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"Un ragazzino, avrà avuto 14 anni, ci ha chiesto dei libri di favole"
I ragazzi che qualche volta non conoscono le favole sono quelli del minorile di Casal del Marmo: qualcuno un'infanzia non l'ha mai avuta, qualcuno il carcere lo conosce così bene che non ne ha neppure più paura
(Realizzata nel mese di settembre 2004)
"Una stupenda donna con i capelli da bambola che si chiama Freda", così i ragazzi dell'Istituto penale minorile di Casal del Marmo parlano di lei, la mitica Freda, che dal lontano 1957 si occupa di loro, prima come giudice dei minori, poi come volontaria che ha inventato il giornale Garçon. E siccome Garçon è un giornale straordinario per freschezza, vivacità e capacità di farci capire il mondo degli adolescenti e i loro disagi, abbiamo deciso di incontrare a Roma e intervistare Freda e la sua squadra di giovani volontarie: Isabella e Sara laureate in giurisprudenza, Giuliana assistente sociale, Marta educatrice, Francesca artista, Enza e Maria Domenica aspiranti giornaliste, amiche sincere ed affiatate, tutte accomunate dall'entusiasmo per questa esperienza.
Noi lasciamo libero sfogo ai sentimenti
Ci raccontate come è nato Garçon e come si lavora in redazione? Freda: Garçon è nato tanti anni fa semplicemente perché ci siamo accorti che i ragazzi avevano bisogno di parlare. Loro parlavano con me in quanto giudice del tribunale dei minori, parlavano con altri che collaboravano con me, però noi abbiamo detto che questa voce doveva andare fuori. Isabella: Quanto al lavoro in redazione, noi ci ritroviamo ogni sabato mattina con loro, e sono mattinate interrotte spesso e volentieri da colloqui, da visite mediche, da pause "forzate", perché nel momento in cui sono un po' tutti concentrati uno urla "pausa!" ed è finita, quindi sono giornate un po' "frastagliate" e questo pesa sulla concentrazione, è molto faticoso, ci vuole tempo per carburare un po'. Poi nel momento in cui uno riesce a prenderci la mano viene distratto da qualcosa. Il nostro compito, il nostro desiderio è quello di stimolare un po' nelle loro menti delle idee. Creare un momento tutto loro dove pensare. Pensare ai temi che di solito è la Freda a proporci, quindi ogni ragazzo ha un quadernone e ogni sabato sviluppa un argomento, e a volte lo fanno rispondendo a delle domande, a volte preferiscono scrivere in maniera sciolta senza una scaletta. Succede anche che proprio non gli piace il tema, quindi ci dicono chiaramente che preferiscono sceglierne un altro. Sara: La scrittura su questi quadernoni avviene così: ci sono tre tavoli, uno dove ci sta Freda che di solito prende i ragazzi che hanno più difficoltà. Ad esempio l'anno scorso ha fatto un lavoro enorme con due ragazzi cinesi, e alla fine è riuscita a far scrivere loro degli articoli. Noi ci sediamo negli altri due tavoli in mezzo a due ragazzi, e li aiutiamo a sviluppare l'argomento scelto. Le idee sono dei ragazzi e noi diamo una mano solo ad arricchirle e a scrivere correttamente. Ci sono quelli che hanno bisogno anche di un aiuto sulla grammatica, sulla forma. Sono pochi i ragazzi che sono autonomi sotto questo punto di vista… Freda: Poi non tutti e non sempre se la sentono di fare questo lavoro in redazione, e allora se lo portano in cella e lo riportano la volta successiva. A volte mi dicono "A Freda, oggi non me va proprio de scrive'. Tu ci schiavizzi con ‘sto scrivete, scrivete, scrivete", oppure "Adesso mi fumo una sigaretta così mi viene l'idea". Enza: C'è un clima molto bello, anche se uno è nuovo si inserisce facilmente, gli altri ragazzi lo chiamano e gli dicono "Va' dalla Freda, perché là si sta bene". Freda: Quando si tratta poi di pubblicare sui giornali le loro testimonianze, i ragazzi non fanno problemi, non hanno paura, anzi vogliono proprio pubblicarli. Qualcosa tagliamo noi, ma io molte espressioni le lascio, perché fanno parte della loro spontaneità… Noi lasciamo dare libero sfogo ai sentimenti, qualche volta non tagliamo neppure qualche parolaccia. Giuliana: Ecco, finora però abbiamo parlato solo del sabato mattina, che è il giorno della sezione maschile, ma il mercoledì pomeriggio ci sono le ragazze, che sono molte meno come numero. La nostra attività è separata, con dei malumori anche, perché altre attività sono invece in comune.
È molto bello stare con i ragazzi, ti ripaga degli sforzi
Come mai maschi e femmine in redazione sono separati? Freda: In realtà non abbiamo ancora capito il vero motivo, dal momento che in alcune attività la presenza è mista. Prima avevo la possibilità di avere un gruppo misto, perché mi interessa molto che lo stesso argomento venga affrontato dalle donne e dai maschi, visto che non era più possibile ho creato il famoso "salotto del mercoledì", frequentato solo da elementi femminili in cui si discuteva su un argomento di attualità. Ciascuna ragazza esprimeva la sua opinione in proposito e poi si passava alla scrittura delle varie opinioni espresse. Venendo a mancare l'elemento femminile un po' più acculturato, con la sola presenza delle nomadi alternanti sono stata costretta a chiudere il salotto. Al sabato mattina ho aperto una specie di bar: Ritrovamoce o Bar dello Sport. C'è appunto scritto su Garçon "si è aperto questo bar in cui ci sono tutti omini intelligenti e seri", perché purtroppo non è possibile avere personale femminile. In questo bar si servono solo certe cose, quelle previste dal nuovo regolamento interno alla struttura, per non incorrere in sanzioni. Sara: Quando il clima in redazione è difficile, ognuno di noi ha dei momenti di crisi, ma poi in realtà ci facciamo forza a vicenda e continuiamo, perché comunque è molto bello stare con i ragazzi, ti ripaga degli sforzi; spesso quando usciamo ci sentiamo stanche, con la testa strapiena di pensieri, ma allo stesso tempo arricchite e sempre più consapevoli. E poi è così bello quando esce un numero nuovo di Garçon vederli cercare i propri articoli curiosi di vedere l'effetto che fa leggere il proprio nome e il proprio scritto su un giornale, e confrontarsi ironicamente tra loro. Freda: I ragazzi dicono che venendo in redazione stanno "fuori dal carcere". È un momento in cui, prima di tutto, hanno libertà di espressione. Infatti, se arriva qualche agente e sbircia sul quaderno, il ragazzo lo chiude, assolutamente non lo vuole far vedere, perché con quello che ha scritto, vuole significare anche l'insofferenza al sistema che, tuttavia, non può essere messo in discussione.
La comunità paradossalmente ai loro occhi è diventata più severa del carcere
Dai dati che conosciamo noi, nei minorili stanno rimanendo solo gli stranieri, o quanto meno quelli che non riescono ad avere le misure alternative… Freda: Da noi però ultimamente sono quasi tutti italiani, abbiamo un ritorno di italiani, che scontano condanne vecchie… E c'è da dire anche che i Tribunali sono diventati molto più severi. Poi parecchi ragazzi ritornano… Quello che stiamo osservando proprio in quest'ultimo periodo è che si tende a mandare il ragazzo nelle comunità, e per il ragazzo la comunità è sinonimo di libertà, quindi lui accetta subito perché si tratta di uscire dal carcere. Dopo pochi giorni, però, te lo ritrovi in carcere, perché la comunità paradossalmente ai loro occhi è diventata più severa del carcere. Isabella: Di fondamentale importanza per noi (ma è l'opinione di semplice volontarie!!) è la consapevolezza dei ragazzi nel momento in cui danno il proprio consenso per andare in comunità, perché questo significa non solo uscire dal carcere, ma prendersi un impegno ben preciso, significa fare un fondamentale passo in avanti nella loro evoluzione, nel miglioramento della loro personalità. Di fatto talvolta si trovano a seguire un programma ai loro occhi piuttosto rigido: sveglia presto la mattina, fare le pulizie, avere solo dieci sigarette al giorno… cioè, avere regole a cui non sono per niente abituati, ed è veramente importante che ci si abituino, perchè crediamo che imparare a rispettare delle regole giuste sia il primo passo per acquisire un corretto comportamento civile. Conta molto, però, che siano loro a scegliere dopo aver capito.
La comunità è un passo importantissimo, ma deve essere fatto al momento giusto
Ma non c'è anche un problema di rigidità delle comunità? Freda: In effetti in carcere sei contenuto, perché ci sono delle mura, delle sbarre che ti contengono. Nella comunità invece ci sono più che altro delle regole precise, allora il ragazzo in carcere fa bene o male, ma comunque fa a modo suo, mentre lì no. Lì per un periodo di tempo devi stare sotto controllo continuo, non puoi avere contatti con l'esterno, e poi c'è il fatto allettante della porta che puoi aprire e andartene via… Giuliana: La comunità è un passo che secondo noi è importantissimo, ma deve essere fatto al momento giusto, e invece qualche volta i ragazzi lo fanno in modo prematuro… bisogna insegnare loro la gestione del tempo, là tutto è molto scandito, e a questo i ragazzi non sono preparati. Forse manca una fase intermedia, di preparazione alla comunità. Isabella: Proprio oggi è tornato in redazione un ragazzo nord-africano che è scappato dalla comunità ed è rientrato in carcere, e c'ha detto "La comunità è per chi ha già deciso di cambiare vita", l'ha detto lui stesso, poiché se uno non fa questa scelta non c'è comunità che tenga. Per fortuna molti ragazzi la scelta di cambiare vita la fanno e la portano a termine. Noi frequentiamo la comunità di Padre Gaetano, il cappellano di Casal del Marmo. Presso di lui vivono ragazzi sottoposti a misure alternative o comunque soggetti a misure penali: alcuni di loro sono lì da due- tre anni, oggi lavorano, studiano, stanno seguendo un percorso che li sta portando piano piano verso la piena autonomia.
Noi facciamo scuola, ma loro non se ne accorgono
Voi avete un'idea di come hanno vissuto la loro esperienza scolastica questi ragazzi, e se la scuola ha capito qualcosa del disagio che forse vivevano, o se invece li ha messi da parte perché erano un peso? Giuliana: I ragazzi con la scuola hanno avuto una carriera "abbandonica", cioè quasi tutti hanno abbandonato gli studi molto presto, però oltre alla scuola c'è anche la famiglia, nel senso che molti dei genitori di questi ragazzi non gli hanno mai trasmesso l'importanza della scuola. C'è un ragazzo, per esempio, che ha abbandonato la scuola molto piccolo: oltre al fatto che la scuola non l'ha mai più riacciuffato, la famiglia non gli ha neppure mai detto "Guarda che devi andare a scuola". Molto spesso c'è l'incontro di questi due fattori, la famiglia che non ti spinge e la scuola che non ti chiama. Freda: Poi c'è anche un altro fattore che secondo me è basilare: i nostri ragazzi, che provengono da tutte queste situazioni difficili, che non è solamente la famiglia, ma anche l'ambiente rionale e tutto il resto, non vogliono la scuola cattedratica, la scuola deve essere qualcosa di più occasionale, e allora così è più facile che rispondano positivamente. Ma se tu ti metti lì e dici "Adesso facciamo il dettatino", questi ti dicono assolutamente di no. Francesca: Noi in un certo senso facciamo scuola, ma loro non se ne accorgono neppure. I ragazzi stranieri, per esempio, prima scrivono qualcosa nella loro lingua, poi assieme a noi lo traducono, con i vocabolari, cercando di capire quello che volevano dire, dopo di che si pubblicano nel giornalino le due versioni, e intanto il ragazzo impara.
Riuscite a coinvolgere anche i ragazzi Rom, o avete qualche difficoltà con loro? Enza: Al femminile sono quasi tutte rom, per cui dire femminile equivale quasi a dire rom. A volte sono proprio loro a contestare nei loro scritti le leggi tradizionali, e quando stanno in carcere si vestono, si truccano, vanno cercando di imitare le "gagé". Loro la volontà ce l'hanno, ovvio che abbiamo delle difficoltà perché sono straniere, talvolta analfabete. Freda: Certo che non possiamo metterle davanti ad un articolo, ma io parto sempre col chiedere di raccontarsi, allora una inizia a dire la sua storia e magari scrive "Io ho 89" per dire che è nata nel 1989, allora si corregge la frase e le si insegna come va scritto. Non c'è riluttanza, c'è desiderio di imparare, anzi, quando c'erano anche le italiane, loro cercavano di mettersi a livello loro, anche se gradualmente…
Voi avete contatti con le famiglie dei ragazzi? Siete al corrente del rapporto tra loro e le famiglie? Giuliana: Vi racconto di un caso in particolare per farvi capire quanto sia da noi cercato e voluto il rapporto con le famiglie, che a volte si verifica, per caso, mai come prassi. Un ragazzo una volta uscito aveva fatto un incidente, nel corso di un'ennesima rapina, come ormai era sua norma di vita. Andandolo a trovare in ospedale ci è capitato di incontrare il mondo che gli gira attorno, in particolare la madre, e là abbiamo capito di lui tante cose. Noi certo ci auguriamo che ci sia data la possibilità almeno di conoscere il previssuto di ogni ragazzo che ci viene affidato. Marta: C'è un altro episodio che vorrei aggiungere, per spiegare che spesso questi ragazzi non hanno avuto un'infanzia vera. Una volta c'era un ragazzino, che avrà avuto 14 anni, era a messa seduto vicino a me e io gli ho domandato se aveva bisogno di qualcosa, e lui mi ha chiesto dei libri di favole. Questo episodio mi è rimasto impresso! Allora glieli abbiamo presi, e prima di portarglieli glieli abbiamo ricoperti, per evitare che lo prendessero in giro, perché lui ha chiesto proprio Cenerentola e la Sirenetta. Freda: Però noi non sappiamo come l'istituzione prenda questa conoscenza diretta da parte nostra dei genitori, e della storia di ciascun ospite. Il nostro augurio è che in futuro possa aumentare la collaborazione di tutte le figure professionali che lavorano in questo istituto, agenti, educatori e volontari. In fondo operiamo tutti per lo stesso obiettivo e una maggiore collaborazione e comprensione tra tutti noi porterebbe un beneficio generale, ma comunque stiamo sulla strada buona...
Cosa succede negli IPM dal punto di vista della salute? E l'uso degli psicofarmaci è massiccio come nelle carceri per adulti? Isabella: Psicofarmaci proprio non sappiamo davvero, certo è che la terapia è una costante, la senti nominare sempre. C'è anche chi un giorno non va a giocare a pallone perché dice di avere il "riposo terapeutico". Ci fai caso perché la parola riposo terapeutico stona un po' se a dirla è un ragazzo di 18 anni, solitamente vivace, iperattivo, simpatico, con la battuta sempre pronta!!
E l'assistenza sanitaria com'è? Marta: Per quel che vediamo noi buona. C'è un medico dell'istituto, il dentista, sì… l'assistenza sanitaria funziona abbastanza. E a proposito del dentista, vi racconto la scena di uno che una volta è stato chiamato per fare la pulizia dei denti e ha rifiutato perché ha detto che fuori c'è il padre della sua ragazza che lavora presso un dentista, e che una volta uscito gliel'avrebbe fatta gratis. A volte l'idea è che tanto per esercitare un diritto l'unica cosa che possono fare è rifiutare qualcosa, giusto per dire "Ho deciso io cosa fare". Francesca: Come la domenica, quando noi andiamo là di mattina. In quel caso l'alternativa per loro è quella di venire a chiacchierare con noi oppure rimanere chiusi in cella, e ce ne sono alcuni che non scendono. Secondo noi non lo fanno perché non ne hanno voglia, ma perché potendo scegliere di non scendere dicono "No, io resto in cella". Perché vogliono far vedere che decidono qualcosa. Sara: A volte gli chiediamo "Scendi domani mattina?" e qualcuno risponde "Ah, non lo so, forse mi sento male domani".
E con il problema della droga? Freda: Sappiamo chi è tossicodipendente, però non è un problema che emerge a livello di istituto. Ci sono stati dei periodi tragici, quando entravano quelli che prendevano gli allucinogeni, quelli che sniffavano, ora il termine "tossico" non compare se non nei loro scritti. Isabella: In carcere naturalmente non la usano (ci mancherebbe!), però il loro pensiero va spesso lì. Perché alla classica domanda "Cosa farai quando esci?" talvolta invece di dirti che so: "Prima cosa vado a farmi una bella passeggiata sulla spiaggia con la mia fidanzata!" ti rispondono: "Prima di tutto vado a drogarmi un pochetto…". Tant'è che poi dentro ci dicono: "Mi raccomando, fuori venite a trovarci", e una volta ci siamo andate, ma fuori sono altre persone. Giuliana: Per esempio, un ragazzo che ci aveva pregato di andarlo a trovare, non dico che non ci ha riconosciuto, ma quasi. Ci ha detto di aspettarlo lì un attimo che sarebbe tornato subito, ma non si è più fatto vedere. Adesso è rientrato in carcere ed ha ricominciato a dire di incontrarci quando sarà fuori, noi gli abbiamo ricordato di quel giorno, e lui ha risposto che quel giorno era tutto "intrippato". Quindi il loro pensiero fisso è quello.
Prima avete detto che restate in contatto con quei ragazzi che passano al carcere per adulti. Sono tanti i ragazzi che tornano a commettere reati? Freda: Certo, proprio stamattina è tornato in redazione un ragazzo, che purtroppo dice che ormai la sua casa è il carcere. Esce, trova l'amico che gli fa spacciare la droga, si diverte e quando lo acchiappano torna in carcere. Ci sono poi ragazzi sui quali è intervenuta la giustizia molto in ritardo. Hanno avuto un cumulo di pene, anche perché loro poi sono disattenti e quando arrivano le citazioni, se non hanno un avvocato che li segue, non ci fanno caso, così si ritrovano a dover scontare una pena, magari quando stavano seguendo un percorso, stavano facendo dei progetti per il futuro… Ce n'è uno, ormai adulto, è un ragazzo intelligente, della zona di Roma malavitosa, sin da ragazzetto lui faceva le rapine alle banche ed era aggregato a gruppi malavitosi. Gli si sono accumulate tutte queste pene, per cui deve scontare 23 anni di carcere, ne ha fatti sei e gliene rimangono 17… Adesso lo sostengo io, mi scrive tre lettere a settimana e mercoledì devo andare a fargli colloquio, anche perché lui dice che l'unico suo sostegno sono io. Mi chiede anche consiglio su come si deve comportare, ha paura dello scontro con gli altri. Francesca: Alcuni di loro, soprattutto quelli che hanno iniziato a venire in carcere a 14 anni, non hanno paura del carcere. Ormai è un ambiente che conoscono benissimo, hanno preso le misure di quella realtà, sanno fino a dove possono spingersi e non lo temono. Giuliana: C'è da dire che molti di loro non hanno contesti e ambienti favorevoli… L'altro giorno ad un ragazzo ho detto "Esci lunedì? E dove vai a dormire?", e lui prontamente ha risposto "A casa tua!".
Ci raccontate qualcosa della vostra nuova sede esterna? Freda: Devo dire che ho salito e sceso mille scale, e tante volte dicevo che desideravo che i ragazzi arrivassero attraverso il giornalino ad imparare un mestiere, e per fare questo mi serviva una sede, mi sono sentita dare della sognatrice e ho avuto il coraggio di rispondere: "Ma sapete quanti anni ho passato con i ragazzi? È dal 1957, per cui questi non sono sogni… sono desideri che io ho letto però negli occhi e nelle espressioni di tanti tanti ragazzi". Alla fine sono arrivata, sempre con la mia carta di credito che è il giornalino, dal Vice capo di Gabinetto del Sindaco, gli ho raccontato un po' la mia storia ed è stato veramente un galantuomo. Due giorni dopo mi ha telefonato e mi ha detto che aveva trovato una sede nel diciassettesimo municipio, un salone accanto alla Presidenza del Municipio 17. Maria Domenica: La redazione funziona al martedì e giovedì pomeriggio. Abbiamo aperto il 24 maggio, inizialmente con quattro ragazzetti che frequentavano la parrocchia del quartiere ed entro un mese è stato fatto il primo giornalino, Garçon con le ali. Freda: Dopo sono andata a parlare con i servizi sociali circoscrizionali, con il servizio sociale penale, con la dirigente del distretto di Roma, chiedendo che qualche ragazzo sottoposto a misure alternative potesse continuare l'attività intrapresa all'interno, o quantomeno venissero quelli con la messa alla prova. Infatti abbiamo iniziato da settembre con Carlo, un ragazzo con la misura della messa alla prova: al mattino va a fare grafica pubblicitaria al Don Orione e di pomeriggio viene da noi. Pensiamo che da gennaio riusciremo ad avere una buona redazione, con un programma completamente diverso da quello della redazione interna, usufruendo di un quid importante: "la Libertà".
Freda, Sara, Giuliana, Isabella, Francesca, Marta, Enza e Maria Domenica Redazione Garçon il Salvagente, I.P.M. Casal del Marmo, Roma
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