Omar Monestier

 

Sicurezza e informazione

É vero che c’è chi cavalca la paura semplicemente

a fini politici, ma non va taciuto che comunque la paura c’è

La redazione “intervista” il direttore del Mattino di Padova, Omar Monestier

 

(Incontro avvenuto nel mese di novembre 2008)

 

a cura della Redazione

 

Il Mattino di Padova da alcuni anni dà la possibilità alla redazione di Ristretti Orizzonti di gestire uno spazio importante, mezza pagina ogni lunedì. Uno spazio che noi dedichiamo per lo più ai temi della sicurezza, delle pene, alle testimonianze dal carcere. Volevamo, su questi stessi temi, intervistare proprio il direttore del Mattino, che ha accettato il nostro invito in redazione.

 

Ornella Favero (direttore di Ristretti Orizzonti): Naturalmente qui in carcere, e anche fuori per chi si occupa di temi sociali, pesa moltissimo il clima che c’è nel Paese, e su questo secondo noi i mezzi di informazione giocano un ruolo importante, dando spesso messaggi che insistono molto su questo clima di paura. Ecco, noi vorremmo partire da questa domanda, ossia: quanto pesano davvero i media nell’accentuazione di alcuni problemi, come appunto l’insicurezza, che nel nostro Paese sono vissuti sempre come emergenze?

Omar Monestier: Ci sono criminalità e paure diverse. L’Italia si trova di fronte ad un’ondata migratoria senza precedenti che non è stata gestita, soprattutto all’inizio, quando sono cominciati ad arrivare in massa migliaia di cittadini che cercavano una condizione lavorativa e di vita più dignitosa, e adesso il Paese ha paura perché si accorge degli effetti che questa ondata ha provocato. Poi c’è l’altra criminalità, quella che c’è sempre stata, intendo dire che il ladro di polli e la rapina in banca sono sempre esistiti, e per la quale è subentrata una sorta di assuefazione, per cui la si considera un po’ come la normalità del nostro vivere civile. Si sa che in una società così complessa avvengono degli atti criminosi che non sono giustificati naturalmente, ma vengono tollerati, perché non sono completamente cancellabili dal nostro contesto sociale.

Per quanto riguarda l’aspetto legato all’ondata migratoria, con gli anni è montato un sentimento dì grandissima insofferenza, di astio, certamente non di odio etnico e nemmeno di xenofobia, secondo me, ma comunque una grande intolleranza nei confronti di tutti gli eventi malavitosi che hanno come protagonisti i cittadini stranieri. L’abbiamo sperimentato sulla nostra pelle quando eravamo noi i cittadini stranieri che andavamo in America, trattati peggio delle bestie, abbiamo verificato sulla nostra pelle che cosa significhi essere i protagonisti di questo fenomeno, adesso siamo noi quelli “onesti e benestanti”, che subiscono un’ondata migratoria senza precedenti.

Ora è vero che c’è chi cavalca la paura semplicemente a fini politici, ma non va taciuto che comunque la paura c’è, soprattutto da parte di alcune fasce deboli, non parlo di bambini e anziani, per non citare luoghi comuni, ma sicuramente quelle fasce a reddito più basso, più indifese socialmente, che magari hanno difficoltà a mantenere il posto di lavoro in periodi di crisi come questo. Allora, mentre una volta una cittadina di Padova di 60 anni poteva camminare tranquilla con la sua borsa al braccio, e non si spaventava se dall’altra parte della strada vedeva una persona con la pelle di un altro colore, ora la prima reazione che ha è quella di stringere a sé la borsa perché ha paura, e questa non è una paura indotta dai giornali. I giornali danno conto di quello che sta capitando, siamo in un momento storico che viene vissuto dai miei lettori, ma credo anche da molti miei concittadini, come un momento di grande tensione.

Poi è vero o no che i reati sono in aumento? Ed è vero o non è vero che per la maggior parte i reati sono commessi da cittadini di nazionalità diversa da quella italiana? Secondo le statistiche i reati gravi nel nostro paese sono in diminuzione, per reati gravi si intendono in primo luogo gli omicidi, mentre sono in crescita quelli di piccolissimo cabotaggio che a volte neanche si denunciano più.

Allora è vero che le biciclette a Padova, essendo una città studentesca, le rubavano 20 anni fa come oggi, con una piccola differenza, cioè che oggi non puoi lasciar fuori non solo la bicicletta, ma nemmeno il lucchetto o la catena che tiene legata la bicicletta, perché immediatamente te li portano via. Quindi è in aumento il reato di bassissimo livello, che proprio per questo ha a che fare con la nostra quotidianità. Quando c’era la banda di Maniero che faceva delle rapine “straordinarie” (sotto il profilo scenografico) nel Veneto, e in tutto il nord, il cittadino medio non aveva una sensazione di insicurezza, nonostante la banda avesse anche assalito il ristorante dell’ippodromo con i Kalashnikov, perché la percezione era che questi reati riguardassero una cerchia ristretta di persone, cioè i ricchi, quelli che potevano frequentare quei luoghi. Adesso il ladro di biciclette colpisce chiunque, e non è solo un fenomeno circoscritto come una volta. Vi do un esempio molto semplice derivante dalla mia esperienza: interi quartieri di questa città finiscono sul giornale, perché i garage vengono razziati settimanalmente, cioè ci sono, presumo, dei poveracci che vanno a svuotare i garage per portar via non gioielli o denaro, ma semplicemente un trapano, un attrezzo, a volte una bicicletta che nessuno usa più da anni. Ecco, questo tipo di reato molto piccolo crea paradossalmente un enorme allarme sociale. Io racconto quello che succede. È vero che quello che succede si può raccontare in tanti modi, si possono esacerbare gli animi, oppure raccontare senza troppa partecipazione emotiva, ma io credo che innanzitutto vada raccontato il fatto, e questo noi cerchiamo di fare, e non mi pare che lo raccontiamo esaltandone i toni drammatici. Io non mi sento questa responsabilità, e vi assicuro, e lo giudico dalla quantità di lettere che ricevo, che il livello di esasperazione è molto alto.

 

Ornella Favero: Tu hai usato due termini “i giornali danno conto” e “raccontano quello che succede”. Ti faccio allora un esempio: quando l’altro giorno è successo che un mendicante è stato denunciato perché ha aggredito una donna ferma al semaforo in macchina, sul Mattino c’era un articolo su questo fatto e poi un altro a fianco, con un titolo in grande rilievo: “Sono ancora terrorizzato. Padova ormai è una giungla”. Solo che queste dichiarazioni sono di uno che ha subito una violenza analoga nel 1995. Voglio dire, per trovare un fatto analogo così grave bisogna risalire al 1995, solo che dal titolo non te ne accorgi e pensi che Padova sia ormai una giungla perché di storie simili ne succedono di continuo.

Certo, noi non sottovalutiamo lo shock di una persona che subisce un reato, abbiamo fatto anche un convegno molto franco sul rapporto tra vittime e autori di reato. Altra cosa però è caricare con toni allarmistici i titoli: io abito a Padova, ma non mi sento di abitare in una giungla, mi sento di vivere in una città come tante, con dei problemi, oggi certamente più complessi, dovuti anche a questa presenza molto forte di immigrati, però, con titoli messi così, fai qualcosa di più che dar conto di una situazione, calchi la mano pesantemente.

Omar Monestier: Certo, però è una affermazione della persona intervistata, non è un’affermazione del giornale, io non ho fatto un editoriale dicendo: “Padova è una giungla“, ho sentito una persona che ha subito uno shock che dice: “Per me Padova è una giungla”, e costui lo dice da quando ad un semaforo è stato pestato selvaggiamente. Ora, stiamo parlando di una persona che ha subito una violenza, e che ha ancora per questo delle pesanti conseguenze, anche sotto il profilo fisico. Il caso del mendicante che ha appena aggredito una donna è un caso emblematico della nostra inettitudine a governare i fenomeni, per questo ha avuto tanto spazio, cioè si tratta di un cittadino indesiderato nel nostro Paese, e peraltro anche nel suo, condannato più volte, accompagnato al confine, più volte sottoposto a tutte le misure previste dalla nostra legislazione. Però non è stato messo nelle condizioni di non nuocere, e, solamente dopo che c’è stato questo ulteriore episodio, sottolineato con forza dal giornale, è stato preso, impacchettato e rispedito al suo Paese. Tra l’altro avrebbe avuto più bisogno dei servizi sociali, dei servizi psichiatrici che di quelli delle forze di polizia. Ora io ritengo che una persona pericolosa non può continuare a molestare la gente. Mi sono messo nei panni di questa donna, che lavora, che, come tante altre, torna a casa la sera, e io non posso accettare, da Direttore di un giornale, ma anche, che ne so, da fratello, padre, marito, che una persona sia ferma ad un semaforo e perché dice di no a un tale che le chiede la carità, costui le strappi un lobo dell’orecchio, e scappi.

Per questa ragione, questa storia ha avuto un così grande spazio, perché è un caso emblematico, ripeto, non solo di un fatto di microcriminalità, ma anche dell’incapacità di applicare le leggi. Questo è il senso della grande esposizione mediatica che ha avuto questa notizia, di per sé forse non così grave. Ma se la tesi è che con queste notizie noi fomentiamo l’odio, la paura, la xenofobia, io non sono d’accordo.

Noi siamo lo stesso giornale che racconta delle scoperte dell’università, di come si fanno bene i marciapiedi, di tantissime altre cose, ma adesso stiamo parlando della criminalità, della sicurezza. Questo tipo di eventi non si può raccontare che così, non puoi raccontare che la donna è stata aggredita, però poverino quello che l’ha aggredita forse ha una storia, un vissuto personale di sfiga alle spalle. Non esiste, non si può farlo perché chi subisce e chi vede il fatto non si pone nell’atteggiamento di chi ha commesso il reato, si mette nella posizione di chi lo ha subito, e questa è naturalmente, ma non sempre, anche la nostra posizione.

 

Sandro Calderoni: Non sarebbe sufficiente raccontare il fatto in sé, e cioè semplicemente che una donna è stata aggredita?

Omar Monestier: Io posso anche accettare che nella nostra società così complessa una donna possa essere aggredita per strada, ma ci sono contesti e contesti, qui c’è stata una serie di eventi particolarmente drammatici che vanno raccontati, anche se lei non è stata ferita gravemente; cioè è la normalità dentro cui accadono queste piccole scene di violenza che le rendono straordinarie!

In altre parole, il fatto che due si sparino fra di loro avviene in un contesto diverso, magari un contesto socialmente orientato, per cui fa meno paura a chi non c’è dentro; se invece tu sei una massaia e stai per strada, e un tipo ti strappa un lobo perché tu gli hai detto che non vuoi dargli un euro di carità, questo fatto ha socialmente una rilevanza molto maggiore perfino dell’omicidio.

 

Ornella Favero: Sì certo, ma va inserito in un contesto che spieghi con che frequenza questo avviene.

Omar Monestier: Beh, non è che lo trovi tutti i giorni, se succedesse tutti i giorni probabilmente non saprei neanche come fare.

 

Sandro Calderoni: Ma uno può appunto pensare che questa sia la normalità di tutti giorni, se si scrive “Padova è diventata una giungla”.

Elton Kalica: Vorrei aggiungere una cosa: questo articolo non è che raccontasse il fatto, ma riferiva che questa persona era già libera, perché il titolo era: “Già libero di chiedere i soldi”, quindi non è un articolo che si riferisce al racconto dell’accaduto, ma solleva una critica, a mio avviso, verso il sistema giudiziario che ha permesso a questa persona di essere ancora in libertà.

Omar Monestier: È così, è deliberatamente così. Il clandestino che ha scatenato una rissa con i carabinieri questo fine settimana, ed era sul giornale di domenica, è stato preso, ed è stato mollato poche ore dopo, cosa volete che pensi del nostro sistema giudiziario?

 

Ornella Favero: Un momento, guardiamo bene come sono andate le cose: questo clandestino è stato processato per direttissima, condannato a 4 mesi (cosa gli si vuol dare di più per una rissa?) dopo di che, siccome c’è la sospensione condizionale per tutti perché in tutti i paesi civili, se sei al primo reato, funziona così, lo metti fuori sperando che non venga reiterato il reato. Però abbiamo letto l’articolo, perché qui ci leggiamo ogni virgola, e dire “è già fuori” non spiega affatto che è stato condannato con sospensione della pena, e che se farà altri reati alla prossima condanna si dovrà fare tutta la galera!

Omar Monestier: Presumibilmente.

 

Ornella Favero: Presumibilmente, ma guarda che qui la gente se la fa la galera, eccome! Anche questa è una cosa di cui vorremmo parlare, questa idea di impunità. I giornali e la televisione contribuiscono molto a montare questa idea: “Già fuori!”, ma ci sono tanti modi di essere fuori! I telefilm americani li vedono i giornalisti italiani? noi li vediamo tutti. Là una persona paga una cauzione ed è messa fuori, ma poi se la condannano va in carcere. Però qui nessuno si sogna di spiegare che anche da noi succede lo stesso, solo che i tempi sono lunghi, io vedo gente che viene a scontare una pena 10 anni dopo aver commesso il reato. Ci sono delle donne alla Giudecca detenute per reati fatti quando erano tossicodipendenti e spacciavano, e magari hanno aspettato otto-dieci anni fuori, ma quando gli è arrivata la condanna definitiva, sono entrate in carcere a scontare la loro pena.

Omar Monestier: Ed è anche questo uno scandalo, non è che questo non lo sia.

 

Ornella Favero: Certamente, questo è uno scandalo, ma è ben diverso dal dire “è già fuori” e far credere così che ci sia una sorta di impunità, infatti tanti stranieri sono finiti dentro convinti dell’impunità, perché magari commettevano piccoli reati ed erano fuori in attesa di giudizio, e però alla fine si sono ritrovati qui.

Maher Gdoura: Poi magari nel frattempo tu ti rifai una vita, ti crei una famiglia e riesci a capire da solo che quello che avevi commesso era tutto sbagliato, ma naturalmente te la fanno scontare lo stesso la pena. Io ho commesso i miei reati nel 1995 e sono stato condannato nel 2003, in contumacia, per vari episodi di spaccio, e adesso mi sto facendo tanta galera. Leggendo i giornali, sembra che vengano tutti sempre scarcerati, ma poi il conto arriva da pagare, e a volte è salatissimo!

Omar Monestier: Guardate però, non è possibile che conciliamo in qualche modo il mio punto di vista con il vostro, perché stiamo su fronti veramente opposti, voi vivete una situazione particolare, e siete dentro una realtà che non è la realtà di tutto l’universo che sta fuori. Cioè voi vivete in un angolo di visuale molto particolare e siete molto attenti a quello, è inverosimile che noi e voi, cioè io e voi, si trovi un punto di contatto su come si raccontano questi fatti attraverso un giornale…

 

Elton Kalica: È vero, noi guardiamo la scena da una prospettiva un po’ diversa, se si parla in termini di cittadini regolari e di detenuti, però questo lavoro nella nostra redazione non viene svolto solo da detenuti, il giornale viene fatto anche da volontari che hanno una vita anche fuori e vivono gli stessi problemi di tutti gli altri cittadini, inoltre hanno anche il senso critico di affrontare le cose senza identificarsi nella nostra stessa condizione di detenuti. Anzi, per precisare, qui facciamo delle discussioni feroci con i volontari, perché loro cercano di farci capire molto di quello che ci ha detto lei, com’è il pensiero comune della gente fuori, com’è la realtà nella società: che adesso fuori i problemi di sicurezza esistono, che c’è una grande parte di stranieri che gira e che commette reati, perciò queste cose le sappiamo, e cerchiamo di tenerle sempre in considerazione anche qui, quando ragioniamo su questi problemi. Quindi credo che, se si vuole, si possono trovare terreni in comune su cui riflettere.

Omar Monestier: Il fatto è che c’è un Paese reale che vive nell’insicurezza, al di là dei proclami di chi va al potere di volta in volta, e questo è un dato di fatto che non ha colore né appartenenza politica, poi ci sono i toni della campagna elettorale, che ovviamente sono un’altra cosa...

Il governo Prodi era un governo debole, con un partito che era tentato di fare alcune riforme, comprese quelle dei flussi di immigrazione, e anche della giustizia, e una minoranza che mandava messaggi molto contraddittori e molto diversi e che poi alla fine ha contribuito a farlo cadere. Di conseguenza è successo che in questo contesto è subentrata una forza politica che ha preso le debolezze del vecchio governo e le ha esaltate, facendone cavalli di battaglia per la propria campagna elettorale: ogni sbarco, ogni delitto a Roma piuttosto che a Treviso, e ce ne sono stati due violentissimi, avevano un forte impatto sull’opinione pubblica ed un carico significativo nei confronti della campagna elettorale. Però chi oggi ci governa ha preso quegli elementi casuali, e li ha trasformati in elementi strutturali del malgoverno precedente, dicendo: “Avete visto? Non c’è sicurezza”. Quindi il tema della sicurezza è stato cavalcato dalla forza che ha vinto le elezioni, ma va poi anche detto, al di là della appartenenza politica di ciascuno di noi, che questo governo di centrodestra sta facendo delle politiche securitarie, sulle quali si può discutere, ma che comunque mantengono quello che aveva promesso di fare.

 

Ornella Favero: Io però non capisco quando dici che non possiamo avere un punto di vista comune, perché non è che noi neghiamo il fatto che esista un problema di sicurezza nel nostro Paese, noi contestiamo, e su questo secondo me i giornali hanno un ruolo enorme, che tutto questo sia fatto passare come emergenza e che si facciano leggi sempre sotto la spinta dell’emergenza. Perché, vedi, quando io citavo l’articolo di prima dove si diceva “Padova è ormai una giungla”, non è che io contesto che poniate il problema se il mendicante che ha aggredito una donna poi pagherà o no, non è questo il punto, ma il punto è che, calcando i toni, questa diventa una perenne emergenza. Ora noi le leggi emergenziali che ci sono state in questo Paese le conosciamo e sono tante, adesso si invoca il carcere per qualsiasi cosa, e su questo secondo me i media hanno grosse responsabilità, non tanto, ripeto, sui temi della sicurezza, quanto sul farne perennemente un’emergenza.

Faccio un altro esempio: l’altro giorno è uscito dal carcere quel pensionato, mi pare di 77 anni, che aveva commesso un omicidio, il titolo era: “Omicida già libero dopo solo 2 anni”. Uno crede che, dopo aver commesso un omicidio, un feroce assassino in due anni è già libero, poi vai a leggere, e scopri che la persona è anziana, seminferma di mente…

Omar Monestier: Sì ma è uscito dopo due anni, tu puoi dire quello che vuoi, ma vallo a dire ai figli della donna che lui ha ammazzato che due anni sono un tempo ragionevole perché è anziano o seminfermo.

 

Ornella Favero: Tu però non stai parlando solo alle figlie, ma a tutta la società o ad una parte di questa che legge il tuo giornale.

Omar Monestier: È stato fatto un titolo oggettivo.

 

Ornella Favero: Secondo me no, perché quella persona era inferma di mente, mentre, se una persona normale avesse ucciso qualcuno, se ne starebbe in galera per anni come ci stanno loro qui. È molto diverso, lo sai bene che la gente si crea l’idea che con l’omicidio stai dentro pochissimo.

Elton Kalica: Il problema è che ci sono giornalisti che fanno degli errori grossolani, e non sono neppure sicuro che siano fatti in buona fede.

Però anche se fossero fatti in buona fede, il punto è che, se un giornalista economico del “Sole 24 ore” prende delle cantonate su problemi economici, il giorno dopo lo cacciano, mentre se un giornalista parla di giustizia e fa errori grossolani di terminologia o anche più sostanziali, nessuno si prende la briga di andare a controllare se quell’articolo corrisponda alla realtà.

Poiché oggi stiamo cercando di trovare un terreno su cui confrontarci, si potrebbe pensare ad un maggior controllo su questa materia, magari offrendoci noi di segnalarle eventuali errori.

Omar Monestier: Lo stavo dicendo io, che un sistema per combattere la cattiva informazione è quello di essere molto puntali nella segnalazione degli errori.

Io ho avuto negli anni passati lo stesso tipo di problema con la sanità, ve lo racconto perché secondo me può esservi di aiuto.

Allora, fino a dieci anni fa la sanità veniva raccontata solo per i grandi fatti, come il trapianto di cuori artificiali, le scoperte, le nuove cure. Poi con il crescere dell’insoddisfazione verso alcuni servizi da parte degli utenti, tipo la lunghezza dell’attesa delle visite, oppure con le forti contestazioni nei confronti degli errori dei medici, e dei chirurghi in particolare, le notizie sulla sanità stavano molto più spesso sui giornali, e noi ci siamo resi conto che i giornalisti non avevano una conoscenza neanche elementare per trattare con competenza questo genere di informazioni. Allora siamo andati direttamente all’azienda ospedaliera di Padova e abbiamo detto: “Guardate, voi avete il problema di vedervi correttamente rappresentati sul giornale, noi abbiamo il problema di voler rappresentare correttamente voi per i nostri lettori”, quindi, dopo una serie di incontri e seminari, in cui i giornalisti hanno capito dove sbagliavano, hanno imparato dove cercare le informazioni, si è costruito un rapporto che adesso funziona molto bene. Perché anche dall’altra parte c’erano delle difficoltà da superare, cioè le aziende sanitarie erano abituate al fatto che davanti all’errore si taceva sempre, o si negava anche quello che era lapalissiano.

Allora, visto che siete una redazione che passa ì giornali al setaccio, sugli errori clamorosi, marchiani, vale la pena di tentare di avere degli incontri con i giornalisti che se ne occupano. Una forma potrebbe essere anche quella di mandare delle garbate lettere ai direttori, in cui si dice: “Caro direttore, abbiamo letto l’articolo di cronaca giudiziaria uscito il…, dove si dice… ci permettiamo di dire che non è vero che dopo 6, 7, 9 anni quello è uno che può uscire dal carcere…”.

Guardate, questa cosa che magari all’inizio può essere vissuta con qualche fastidio, se ha una sua regolarità, una sua cadenza, e se non la fate su ogni stupidaggine naturalmente, ma solo su grandi questioni, può essere una forma di miglioramento che vi riguarda.

 

Ornella Favero: Noi infatti volevamo proporre di fare un seminario con i giornalisti di cronaca nera e giudiziaria qui dentro, per ragionare su come alcune questioni vengono trattate dalla stampa.

Omar Monestier: Mettere insieme tutti i giornalisti del Veneto diventa dura, bisognerebbe farlo allora per piccole aree, fare un giornale alla volta. Però è una bella iniziativa, perché obbligherebbe loro a misurarsi con le vostre facce, e non con i nomi scritti su un pezzo di carta, e com’è ovvio c’è una grande differenza tra trovarsi davanti uno che ti dice “Io sono quello di cui tu hai scritto una cosa sbagliata”, e vedere solo una riga su un pezzo di carta!

Questo forse aiuterebbe anche voi a capire un po’ meglio i vostri processi, tenete presente che quando vedete riportato un documento su un giornale, quelle notizie escono da due posti, o dagli uffici legali, oppure dai palazzi di giustizia, questa è la verità, dopo di che è anche bene che qualche carta finisca ai giornali, perché altrimenti certi scandali non sarebbero mai scoppiati se non avessimo intercettato noi le carte prima che arrivassero in aula.

Comunque fra noi giornalisti e voi ci sono molti soggetti, noi non parliamo con voi, anche perché se voi state qui dentro è ovvio che non ci sia una possibilità di comunicazione diretta, e chi racconta le cose che vi riguardano spesso lo fa distrattamente al telefono, o ce le sussurra in un corridoio mentre va da un’udienza all’altra. Questo giustifica parzialmente, anche se non del tutto, una certa incapacità da parte dei giornalisti di essere precisissimi sulle cronache giudiziarie.

In ogni caso la lunghezza dei processi e la struttura delle indagini che ha posto in capo al Pubblico Ministero tutta una serie di funzioni investigative, in questi anni ha reso la stampa necessariamente più orientata verso il Pubblico Ministero, perché è l’unica parte che parla subito dopo il fatto e che spesso ha interesse a rendere visibile il suo lavoro, mentre l’altra di solito rimane coperta fino all’udienza. Quindi è vero che la stampa normalmente è più colpevolista che innocentista.

 

Daniele Barosco: Io voglio rimanere sempre sul tema informazione e sicurezza. Lei prima ha detto che riceve molte lettere su questi reati minori, furti nei garage e simili, difatti sul Mattino ci sono spesso notizie di questo tipo. E poi immagino che riceverà anche molte lettere di chi ha subito i crac, come Parmalat, i bond argentini e simili, e, se le riceve, come mai queste notizie non vengono pubblicizzate e finiscono nelle pagine interne?

Omar Monestier: Cominciamo dalle lettere: allora io ricevo anche lettere di persone che ritengono di essere vittime di crac, che dicono di avere perso tutti i loro risparmi, ed è anche capitato di averne pubblicata qualcuna. La differenza è, e qui c’è anche un certo disagio da parte del giornale, che quando uno manda una lettera per segnalare un fatto specifico come “mi hanno rubato la bicicletta”, lo racconta e basta; quando invece mandano delle lettere contro i crac finanziari, siccome questa è gente che ha perso veramente dei soldi, si arrivano a lanciare accuse piuttosto pesanti, del tipo “Sono stato truffato, la tal banca mi ha rubato tutti i miei risparmi”. Fate attenzione, non è mica così facile pubblicare queste cose, io ho una responsabilità penale di cui rispondo in prima persona, oltre che in termini economici.

 

Daniele Barosco: Allora, se lei deve pubblicare una notizia su un disgraziato che ha rubato un motorino, le tutele giuridiche personali e individuali non servono, se invece la notizia riguarda il direttore di banca, le tutele subentrano tutte, e non si pubblica quella notizia.

Omar Monestier: Da tutte le lettere che ricevo, dal povero cristo al direttore di banca, io tolgo, perché impubblicabili, gli insulti e le offese, e poi le pubblico, perché, ripeto, ne rispondo io penalmente. Però nella sua domanda sottotraccia c’era questa idea: “Voi siete forti con i deboli e deboli con i forti”. No, non è proprio così, ci sono giornali che hanno fatto molto per informare sui reati finanziari, pensate al crac, al golpe sventato su AntonVeneta, che di fatto è stato svelato dai giornalisti, e anche noi nel nostro piccolo cerchiamo di fare la nostra parte.

 

Ornella Favero: Ma in Italia i reati di allarme sociale sono più quelli della zingara che fa tanti piccoli furti, che non, appunto, quei reati finanziari che mettono veramente sul lastrico migliaia di famiglie. Certo viviamo in un Paese in cui se venisse applicata davvero la tolleranza zero finirebbe in galera l’80 per cento degli italiani, perché di gente che viola le regole in tutti i campi ce n’è un’infinità. Cos’è allora l’allarme sociale? comunque un furtarello non lo puoi definire un reato di allarme sociale, lo puoi catalogare nel “fastidio sociale” semmai.

Omar Monestier: Diciamo che, se tu sei un pensionato, a 800 euro al mese, e la zingara ti porta via questi 800 euro, non si può dire che è un furtarello, almeno per quel pensionato.

 

Ornella Favero: Guarda, siamo i primi a dirlo che non si può minimizzare mai il reato, però oggettivamente ci sono due pesi e due misure nei confronti di chi commette reati contro il patrimonio.

Daniele Barosco: Basta vedere che, nei vari pacchetti sicurezza, i provvedimenti presi d’impeto colpiscono sempre una certa categoria di persone, però se poi ci si accorge che queste persone ci fanno comodo, allora non si può fare. Le faccio un esempio: volevano introdurre il reato di clandestinità, quando si sono accorti che avevamo 600.000 badanti che andavano espulse il giorno dopo hanno ritirato il decreto.

Volevo poi fare una domanda sui dati. Le statistiche e i dati non dovrebbero essere né di destra né di sinistra, anche se certo sono interpretabili. Il Mattino ha interpretato che qui a Padova ci sono circa 50.000 persone che vanno a prostitute, e che un padovano su tre rischia l’arresto, se passa la legge che prevede il carcere anche per i clienti delle prostitute.

I giornali poi hanno scritto “Emergenza criminalità a Padova”, il giorno dopo però il generale dei carabinieri, e il capo della polizia dicono che c’è un calo di reati nella regione. Da certi titoli qualcuno qui dentro pensava che fuori ci fosse la guerra civile, allora noi vorremmo capire questi dati come vengono elaborati e diffusi, perché anche noi qui da un anno e mezzo tentiamo di elaborarli, ma ancora non siamo riusciti a capirli.

Elton Kalica. I dati di partenza provengono da una fonte cosiddetta ufficiale, che può essere il Ministero degli Interni, o agenzie di statistiche; quello che noi contestiamo è l’interpretazione o l’uso che ne viene fatto quando arrivano sui giornali. Questo dato delle prostitute è un caso, diciamo così, eclatante. Io penso che abbiano calcolato un certo numero di prestazioni per prostituta a sera, hanno preso poi il numero approssimativo delle prostitute a Padova e fatto un totale, diviso poi per il numero dei maschi adulti, allora uno su tre va a prostitute. Ma questa non è una statistica, è una media che ha fatto il giornalista.

Omar Monestier: Sì, credo che il dato sia stato calcolato così. Io comunque vedo che negli ultimi due anni, mentre cresce la sensazione di insicurezza, le statistiche dicono sempre che molti reati sono in calo. Tenete presente che dipende anche da che ministro c’è al Viminale, perché spesso passa una linea in cui si dice che i reati sono in calo, ma c’è una lettura politica a monte dei reati che vengono raccolti a valle.

Il fatto è che i grandi reati, soprattutto per quanto riguarda Padova, sono oggettivamente in calo, ma c’è questo stillicidio di piccoli episodi sul territorio.

 

Ornella Favero: È davvero difficile capire se i reati sono o non sono diminuiti. Allora noi organizziamo questo progetto con le scuole, e quindi all’inizio facciamo, con centinaia di studenti, una piccola indagine dove chiediamo se si sentono insicuri dove vivono, e poi da dove nasce questa percezione di insicurezza, se gli è successo qualcosa, e non troviamo quasi nessuno che dica: sì sono stato derubato, o conosco qualcuno che ha subito un reato, vivo in un quartiere pericoloso… e a parte il furto di un telefonino o quelle cose minime che non sono certo da collocare come allarme sociale, tutti quanti ci dicono: “Sì, però i giornali dicono che… Sì però i telegiornali dicono che…”. Io non voglio dire che non esista il problema, sto solo distinguendo tra realtà e percezione indotta dai media.

Omar Monestier: Ma la sicurezza, o l’insicurezza sono un fattore di complessità che fanno del nostro tempo non proprio un momento felicissimo, non siamo in una fase di rinascimento, in cui tutti si sentono di far parte di un grande progetto, viviamo in una fase molto convulsa che crea, insieme alla grande difficoltà economica di tutto il pianeta, una situazione di instabilità.

Probabilmente gli studenti, che sono nel fiore della loro vita, e per i quali tutte le speranze sono aperte, non hanno mai provato un’esperienza così fortemente negativa da poter dire che questo ha creato in loro insicurezza. Ma vivono dentro una famiglia in cui magari il papà che ha perso i soldi in borsa, la mamma che perde il lavoro part-time, li inducono a credere che viviamo in un momento di grande insicurezza.

 

Ornella Favero: Ma allora il problema che dobbiamo tirare fuori è appunto un’idea molto più ampia dell’insicurezza, e non il vizio di scaricare tutto sullo straniero e sulla criminalità, e basta, perché secondo me queste sono anche le fasi in cui è facile trovare i capri espiatori. E poi se pensiamo a tutta l’illegalità sommersa che c’è nel nostro Paese, forse la realtà è più complessa, basta vedere che tutti gli immigrati che sono qui in carcere hanno lavorato in nero con datori di lavoro italiani, invece i giornali tendono a ridurre la complessità, semplificando al massimo.

Omar Monestier. Ma è la funzione dei giornali! Ci sono le riviste e i convegni per complicare le cose!

 

Ornella Favero: Io non credo che vedere la complessità significhi complicare i problemi, se sono complicati li analizziamo nella loro complessità.

Marino Occhipinti: Io sono convinto che bisognerebbe essere più chiari nel distinguere il tasso di criminalità degli stranieri irregolari da quello dei milioni di stranieri che lavorano regolarmente in Italia, ossia se gli stranieri vengono messi nelle condizioni di lavorare, comunque delinquono molto meno, spesso anche meno degli italiani, quindi forse bisognerebbe valutare anche questo.

Maher Gdoura: Io sono tunisino, ho 35 anni, dall’età di 17 sono in giro per l’Europa ed ho visto in diverse città europee come si comportano con gli stranieri, però in questa fase della mia vita è la prima volta che vedo un attacco così forte contro gli immigrati.

Per quanto riguarda quelli che commettono reati, non penso che loro vengano qui per fare i delinquenti, però uno che arriva con delle aspettative e non trova lavoro, non riesce a inserirsi perché il clima è pessimo, e magari il lavoro c’è, ma solo in nero, come fa a sopravvivere, come fa a mangiare? Certo questa non è, né può diventare una giustificazione per delinquere, ma è un problema che sta a monte, e che dovrebbe essere valutato.

Omar Monestier. Noi siamo in ritardo come Paese nelle politiche di accoglienza degli immigrati, e questo bisogna dirlo, gli altri Paesi sono molto più avanti, ma non è solo un demerito dell’Italia, nel caso della Francia deriva anche dalla sua storia coloniale, così dell’Inghilterra, nel caso della Germania l’ondata migratoria c’è stata molto prima e quindi i Turchi e gli Italiani che vivono lì, per esempio, sono già di terza, quarta generazione, perciò sono molto più integrati.

Qui stiamo parlando di alcuni aspetti che non funzionano, ma non sono affatto pessimista per quanto riguarda l’integrazione. Nel Veneto, pur essendoci una politica che parla poco di integrazione, e spesso a sproposito, non ci sono storie di xenofobia gravi o pesanti, il punto è che noi siamo arrivati molto tardi, ripeto, e quando ormai il fenomeno migratorio aveva assunto dimensioni imponenti, se avessimo pochi cittadini stranieri da aiutare, da inserire, non avremmo certo il problema che abbiamo oggi. È che ci siamo trovati improvvisamente davanti ad una marea di gente affamata, che aveva bisogno di lavorare, e che non sapevamo come inserire.

 

Lucia Faggion (volontaria): Vorrei spostare il discorso dai contenuti degli articoli ai titoli. Molto spesso il titolo di un articolo viene smentito, comunque chiarito o modificato poi dall’articolo stesso. Allora mi chiedo: in che misura un titolo può far vendere più copie rispetto ad un altro?

Omar Monestier: Che il titolo smentisca il contenuto di un articolo mi pare grave, il titolo ha un effetto di sintesi rispetto al contenuto dell’articolo, e se è un titolo fatto bene cerca anche di catturare l’attenzione, senza ovviamente cambiare il senso dell’articolo che va a sintetizzare.

“Molto spesso” no, questo non posso accettarlo, può capitare qualche volta, ma se fosse molto spesso sarebbe grave; quindi respingo il “molto spesso”.

Per quanto riguarda le cose che fanno vendere di più, dipende dai giornali. Il giornale locale naturalmente è molto diverso da quello nazionale, un giornale nazionale può vendere molto in questi giorni anche per la crisi delle borse, mentre un giornale locale è assolutamente indifferente a questo tipo di notizia.

Nella media, cioè in assenza di eventi eccezionali, le notizie che fanno vendere sui giornali locali sono sostanzialmente due, quelle di nera, morti, incidenti, rapine, non però fatti sgradevoli, tipo stupro, violenza, la nera quella classica, diciamo da sangue, sparatorie… Oppure le notizie di servizio. Sono sostanzialmente questi i due filoni.

 

Milan Grgic: Fra le notizie di nera ci sono, per esempio, gli omicidi in famiglia, che vengono commessi per lo più da gente con problemi psichiatrici, insomma io sono un padre di famiglia e se dovessi arrivare ad ammazzare i miei figli vorrebbe dire che qualcosa non va nella mia testa. Ma nessuno si preoccupa di guardare qual è la causa di questa pazzia, perché se magari una persona ha lavorato tutta la vita per costruire qualcosa per i propri cari e poi, arrivata ad un certo punto della sua vita, stermina la famiglia, forse c’è qualcosa che non va anche all’interno della società.

Omar Monestier: Io racconto quello che vedo, cioè un uomo che uccide la moglie e i figli, e dico come si è svolto, dopo di che posso trovare qualcuno che mi aiuta a spiegare il fenomeno, magari la figlia che mi dice come è successo o il carabiniere che ha trovato il biglietto con scritte delle spiegazioni, ma è difficile che sia io, sia il mio giornale insomma, a spiegare o a dire come stanno le cose, non è proprio il mio mestiere.

 

Lucia Faggion: Sempre a proposito di cronaca nera, la compagna di classe di mia figlia più piccola ha il papà che è un medico e che, in un momento di depressione, ha perso la testa e con una mazza da baseball ha cercato di aggredire la moglie. Ora di questa persona sono stati dati generalità e foto dell’abitazione, però c’è di mezzo una moglie che ha subito il fatto, un figlio, i compagni di classe, molti dei quali hanno letto i fatti raccontati con tutti questi dettagli, quando invece gli psicologi, gli educatori, avevano comunque raccomandato che il fatto non fosse presentato nella sua crudezza.

Quindi io mi chiedo fino a che punto il dovere di informare tiene conto del diritto di ogni persona, fino a che punto possa essere utile fornire dati che consentano di identificare quella persona, e anche i suoi famigliari.

Omar Monestier: Il diritto di cronaca è preminente rispetto a qualsiasi forma di tutela di privacy o di intimità, tranne che per i minori, l’unico fatto sacro è il diritto dei minori a non essere citati, né ad essere riconoscibili, tutto il resto è diritto di cronaca. Trasformo questa mia spiegazione in un esempio, se io scrivessi sul giornale che un noto medico padovano imbracciando una mazza in una abitazione di una non meglio precisata strada nel centro di Padova ha tentato di uccidere la moglie, lei se lo leggerebbe? Io dico di no.

Io non posso, come giornale della città, raccontare un fatto senza tirare fuori gli elementi di identificazione, questa è la differenza tra fare cronaca, o non farla. La legge ci impone di non pubblicare il nome dei figli, ma non posso non pubblicare il nome del padre che è riconoscibile, è figura nota. Queste sono questioni che vengono sempre poste, ma sono irrisolvibili, e davanti a questo io sono molto chiaro: il mio diritto di cronaca è prevalente, e preminente a tutto il resto.

 

 

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