Editoriale

 

È l’informazione, bellezza!

 

di Ornella Favero

 

È già fuori”: tre parole che pesano come macigni sulle persone che stanno scontando una pena. Perché, oggi, la pena non è mai abbastanza, e qualche anno di carcere non si nega a nessuno, neppure alla casalinga che butta una vecchia lavatrice dove non si dovrebbe o al guidatore distratto che preme sull’acceleratore e provoca un disastro, guidando una macchina venduta legalmente per fare i trecento all’ora, a dispetto del fatto che le velocità consentite sono ben inferiori. Ma siamo uno strano Paese, dove il piacere della legalità non è un sentimento così diffuso, eppure quando parliamo di chi commette reati diventiamo tutti dei giudici severissimi.

Sono talmente tanti i reati per i quali negli ultimi tempi è stata proposta la galera, sempre più galera, che quasi si fa fatica a star dietro a tutti, e a ricordarsi se si tratta di galera certa, e già decisa, o di galera per adesso solo promessa. Senz’altro però non sono promesse, ma fatti gli aumenti di pena per gli omicidi colposi, e non a caso arrivano dopo campagne di stampa forsennate dedicate agli incidenti per guida in stato di ebbrezza. Ma attenzione, parliamo di “campagne di stampa”, e non campagne di prevenzione, perché per ora non c’è reato che faccia venir voglia ai politici di parlare seriamente di prevenzione.

Il fatto è che parlare di prevenzione è molto più complicato e ad effetto meno “immediato” che parlare di pene, e siccome siamo tutti ormai convinti di vivere in continue “emergenze”, ci ritroviamo ogni giorno sommersi da “soluzioni emergenziali”, cioè galera. La nostra sfida, la sfida di chi si occupa di informazione dal carcere e sul carcere, dovrebbe allora essere proprio questa: provare a riportare le “emergenze” alla dignità di “problemi”, e osare proporre delle soluzioni. Puntando a diventare in qualche modo fonti serie di notizie per i media, e promotori di progetti importanti per la sensibilizzazione della società sui temi della pena e del carcere. Sono questioni sulle quali insistiamo noiosamente da anni, ma ora c’è di nuovo che, come Federazione dei giornali e delle realtà che fanno informazione dal carcere e sul carcere, ci siamo proposti come interlocutori affidabili all’Ordine dei Giornalisti, e stiamo trovando ascolto.

Servirebbe però un ulteriore passo avanti: la consapevolezza del volontariato che opera in carcere che l’informazione non è un “di più”, qualcosa che se hai tempo fai, e altrimenti non importa, perché hai cose “ben più importanti” da fare. No, noi pensiamo che la questione non stia esattamente così, e che oggi l’informazione abbia un peso straordinario su tutta la politica relativa alla Giustizia e alle pene nel nostro Paese. E quindi è semplicemente pericoloso continuare a tenere la testa esclusivamente dentro alle carceri, tutti presi dalla necessità di tappare i buchi che i tagli della legge Finanziaria sui finanziamenti per gli istituti di pena e le politiche di repressione stanno provocando.

Le galere stanno diventando luoghi sempre più sovraffollati e sempre meno adatti alla tutela dei diritti umani. Ma proprio l’idea della necessaria tutela dei diritti delle persone private della libertà personale dovrebbe farci ancora una volta riflettere sul ruolo che ha l’informazione: come si fa infatti a tutelare questi diritti se l’informazione la lasciamo in mano sempre di più a chi urla che “nel nostro Paese nessuno si fa la galera” e non siamo capaci, non abbiamo voglia di spiegare pazientemente alle persone libere che trattare poco umanamente i detenuti e non riconoscergli quei diritti significa esporre la società a dei rischi molto maggiori? Rischi di imbarbarimento, ma anche di scarsa consapevolezza che oggi sono i figli delle famiglie “perbene” che possono finire in carcere, e le pene per i reati per guida sotto effetto di sostanze sono un campanello di allarme che dovrebbe farci ragionare non sulla “galera per tutti”, ma su “meno galera, più prevenzione, più rispetto della legalità, fuori ma anche dentro le carceri”.

 

 

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