Alain Bouregba

 

Separazione tra genitori detenuti e figli

sono forti i rischi di un disadattamento sociale

 

(Realizzata nel mese di maggio 2002)

 

A cura di Renzo Pampalon

 

Di questa separazione, e di cosa fare per renderla meno traumatica, abbiamo parlato con Alain Bouregba, direttore della Federazione dei Relais Enfants Parents.

 

Alain Bouregba è direttore della Federazione dei Relais Enfants Parents e psicoterapeuta di professione. La sua qualifica professionale spiega già in partenza come funziona, in Francia, questa rete di sostegno ai figli dei detenuti: è un volontariato fatto anche di professionisti, che mettono a disposizione le loro competenze per aiutare le famiglie ad affrontare l’angoscia del carcere.

 

Può dirci com’è nata l’associazione "Relais Enfants Parents", da chi è stata fondata e come siete giunti ad una diffusione così capillare delle vostre iniziative a livello nazionale?

L’associazione è nata nel 1985 grazie ad una pedagoga che si chiama Marie France Blanco, che dal 1984 aveva iniziato a far visita ai detenuti del carcere di Fleury Mérogis, dove nello stesso contesto incontrava anche le madri dei detenuti. Questa donna ha avuto grandi riconoscimenti a livello internazionale, per cui l’Amministrazione Penitenziaria, anche se inizialmente in qualche modo la ostacolava, o per lo meno non la incoraggiava, con il tempo ha accettato di aprirle le porte. Per quanto concerne il grande sviluppo della nostra attività, nei 17 anni dalla nascita dell’associazione ci siamo "allargati" grazie alla volontà, alla caparbietà e alla tenacia dei volontari dell’associazione stessa.

 

L’Amministrazione Penitenziaria vi viene in aiuto economicamente in qualche modo? E con quali proventi sopravvivete?

Sopravviviamo con finanze proprie, e grazie all’aiuto di alcuni mecenati. L’Amministrazione non ci aiuta economicamente in alcun modo. L’unico aiuto che ci dà è quello di darci la possibilità di accedere negli istituti senza problemi. Nei primi anni della nascita dell’associazione si era anzi dimostrata piuttosto ostile, poi, capendo l’importanza del nostro lavoro, è diventata sempre più favorevole, permettendoci di operare con una certa serenità e collaborando con noi. Questo perché si sono resi conto del fatto che un detenuto che mantiene i legami affettivi è meno irrequieto, più sereno, e anche il comportamento carcerario di tutti ne trae beneficio. Si è notato, inoltre, che i detenuti che hanno legami affettivi sono più facilmente reinseribili nella società. Tutte le personalità del settore contattate e interpellate si trovano perfettamente d’accordo nel dire che un detenuto che ha conservato i legami familiari rischia in percentuale tre volte meno la recidività rispetto ad un detenuto, i cui legami familiari si sono spezzati, o sono inesistenti. Detto tra noi, visto il contesto, l’Amministrazione francese non ha scelta, considerati i buoni risultati ottenuti in questi anni. Infatti, è una necessità per lei stessa permetterci di operare.

 

Quali sono esattamente le finalità della vostra associazione?

È una domanda per la quale, se dovessi rispondere in modo esauriente, mi occorrerebbero delle ore, però cercherò d’essere sintetico ed esauriente: i nostri punti d’intervento sostanzialmente sono quattro. Organizzare interventi di gruppo o individuali presso i genitori detenuti. Accompagnare i bambini ai colloqui in prigione. Dare sostegno alle famiglie perché siano sincere, dicano la verità ai bambini. Infine, nostre équipes collaborano con consulenti specializzati nel settore dell’infanzia, in modo che i bambini, se lo chiedono, possano mantenere rapporti costanti con il genitore carcerato. Noi lavoriamo, con tutti i nostri 15 centri, solo per il bene dei bambini che hanno uno dei genitori in prigione. Per prima cosa l’associazione cerca di dare con ogni mezzo a sua disposizione un sostegno psico-affettivo atto a mantenere il legame tra i bambini e i loro genitori detenuti, in modo che la separazione non venga vissuta come un abbandono. Perché, se invece la separazione è vissuta davvero come un abbandono, sono forti i rischi di un disadattamento sociale. Noi interveniamo in diversi modi, anche accompagnando i bambini a trovare i genitori, cosa non sempre facile ma importantissima, se si pensa che alcuni bimbi vengono presi dal panico al solo pensiero di entrare in carcere. Poi vi sono alcune madri che rifiutano che i bambini incontrino i padri, dunque ci sostituiamo a queste madri e accompagniamo i bimbi presso i padri detenuti. Altra nostra missione è rendere accettabili e piacevoli i locali adibiti ai colloqui tra i figli ed i padri o le madri detenute, in modo che i loro incontri si svolgano in un ambiente gradevole e non traumatizzante.

Altra finalità è quella di sostenere i genitori quando si sentono disorientati dalle riflessioni e domande dei loro figli. Ma capita anche che i figli rifiutino questa situazione e anzi dicano di non volere più entrare in carcere ad incontrare il genitore.

Il nostro lavoro è immenso, ci siamo talmente allargati ed abbiamo tanti partners da considerarci quasi una federazione. Non vi annoio dandovi i nomi di tutti i nostri partners, però posso accennarvene alcuni molto attivi e che ci favoriscono: oltre alla direzione dell’Amministrazione Penitenziaria, c’è la direzione dell’Azione sociale; il Servizio dei Diritti delle Donne; siamo in contatto con Eurochips come con la F.A.R.A.P.J. (Federazione delle Associazioni di Riflessioni, Azioni, Prigione e Giustizia), e molti altri ai quali ritengo superfluo accennare. Comunque voglio dirvi che oltre ai detenuti francesi, ci stiamo attivando anche nell’Unione Europea in concomitanza con altre associazioni europee, canadesi, americane, per fare qualcosa per i detenuti stranieri ristretti in territorio francese.

È molto importante che un’associazione come la nostra lavori a livello europeo, infatti, a Parigi come in tutta la Francia, vi sono detenuti italiani, spagnoli, portoghesi, africani, come di molte altre nazioni. Per questi detenuti, vista la lontananza dalle loro famiglie, non è certo possibile mantenere fisicamente nessun tipo di relazione, dunque, chiedendoci come fosse possibile sopperire a questa carenza, stiamo spingendo in qualche modo la Commissione europea ad autorizzare i detenuti, oltre che ai contatti telefonici, a un tipo di contatto e relazione diversa, attraverso Internet. Noi pensiamo sia una buona strada da seguire, nonché un punto importante e diverso nel rapporto affettivo.

 

Quanti centri ha attualmente la vostra associazione?

Abbiamo 15 centri sparsi nel territorio francese, raggruppiamo oltre 600 volontari diretti da circa 70 professionisti i quali, interscambiandosi, assicurano una presenza costante e attiva.

 

I 15 centri dell’associazione coprono tutto il territorio francese?

Purtroppo no, siamo totalmente assenti nell’est della Francia.

 

Come mai? L’est della Francia sembra sordo e disinteressato al problema delle famiglie dei detenuti?

No, il problema, dal mio punto di vista e dall’esperienza sul campo, è forse più semplice. Tutte le associazioni al loro inizio hanno bisogno di una persona dinamica che faccia un po’ da locomotiva, però, se succede che queste persone vengono a mancare, non si riesce a lavorare decentemente.

 

Ma questa carenza dell’associazione in tutto l’est della Francia non è che possa essere dovuta al fatto che in quelle regioni c’è una mentalità più rigida e meno capacità di associarsi in modo da sensibilizzare il mondo esterno su un tema così delicato?

No, non credo che questo problema sia legato al contesto culturale di queste regioni dell’est, infatti nella vicina Germania ci sono molte associazioni che operano in questo contesto, e l’Amministrazione Penitenziaria tedesca è molto favorevole e sensibile al contesto affettivo dei detenuti. Infatti sappiamo che hanno aperto in molte località detentive quelle che loro chiamano "case aperte" (sempre nell’ambito del territorio controllato dagli istituti penitenziari) per le coppie come per l’incontro tra genitori e figli, in modo che il rapporto affettivo rimanga integro.

 

Visto che lei parla delle case aperte dell’Amministrazione Penitenziaria tedesca, vorremmo capire che cosa succede a questo proposito in Francia. Abbiamo saputo che vi sono alcuni istituti di pena che permettono incontri intimi tra detenuti e famigliari: potrebbe spiegarci un po’ meglio come funziona questa sperimentazione?

Sì, la vostra informazione è esatta, infatti in tre case di pena, tra le quali una sarà sicuramente sita nell’Ile de Ré, sta iniziando un’esperienza di questo tipo: metteranno a disposizione degli appartamenti di tre stanze più servizi, dove il detenuto potrà ricevere la sua famiglia nella più completa intimità per la durata di 48 ore ininterrotte.

 

Per quel che riguarda la logistica e il vitto per le 48 ore in questione, se ne occupa la famiglia stessa del detenuto o se ne occupa l’Amministrazione Penitenziaria?

Da quanto mi è dato sapere è la famiglia che deve provvedere durante le 48 ore d’intimità.

 

Come ha fatto l’Amministrazione Penitenziaria francese a giungere alla concretizzazione di tale esperienza?

La Francia si è ispirata ad un’esperienza canadese!

 

Questa esperienza è in atto solo nel Canada francofono del Quebec o in tutto lo stato canadese?

Effettivamente le prime esperienze riguardanti l’affettività dei detenuti sono state fatte nel Quebec, poi, visti i buoni esiti ottenuti, si sono estese al resto del Canada. I detenuti incontrano le loro famiglie nella più completa intimità all’interno di prefabbricati, siti nel perimetro degli istituti di pena, per tre giorni consecutivi. Spero che presto anche l’Amministrazione Penitenziaria italiana giunga ad essere sufficientemente sensibilizzata, acquisendo un grado di civiltà tale, da concedere ai propri detenuti questo diritto. Dal mio modesto punto di vista, se una persona sbaglia è giusto che la società la punisca, ma la carcerazione dovrebbe essere solo la privazione della libertà e non anche la privazione degli affetti più intimi.

 

Lei è giunto da Parigi per partecipare a questa giornata sull’affettività, con un intervento molto importante sul ruolo dei padri detenuti. Per concludere vorrei allora chiederle di esprimere il suo pensiero su questa giornata.

È stato semplicemente favoloso. Sono rimasto piacevolmente sorpreso nel costatare che un simile evento, d’importanza e partecipazione nazionale, si sia tenuto all’interno di un istituto di pena. Dico questo perché, a quel che ne so, in Francia non sarebbe possibile attualmente neppure immaginarlo. Non è un fattore di regolamento, almeno credo, ma da quanto mi è dato conoscere sarebbe impensabile per la mentalità francese far partecipare un così alto numero di detenuti, come ho visto qui nel carcere "Due Palazzi" di Padova, a delle iniziative di carattere culturale, sociale, scientifico, addirittura dove si propone anche una proposta di legge da presentare al Parlamento, sulla base di una disponibilità a sostenerla già espressa da molti politici di più schieramenti. Tutto questo mi dà un sentimento molto positivo e di speranza per il futuro dell’affettività carceraria italiana. Con l’occasione voglio pubblicamente ringraziarvi non solo per avermi invitato a partecipare come relatore a questa Giornata di Studi sull’affettività, ma per l’impegno con cui è stato organizzato questo evento, e vorrei anche complimentarmi con tutti i detenuti interessati in più modi a questa giornata, per il lavoro, le proposte e la serietà e partecipazione dimostrati.

 

 

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