Interviste di "Ristretti"

 

A Roma vanno in stampa le "pagine gialle" del rapporto tra carcere e territorio

Si chiama "Piano permanente cittadino per il carcere" ed è la prima pubblicazione del genere in Italia. Statistiche sugli istituti di pena della Capitale, servizi e risorse sul territorio, la normativa e l’intero panorama delle politiche finora realizzate in materia. Lo ha promosso l’assessorato alle Politiche sociali, con l’aiuto del volontariato penitenziario, di enti locali, operatori penitenziari e sociali e il contributo dei detenuti

 

(Realizzata nel mese di aprile 2004)

 

A cura di Marino Occhipinti

 

Trecentocinquanta pagine che spiegano nel dettaglio quanto, finora, la Capitale ha messo in campo per i suoi detenuti. Il "Piano permanente cittadino per il carcere", realizzato dal Comune di Roma, è una pubblicazione unica in Italia. L’ha promossa l’assessorato alle Politiche sociali, che nella sua elaborazione ha coinvolto la Consulta penitenziaria cittadina (composta dalle associazioni che operano in carcere) e 220 rappresentanti d’istituzioni, enti locali, terzo settore e degli stessi detenuti. Il Piano ha durata triennale, fino al 2006, ed è una miniera di informazioni. Contiene le indicazioni degli enti e dei servizi pubblici e privati che intervengono in carcere, la normativa e le risorse esistenti sul territorio. Inoltre cinque capitoli sono dedicati al piano per l’intervento socio-sanitario, per le pari opportunità, per la formazione e il lavoro, per la cultura, la scuola e lo sport, e per i minori sottoposti a misura penale.

Nel Piano non potevano mancare le statistiche sugli istituti di pena di Roma e provincia: a dicembre 2003, le presenze erano 4153, di cui 1430 stranieri e 1092 tossicodipendenti, 344 donne, 19 le madri con figli fino a tre anni (solo una italiana), 421 i detenuti sotto i venticinque anni e ventotto ultrasettantenni. Quindici i transessuali, tutti stranieri.

Luigi di Mauro è il coordinatore del Piano e il presidente della Consulta per i problemi penitenziari di Roma. Noi gli abbiamo chiesto approfondimenti su questa iniziativa, e lui ha rilanciato, proponendoci di collaborare per ampliare il progetto ed esportarlo in altre città.

 

Come nasce il primo Piano permanente cittadino per il carcere?

È noto l’impegno civile della città di Roma e della sua Amministrazione verso i più deboli e gli emarginati, compresi i detenuti. Per questo, circa sette anni fa, venne istituita la Consulta permanente per i problemi del carcere, composta da una sessantina di organizzazioni del terzo settore, laiche e cattoliche, che si è distinta anche in ambito nazionale per il suo forte e – in molte occasioni – determinante impegno per i diritti delle persone detenute e degli operatori-lavoratori del carcere. La Consulta ha scelto un approccio propositivo e costruttivo: così, attraverso il Consiglio comunale, è stato avviato il percorso che, dal Workshop in carcere del 2000, ci ha condotti all’istituzione del Garante dei diritti dei detenuti e al Piano permanente per il carcere.

 

Quali sono gli obiettivi che volete conseguire con la creazione del Piano?

Lo scopo è favorire e integrare gli interventi per il diritto alla salute dei detenuti, l’avvio di percorsi di reinserimento sociale, la possibilità di partecipazione a corsi di formazione professionale per l’inserimento lavorativo. E poi incoraggiare l’accoglienza, la cultura e le pari opportunità dei cittadini adulti e minori detenuti o in affidamento ai Servizi sociali del Ministero della Giustizia nel nostro territorio comunale e provinciale.

 

Ci sono motivazioni particolari che vi hanno spinto all’ideazione del Piano?

La realtà carceraria del nostro Paese si sta trasformando con la stessa velocità della nostra vita sociale ed economica. Questi processi tanto rapidi spesso ci rivelano l’inadeguatezza delle nostre risposte, non più capaci di cogliere l’aspetto qualitativo del cambiamento e quindi poco aderenti alla realtà. E se questo capita negli ambiti della società più garantiti e tutelati, quelli inseriti nella rete produttiva, i settori del disagio e della precarietà rischiano un’emarginazione ulteriore. Anche perché sono sempre meno sostenuti dalle risorse statali. Oggi, nelle carceri, i soli meccanismi della giustizia e di un sistema penale rapidamente invecchiato non riescono più a fronteggiare le esigenze che si presentano quotidianamente. Così il sistema continua a riprodurre emergenze: sovraffollamento, mancanza di lavoro, restringimento dell’area trattamentale, riduzione degli interventi a sostegno della salute e delle cure per le tossicodipendenze, aumento dei suicidi.

 

Ed è su queste emergenze che intendete intervenire?

Sì, il nostro lavoro si inserisce qui. Per superare le politiche delle emergenze e avviare una programmazione. Si tratta di un esempio concreto d’integrazione del territorio con le istituzioni, ed è frutto dell’esperienza, della professionalità e del serio impegno degli oltre duecento delegati che hanno dato un apporto fondamentale alla realizzazione del Piano. Insomma, abbiamo aperto alla città le porte del carcere.

 

Come si sono svolti i lavori?

Sono durati da ottobre a dicembre del 2003, con riunioni di Commissioni e le rappresentanze dei detenuti all’interno degli istituti. Ci si è concentrati a individuare e rimuovere le cause dell’esclusione, per la grande maggioranza dei detenuti, dai programmi di reinserimento e di accesso ai benefici della legge Gozzini, ormai privata del suo spirito originario. Sono stati elaborati livelli mirati d’intervento, cercando non solo di far coincidere le aspettative con ciò che è corrisposto, ma anche approfondendo le esigenze di sicurezza che sono il vero ostacolo per tanti interventi.

 

Quali sono i prossimi passi per rendere operativo il Piano?

Ora, su proposta del Consiglio comunale, deve essere presentata e approvata la delibera che istituisce l’Ufficio di Piano: un organismo autonomo, cui partecipano più assessorati e più istituzioni. Nei primi due anni prevediamo la sottoscrizione dei protocolli d’intesa, l’individuazione delle priorità, l’organizzazione e la realizzazione degli interventi. Il terzo anno il Piano diventerà un "sistema", cioè lo strumento ordinario attraverso il quale garantire i diritti essenziali alle persone detenute e un costante adeguamento all’evoluzione dei problemi.

 

È un’esperienza che si potrebbe esportare in altre città, secondo lei?

Anche se il Piano è cittadino, promosso dal Comune di Roma grazie all’impegno dell’assessore Raffaela Milano e del Consiglio comunale, lo abbiamo esteso agli istituti di Civitavecchia e Velletri, che ospitano un migliaio di detenuti, uomini e donne. E questo in accordo con gli assessorati competenti e con l’Amministrazione penitenziaria. Adesso mi aspetto i vostri commenti e anche la vostra collaborazione perché – e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sembra disponibile – è mia intenzione trasferire questa esperienza romana (la Consulta penitenziaria, il Workshop e il Consiglio comunale in carcere, il Garante dei detenuti e il Piano cittadino) in altre parti d’Italia. Perché non partire proprio da Padova?

 

Sarebbe un buon inizio e non ci lasceremmo sfuggire un’opportunità simile. A Roma ci sono altre iniziative interessanti e progetti nel sociale dai quali le altre città potrebbero prendere spunto?

La nostra Amministrazione comunale guarda molto al sociale. Per esempio, l’Assessorato alle Politiche per la promozione dell’infanzia e della famiglia sta arredando le aree verdi degli istituti penali della città, mentre la delegata del sindaco alle Politiche per l’handicap ha avviato un corso di formazione per assistenti domiciliari e dei servizi tutelari, rivolto ai detenuti che svolgono attività come "piantoni" (quei reclusi che assistono i compagni non autosufficienti). Inoltre l’Assessorato provinciale al Lavoro e alla qualità della vita inizierà un percorso di sostegno medico, psicologico e di reinserimento per i detenuti transessuali. Del "kit delle 48 ore" per chi esce dal carcere si è già parlato molto, e ora l’Assessorato alle Politiche sociali sta avviando un servizio di sostegno e cura per i detenuti con problemi di salute mentale, in collaborazione con le Asl. Infine, il delegato del sindaco ai rapporti con le università, il professor Tullio De Mauro, si è impegnato a creare le opportunità per avviare corsi di laurea breve all’interno degli istituti di pena.

 

Suonano come tante piccole riforme nascenti.

Il nostro percorso ha come obiettivo, a breve termine, di migliorare le condizioni di vita nelle carceri, e sperimentare una diversa esecuzione penale che si basi su una presa in carico congiunta del territorio e del Ministero di Giustizia. Per chi ha compiuto reati legati all’uso o allo spaccio di sostanze, per le donne con bambini, per le transessuali e gli omosessuali, per gli anziani, i malati, i portatori di handicap fisico o psichico, per i giovani adulti, non si può prevedere il carcere, ma un modello di recupero veramente efficace, come quello previsto per i minori con il DPR 448 del settembre 1988, che fa riferimento alla più moderna normativa della giustizia minorile.

 

Hanno detto del Piano:

 

Sebastiano Ardita, direttore della Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

"Il nostro impegno è rendere la detenzione diversa da come ce la presentano oggi i media, e per fare ciò l’Amministrazione penitenziaria ha necessità di collegarsi con l’esterno. Il carcere è un luogo dove non ci si può dividere sul tema del reinserimento: le azioni improntate solo alla sicurezza, al rigore e al carcere preventivo rischiano di ricadere sui più deboli. Il labirinto per giungere alle misure alternative non è patrimonio di tutti. Il nostro scopo è fornire a ciascuno una possibilità. Quello di Roma è un Piano in difesa dei soggetti deboli, un fatto che deve essere centrale nella nostra azione. Guai se il carcere dovesse corrispondere al disagio sociale".

 

Rosa Rinaldi, vicepresidente della Provincia di Roma

"Il primo cambiamento da affrontare in tema di politiche per il carcere deve essere la differenziazione del circuito penale, attraverso la costruzione di interventi efficaci di reinserimento sociale per le fasce di detenuti più deboli. Quelli che nella detenzione portano con sé, più che pericolosità per la sicurezza, grandi problemi di disagio sociale".

 

Raffaela Milano, assessore alle Politiche sociali del Comune di Roma

"Il Piano sociale del carcere è stato simbolicamente nominato "XXI Municipio di Roma", per sottolineare come quella degli istituti di pena non sia una realtà isolata dal resto della città".

 

Luisa Laurelli, presidente della Commissione Servizi sociali del Comune di Roma

"Il Piano rende sistematica la questione carcere e pone obiettivi precisi sui quali ognuno di noi sarà chiamato a misurarsi. Oggi abbiamo politiche attive che contano su una rete di rapporti tra operatori e istituzioni, un fatto importante in periodi di tagli, e recentemente abbiamo effettuato numerose visite nei penitenziari di Roma".

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