Tuttavia a tal proposito noto nel piano-carceri il riferimento alle “carceri leggere” per i detenuti in attesa di giudizio, il che riconduce ad una delle proposte dell’Osservatorio sulla legalità e sui diritti onlus, cioè detenere in luoghi diversi dagli istituti di pena le persone ancora presunte innocenti davanti alla legge, ma per le quali viene disposta la custodia cautelare. Un aspetto da non sottovalutare è poi anche la questione del personale di polizia e specialistico da impiegare in tutte le nuove strutture, e non mi pare siano previste le risorse.
In conclusione cosa bisognerebbe fare, quali rimedi suggerisce? Fra l’altro, incentivare le pene e le misure alternative per i reati di “piccolo cabotaggio”. Questa opzione ci vede favorevoli non per buonismo, ma perché le pene alternative, anche in virtù del fatto che tengono i piccoli criminali lontano da quelli di grosso calibro, riducono il pericolo di recidiva. Mi pare che anche ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria sia stata proposta questa soluzione. È ovvio che la scelta di ampliare il ricorso alle misure alternative confligge con una campagna informativa che vuole criminali pericolosi solo quelli di piccolo calibro e con una legislazione penale sempre di più “forte con i deboli e debole con i forti”. In tal senso, un’altra scelta da fare sarebbe rimodulare le pene, ad esempio riducendo le pene minori, perché – a seguito di varie leggi e leggine – non vi è più proporzione fra le sanzioni previste per reati commessi da “categorie” diverse (colletti bianchi e piccoli criminali).
Un messaggio per i nostri lettori… Un complimento al gruppo di lavoro di questo giornale e ai lettori che lo sostengono. Ritengo infatti che fare informazione sul carcere e dal carcere, così come le altre attività divulgative promosse da Ristretti, siano un valido modo per combattere i pregiudizi di cui abbiamo parlato. E, da parte dei redattori che operano dall’interno del carcere, è anche l’esempio di un modello di pena realmente rieducativa.
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