Carlo Giorgi

 

Nelle Terre di mezzo

Un giornale di strada che ci racconta le "città nascoste"

 

(Realizzata nel mese di luglio 2001)

 

A cura di Ornella Favero e Omar Ben Alì

 

Terre di mezzo a Padova ce lo vende ogni mese un ragazzo (del Senegal?) che di solito si sistema, con i suoi giornali, davanti alla libreria Feltrinelli: forse la sua idea è che, se uno ama i libri, un po’ di amore per la buona informazione dovrebbe provarlo. Noi, che da questi giornali "diversi" attingiamo un sacco di notizie, abbiamo deciso di intervistare il direttore, Carlo Giorgi.

 

Come vi è venuta l’idea di fondare un giornale di strada?

Beh, in modo un po’ strano. All’epoca (primavera del ‘93), Miriam, Umberto, Maddalena ed io lavoravamo in un’agenzia stampa che si chiamava "Punto e virgola" e faceva servizi giornalistici su temi sociali conto terzi, per i grandi settimanali. In quel periodo erano nati i primi giornali di strada (quello di Bologna, Piazza Grande, di Padova, di Milano, Scarp de' tennis); e la cosa ci incuriosiva. Però l’episodio che ci ha fatto scattare la scintilla è stato questo: una sera andiamo tutti a Torino, per seguire uno spettacolo della compagnia teatrale "incarcerata" del carcere di Volterra (guarda un po’, fin da allora il carcere...). Davanti al teatro, mentre aspettiamo di entrare e siamo lì a chiacchierare, arriva un ragazzo del Marocco con gli accendini; ce ne vuole vendere uno. Insiste tanto che ci convince anche se nessuno di noi fuma. Allora si è accesa la lampadina.

Abbiamo pensato: "Se ci sono venditori così bravi da riuscire a venderti cose che non ti servono, tanto meglio riuscirebbero a lavorare se vendessero un giornale utile a loro e a chi lo legge". Questo è accaduto ad aprile; a ottobre è uscito il primo numero di Terre di mezzo. Siamo al numero 84. Un pezzetto di strada l’abbiamo fatto.

 

Come è composta la vostra redazione?

È molto cresciuta dall’inizio. Siamo partiti in 4, ora siamo in 13, di cui 9 giornalisti che lavorano su due giornali (Terre di mezzo e Altreconomia), due agenzie stampa (Redattore sociale e Asia news) e la nostra collana di libri. Le altre tre persone si dedicano alla rete di vendita e alla segreteria.

 

Come sono articolate le rubriche all’interno di "Terre di Mezzo", come reperite le notizie, chi sono i vostri "giornalisti"?

Abbiamo scelto di dedicare il giornale a cinque importanti aree tematiche: l’immigrazione e l’integrazione degli stranieri, gli stili di vita attenti al prossimo e all’ambiente, la flessibilità sul lavoro e i problemi annessi, le nuove povertà della nostra società, infine le "città nascoste" che è il grande contenitore di Terre, dove può starci tutto, specie quello che non vogliamo vedere delle nostre città, a patto che sia scoperto con occhi di curiosità e attenzione.

Le notizie le reperiamo drizzando le orecchie, soprattutto andando in giro e leggendo, ascoltando e ricevendo mail; sono tante le cose che possono essere una notizia, a patto che tu sappia leggere in esse gli elementi di novità uniti al fatto che questa novità interessa, riguarda molti. Direi che poche sono le notizie che riprendiamo da agenzia (a parte quelle che noi stessi scriviamo sulle nostre agenzie, si intende). I nostri giornalisti sono veri giornalisti, diversi professionisti e molti giovani in formazione, ma tutti con la passione di testimoniare le cose che accadono e la verità.

 

Perché avete scelto questo nome, "Terre di mezzo"?

Perché ci sembrava particolarmente indicativo di un luogo che amiamo e di uno stato esistenziale che vogliamo vivere. Il luogo è quello delle frontiere, le terre di mezzo, che servono per dividere popoli e nazioni oppure (a seconda di come le guardi) per unirli e farli incontrare. Noi vogliamo che le pagine del nostro giornale e i luoghi che abitiamo diventino luoghi e occasioni di incontro; che le strade delle nostre città siano luoghi dove non si passa con diffidenza e paura ma dove ci si incontra umanamente, con disponibilità. E questo è possibile, crediamo, se le nostre penne sapranno scoprire e raccontare il lato umano delle cose, che non spaventa. Ci piacerebbe che il giornale aiutasse la convivenza, offrisse occasioni di dialogo, di conoscenza e di incontro. E ci dispiace tutte le volte che questa occasione anche per colpa nostra è persa.

 

Su quale base vengono scelti i temi trattati da Terre di Mezzo?

Sono temi che rimangono nella griglia che ho raccontato sopra e di solito si discutono in una riunione di redazione tra i redattori. In questa riunione ognuno mette sul tavolo le sue idee di servizio e poi se ne parla, si discutono, si bocciano o si approvano.

 

Che tipo di finanziamenti avete?

Ci credete? Solo la vendita. Pochissime pubblicità, una volta un premio di 10 milioni di lire della Fivol, Fondazione italiana per il volontariato.

 

Come viene diffuso il vostro giornale e chi sono, in genere, i vostri lettori?

All’inizio siamo partiti con un capitale di 50 milioni di lire, messo insieme coi risparmi di noi quattro. Per quel che riguarda la distribuzione, il nostro giornale viene diffuso non dalle edicole ma (esclusi circa 600 abbonati) da una rete di venditori di strada. Persone in difficoltà, che non trovando lavoro di nessun altro tipo e avendo bisogno di guadagnare legalmente, vengono da noi.

Abbiamo un forte turn-over perché molti poi trovano altro lavoro.

 

Quali sono gli ostacoli che avete affrontate all’inizio della vostra esperienza?

Soprattutto la nostra inesperienza nella gestione di un giornale. Figuratevi che del primo numero, sull’onda dell’entusiasmo, avevamo stampato 70 mila copie. Ne abbiamo vendute 7 mila! Abbiamo rischiato di fallire subito; poi, risparmiando e con pazienza, abbiamo ripreso un buon ritmo e le cose hanno incominciato a marciare.

 

Che tipo di collaboratori avete?

I collaboratori sono spesso giovani che magari hanno letto il giornale e che vogliono diventare giornalisti; allora con loro si inizia una piccola formazione (qualcuno è diventato giornalista veramente! Molti altri desistono. Non è mica uno scherzo diventare giornalista!). Ah, dimenticavo, poi ci sono i giornalisti-detenuti del carcere di San Vittore che da 4 anni (dico 4!!) curano la rubrica sul carcere di Terre. Sono bravissimi anche se un po’ casinisti.

 

Avete forme di collaborazione con altre riviste?

Con Magazine 2, appunto. Con il giornale telematico Golem. E di certo con i colleghi-cugini di Altreconomia.

 

Come è nata l’idea di coinvolgere i detenuti di San Vittore e siete interessati ad altri contributi dal carcere?

È nata perché Miriam per venire al lavoro passava spesso davanti a San Vittore, e si è sempre detta: "Ma cosa succede lì dentro?". San Vittore è la più grande città nascosta nella città. È la più inesplorata terra di mezzo di Milano. Potevamo non entrarci? Altri contributi dal carcere si possono inventare: ne è una prova la nostra e vostra inchiesta sulle famiglie recluse!

 

Quali sono i settori del disagio sociale di cui vi occupate di più?

Quelli delle famose cinque aree di sopra. Ma tra queste, di certo quello dell’immigrazione.

 

 

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