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A Modena è nato Peter Pan
(Realizzata nel mese di giugno 2002)
A cura di Marino Occhipinti
"Non dovrà più esserci chi preferisce non vedere il proprio figlio in carcere a causa di modalità, spazi, atteggiamenti, tempi non adatti ad accogliere i bambini"
Un progetto, uno dei pochi in Italia, che si occupa di rendere meno drammatici i rapporti tra genitori detenuti e figli: questo è Peter Pan, che ha visto la luce grazie all’impegno di un piccolo gruppo di volontari di Modena, in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria e le istituzioni locali. E di Peter Pan abbiamo parlato con Paola Cigarini, referente del Gruppo Carcere - Città di Modena.
Far conoscere il progetto Peter Pan è una buona opportunità sia per voi che per noi: ce lo vuoi illustrare, spiegandoci anche quali sono le sue finalità? Dapprima abbiamo titolato il progetto "Peter Pan essere genitori in carcere", poi il titolo è diventato più "tecnico": "Peter Pan, ovvero progetto di prevenzione primaria e secondaria nell’ambito della promozione delle relazioni genitoriali, destinato alle persone detenute con figli minori". Un titolo così dice già molto del progetto, anche perché sul vostro giornale (per fortuna!!) è stato scritto parecchio sulle relazioni, sugli affetti, sui rapporti famigliari negati, sui diritti delle persone detenute. Vi chiederei allora di utilizzare l’opportunità che ci fornite per fare conoscere la nostra esperienza in special modo ad altri volontari. Testimoniare della possibilità, che anche un piccolo gruppo come il nostro ha, di proporre iniziative e formulare progetti, sollecitato dall’incontro diretto con le persone recluse, ma con un’attenzione che va oltre la risposta immediata, per un cambiamento culturale e strutturale, per una giustizia che sappia essere in grado di aiutare la persona che ha violato la legge verso una presa di coscienza personale e una assunzione di responsabilità. Ovviamente nessuna illusione. Voi sapete meglio di me come i cambiamenti in carcere siano sempre molto "provvisori" malgrado le leggi e i regolamenti, ma il nostro ruolo di volontari è anche quello di non accontentarci mai e tenere le pur necessarie mediazioni al livello più alto e produttivo per la popolazione detenuta e per la società tutta.
Ma come nasce l’attività del gruppo? Per alcuni anni abbiamo proposto alla direzione e organizzato incontri (festicciole) dove i figli minori delle persone detenute potevano essere abbracciati, baciati, coccolati, ricevere dal padre/madre doni e attenzioni in un luogo differente dalla sala colloqui, nel tentativo di ricostruire un ruolo famigliare. Alla fine di ogni festa, però, la gioia e l’allegria lasciavano in tutti spazio alla tristezza ed alla commozione. Ci siamo così assunti la responsabilità da un lato di dare continuità a questi momenti, dall’altro di offrire al detenuto/a strumenti per crescere come persona, come padre, come madre, consapevoli che aiutarli sul piano della relazione con i figli fosse importante anche per la crescita equilibrata di un bambino/a che dovrà imparare a comprendere, accettare e vivere positivamente una situazione famigliare così particolare. Ci siamo confrontati con la psicologa e la criminologa, con gli educatori. Una volontaria, laureanda in Scienze dell’educazione, ha raccolto, attraverso un questionario, dati e informazioni sui detenuti/e con figli minori presenti in istituto. Abbiamo letto di altre esperienze, abbiamo elaborato idee e proposte in una prima bozza di progetto presentata alla direzione e agli altri volontari che operano alla Casa Circondariale di Modena.
Com’è stato accolto il progetto da parte dell’amministrazione penitenziaria? Bene. Comprese e condivise le finalità, mediate le difficoltà soprattutto di natura organizzativa (orari, carenze di personale, modalità di partecipazione dei detenuti, presenza di altri enti al tavolo della progettazione e verifica) il progetto diventava sempre meno provvisorio e assumeva la forma di un vero e proprio strumento operativo, con una sua piattaforma di lavoro: premessa, obiettivi, gruppo tecnico di progetto, attività proposte, programmazione delle attività, costi, e per ultime le verifiche, che la stessa amministrazione locale ha trasmesso all’amministrazione centrale. In che modo seguite l’evoluzione dell’iniziativa? Vi riunite per esaminare l’andamento del vostro lavoro? Il gruppo tecnico di progetto si incontra ogni due mesi circa per valutare il rispetto dei tempi del gruppo dei detenuti, la partecipazione degli stessi al gruppo, il feed - back dei detenuti alle sollecitazioni, l’effettivo svolgimento delle feste programmate, l’andamento degli interventi strutturali.
Quali enti, istituzionali e non, e quali figure professionali (psicologi, assistenti sociali, educatori…) siete riusciti a coinvolgere nel gruppo tecnico? Come volontari siamo, a quel punto, diventati "ambasciatori" del progetto presso altre istituzioni della città. Alla data dell’avvio dell’esperienza erano presenti, al gruppo tecnico che si occupa della sua realizzazione e delle successive verifiche: a) l’amministrazione penitenziaria con due educatori, il comandante, un’assistente sociale del C.S.S.A., una psicologa esperta (ex art. 80); b) l’amministrazione comunale con un funzionario dell’Assessorato ai Servizi Sociali, area Adulti, e un operatore del Centro per le famiglie. Successivamente è stato coinvolto anche l’Assessorato all’Istruzione, politiche per l’infanzia; c) due volontari del gruppo proponente il progetto stesso. Da ottobre parteciperà al gruppo tecnico anche l’azienda sanitaria locale con un esperto dell’area psicologica Salute Infanzia. Il gruppo potrà essere integrato da altre figure di esperti qualora, durante il percorso, emergano problematiche specifiche (comunicazione con i detenuti stranieri, problemi connesse all’uso di stupefacenti, ecc…).
Sono stati effettuati interventi strutturali per rendere più accoglienti i locali destinati agli incontri? Al momento non sono ancora iniziati i lavori per la costituzione di uno spazio attrezzato per l’incontro dei detenuti/e con i figli. L’inizio è previsto per il prossimo autunno. Durante l’estate tutti gli ospiti della Casa Circondariale possono effettuare colloqui, a domanda, in una piccola area all’aperto secondo un calendario (un po’ complicato) predisposto dalla direzione. Come siete riusciti ad ottenere il sostegno economico necessario a fronteggiare le spese relative alla messa in opera dell’iniziativa? I costi per la risistemazione di uno spazio per i colloqui di tutti i detenuti con i figli rientrano tra i costi previsti dall’amministrazione più complessivamente per le ristrutturazioni contemplate dal nuovo Regolamento. L’Assessorato del Comune di Modena, politiche per l’infanzia, ha presentato alla Regione Emilia Romagna la richiesta di un finanziamento per l’arredamento di questo spazio che rientrerebbe nel progetto "Modena, la città delle bambine e dei bambini". Nel dicembre scorso abbiamo partecipato con il progetto Peter Pan ad un bando emesso dalla Provincia di Modena - servizio politiche sociali e della famiglia - per la concessione di contributi ad organizzazioni di volontariato per la sperimentazione di attività ed interventi a sostegno delle funzioni genitoriali. Ci è stato concesso un contributo con il quale copriamo le spese sostenute dall’esperta psicologa che tiene gli incontri generali sulla genitorialità (almeno fino a quando la locale azienda USL non entrerà nel progetto con il proprio esperto) e le spese per l’animazione delle feste. È previsto anche un sostegno economico a quelle famiglie che, per partecipare alle feste e/o ai colloqui, incontrano spese non indifferenti di viaggio e alloggio. Gli esperti che conducono il piccolo gruppo sono funzionari del Comune di Modena in orario di lavoro, per i quali non sono quindi necessarie altre spese.
Con quali criteri, e da chi, sono stati scelti i detenuti ammessi a fruire delle opportunità offerte dal progetto Peter Pan? L’iniziativa è partita con un piccolo gruppo di detenuti (10/12) selezionati dagli operatori dell’equipe istituzionale; detenuti che avevano partecipato con continuità alle feste con i loro famigliari e avevano poi riportato le loro preoccupazioni, le ansie, il dolore durante i colloqui individuali. Da parte loro c’è stata l’accettazione di un percorso di approfondimento e aiuto. Il gruppo, centrato sulla riflessione dell’esperienza genitoriale, è condotto dal funzionario del Comune di Modena, che ha competenze in psicologia, e dall’esperto del Centro per le famiglie.
In concreto, che genere di attività viene svolta a favore dei genitori detenuti e dei loro bambini piccoli? Sono state organizzate feste rivolte a tutti i detenuti/e (senza differenza di condizione giuridica) con figli minori che ne hanno fatto richiesta, anche per i padri della sezione Alta Sicurezza. Pagliacci, prestigiatori, hanno divertito i bambini e permesso al papà ed alla mamma un incontro quasi "normale". Sono state organizzate poi serate alla sala teatro, aperte ai detenuti ed alle detenute che hanno chiesto di parteciparvi, e poi incontri/dibattito condotti da una psicologa sul tema più generale dell’essere genitori anche in carcere, iniziativa ripetuta per i detenuti della sezione Alta Sicurezza. Siamo anche consapevoli che non basterà avere uno spazio attrezzato per l’incontro genitori/figli, magari molto bello e moderno, se rimarrà ancora molto grigia e spoglia la sala di attesa ai colloqui, o i tempi di attesa all’esterno (estate, inverno) lunghi e faticosi. Non dovrà più esserci chi preferisce non vedere il proprio figlio in carcere a causa di modalità, spazi, atteggiamenti, tempi non adatti ad accogliere bambini. E ora anche bambini di culture diverse dalla nostra.
Quanti volontari sono impegnati, con quali mansioni e responsabilità organizzative? È stata effettuata una preventiva ed idonea preparazione di coloro che operano all’interno di questo progetto, trattandosi appunto di un contesto tanto delicato? Oltre ai due volontari che partecipano al gruppo tecnico di progetto; ci sono altri cinque-sei che contribuiscono all’organizzazione delle feste e sono disponibili nell’accompagnamento di famigliari (il carcere è ubicato in una zona non troppo servita dai servizi pubblici). Tutti i componenti del Gruppo Carcere Città sono coinvolti come persone e come cittadini perché è condivisa l’idea di fondo del progetto, che riconosce l’affettività come diritto della persona detenuta, e se la persona detenuta si sente "riconosciuta" come portatrice di diritti, certo è più stimolata a riconoscere anche i propri doveri. Come ogni volontario che svolge la sua attività con le persone, quello della propria formazione è un impegno costante. La formazione sulla relazione d’aiuto è un bisogno e un dovere. Nello specifico del rapporto con un detenuto genitore, io credo che noi possiamo "essere" con la persona, accompagnarla nel percorso che sta facendo con la propria famiglia, ma sono altre le figure professionali che possono maggiormente aiutarla. Il problema vero è che all’interno del carcere mancano psicologi, terapeuti, educatori e allora la nostra responsabilità è quella di fare conoscere questa situazione, sollecitare l’intervento delle istituzioni locali per collegare le vite "fuori" con quelle "dentro"; per facilitare emancipazioni, trovare alleati alle nostre denunce. Quali sono state le reazioni, sia dei genitori sia dei figli, nei confronti della novità della ludoteca e delle feste che organizzate, che naturalmente consentono incontri meno traumatizzanti e quindi più spontanei? Ricordo come anni addietro, al termine delle feste con i loro figli, i detenuti/e ci salutavano con un grazie. Gli occhi lucidi e un grazie. Oggi alla stretta di mano e al grazie finale si associa un sorriso. Credo che il cambiamento stia nel fatto che il detenuto/a ha la certezza che di feste ce ne sarà presto un’altra. Che quel momento non rimarrà isolato, che qualcosa è cambiato nella possibilità di costruzione di rapporti più umani con le famiglie. C’è speranza e anche i bambini sentono questo. Il genitore ha promesso un’altra festa, un regalo, ed ora può mantenere quella promessa.
Quali sono i risultati più significativi che ritenete di aver conseguito in quest’anno di esperienza? Sicuramente l’avere portato intorno ad uno stesso tavolo di lavoro più amministrazioni e più soggetti, facilitandone così la comunicazione, è un risultato. Avere creato opportunità di riflessione, aiuto, speranza alla popolazione detenuta, è, crediamo, un buon risultato. Avere fatto conoscere il volontariato anche nella sua capacità progettuale e di promozione, è un risultato.
In considerazione del bilancio più che positivo, pensate di riuscire a ripetere l’iniziativa e magari ad istituirla in pianta stabile? Il bilancio è un bilancio ancora in corso d’opera, positivo ma non definitivo. Il piccolo gruppo di detenuti (ora solo maschile) non dovrà essere l’unico piccolo gruppo presente in istituto. Vorrà dire che più persone accetteranno di mettersi in gioco nel loro ruolo di genitore e di accogliere l’opportunità del percorso Peter Pan. L’eccezionalità di oggi dovrà diventare normale attività per l’istituzione penitenziaria e per le istituzioni locali, dimostrando così di condividere l’idea che un carcere dove si possono vivere meglio gli affetti può essere anche un carcere più sicuro in un territorio più sicuro. Su questo dovrà essere sempre alta la nostra attenzione e vigilanza.
C’è stato un coinvolgimento della Polizia Penitenziaria nel progetto? La Polizia Penitenziaria ha un ruolo molto importante e delicato in ogni momento della vita del detenuto. Un ruolo molto difficile. Questo ovviamente anche nel percorso che il detenuto compie verso l’incontro con i famigliari e nella gestione degli affetti. La divisa che l’agente indossa è il primo elemento di curiosità per il bambino che entra in carcere. Chi è? Lui conosce la divisa del vigile del fuoco, la divisa del soldato, dell’aviatore, del vigile urbano che l’aiuta all’ingresso della scuola. E quella…? È forse il portiere di quell’edificio? E poi mi chiama per cognome, mi dice quando posso passare, mi richiama se sto facendo confusione o non sto troppo tranquillo… E poi apre delle grosse porte di ferro con delle grosse chiavi che non vedo altro che in quel posto… Ma di più. L’agente di Polizia Penitenziaria conosce il detenuto in momenti e situazioni che altri non vedono. Ne raccoglie spesso per primo le angosce e le inquietudini. Ascolta racconti di mogli e figli. Anche per questo avevamo previsto, nella bozza iniziale di progetto, che questo percorso fosse fatto insieme ad un piccolo gruppo di agenti per avere il contributo della loro esperienza e perché fossero loro i primi possibili agenti moltiplicatori di cambiamento. Un esempio per tutti. A distanza di una settimana due feste con i bambini. Alla prima, come concordato con la direzione, i famigliari arrivano al campo sportivo, luogo della festa, trasportati su un bel furgone blu. Un bel giro! La festa è iniziata bene già all’ingresso in istituto. Alla seconda festa, stessi accordi (stesso istituto) ma i famigliari arrivano al campo sportivo dopo un lungo percorso a piedi sotto il sole (andata e ritorno) tra le alte mura, scrutati dietro le grate delle finestre con asciugamani e calzini appesi ad asciugare. La festa è iniziata male. Al gruppo tecnico di progetto partecipa il Comandante: questo è positivo, ma il problema è la condivisione e la conoscenza da parte di tutti gli agenti del senso e significato di un ordine di servizio, di un progetto in corso, delle sue finalità, altrimenti l’esecuzione dello stesso ordine di servizio è diversa. In questo progetto niente avviene automaticamente, ogni dettaglio è importante.
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