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Contro le condanne a morte, interrogandosi sulla giustizia e sul senso della pena L’arcaica logica del “farla pagare”. Ci sono persone delle quali non si sa cosa fare, ma sarebbe troppo brutto ed antiestetico ucciderle, e si preferisce allora lasciargli una vita chiusa in una gabbia, una vita che chi l’ha provata difficilmente riesce a definire tale
di Stefano Bentivogli
Dedicare in Italia ogni anno una giornata alla battaglia contro la pena di morte significa, come cittadini di questo Paese, chiedere che in tutto il mondo si arrivi all’abolizione della pena capitale, e sembra un gesto che riguardi problemi di altri Paesi, dove questa pena è in vigore o dove è in corso una moratoria. Bisogna dire prima di tutto che la cultura della pena capitale va ben al di là dell’omicidio eseguito per legge nei confronti di chi è dichiarato colpevole di determinati reati, perché è evidente che dietro questa realtà legislativa, ancora in vigore in diversi Stati sovrani, che prescinde dal sistema politico in atto, c’è una logica, una cultura, che passa trasversalmente dalla Cina agli Stati Uniti. Infatti che la pena capitale non sia un deterrente per ridurre il crimine è ormai assodato da chiunque affronti, fuori dalle emozioni, tutte le casistiche possibili che hanno come esito l’eventualità di una condanna a morte. Chi è intenzionato a commettere un reato non si ferma di fronte all’eventualità di subire la pena capitale, e in alcuni casi addirittura, prevedendo tale eventualità, c’è chi gioca nell’azione criminale il tutto per tutto, tanto non ha più niente da perdere. È invece la logica della retribuzione, di un prezzo cioè da pagare da parte del reo che sia il più vicino possibile al danno arrecato, quella che ispira “l’omicidio per legge”. Non fa parte di una strategia seria che aumenti la sicurezza pubblica, è una reazione ed avviene a reato compiuto, quindi non resta altro che immaginarla come un tentativo di retribuire per il danno arrecato. Ma poi, la morte di un omicida ripaga realmente qualcuno? E la pena deve essere necessariamente uguale alla “normativa della vendetta” per mano dell’istituzione? Sul rispetto della sacralità della vita umana sopra ogni cosa, quindi sopra anche il caso nel quale sia la vita di qualcuno che l’ha tolta ad un altro, si è sempre invece spesa tutta la campagna che è stata condotta contro la pena di morte. Una campagna sostenuta da movimenti che hanno ottenuto grandi vittorie e che, sono convinto, hanno innescato un processo che porterà la pena capitale quasi all’estinzione. Diverso è dire che la cultura che la pena di morte sottende sia stata eliminata nei paesi dove questo tipo di condanna è stato abolito, e dove, pur avendo stabilito il massimo della pena nell’ergastolo, il senso vero di infliggere una pena a chi commette un reato è ancora molto legato al bisogno di retribuire, ripagare, come se altre strade per condannare significhino necessariamente incentivare la commissione di reati. Escludere, segregare, fare fisicamente e psicologicamente del male al responsabile del reato, dimenticandolo in tutto il resto fino a quando non sarà ora di farlo uscire: in questo consiste ancora oggi la pena, ed è quello che materialmente si percepisce quando a parlare sono le emozioni di chi, direttamente o meno, ha subito dei danni, è vittima del reato stesso. È la nostra cultura che è fatta ancora così e la logica del “farla pagare” sembra insostituibile. In Italia, con l’applicazione dell’ergastolo, ma anche con la lunghezza media delle pene, c’è gente che in carcere ci passa quasi una vita, e attenti a dire che tutti quegli anni in quelle condizioni, dato che le nostre carceri sono mediamente uno schifo dove nemmeno la legge viene rispettata, sono un segno di grande inciviltà, perché nella logica del “farla pagare” i limiti sono sempre da ridefinire. Ma io invece vorrei dire di più, dopo averlo conosciuto il carcere, dopo aver visto in quali situazioni di abbandono vivono migliaia di persone, alcune per decine di anni, altre avanti e indietro per decenni, nel disinteresse totale di tutti, tranne quando qualcuno evade o si mette in luce per qualcosa di negativo. E dietro c’è un sistema, quello penitenziario, che non riesce a riformarsi neanche dopo il varo delle riforme stesse: ne sono esempio l’applicazione del regolamento d’esecuzione dell’Ordinamento penitenziario che, a cinque anni dal suo varo, risulta in moltissime sue parti completamente inapplicato. La politica non dimostra il minimo interesse per quelle persone e per le famiglie di quelle persone che oggi si trovano dietro le sbarre, c’è una disinformazione, a partire dai politici stessi, nei partiti dell’intero arco costituzionale, che ha dell’incredibile.
Una giornata contro la pena di morte non si può ridurre a dare lezioni di civiltà ai paesi che ancora la applicano
Della giustizia, della sua macchina inefficiente ed inefficace, si parla solo quando si vanno a toccare persone che della politica o fanno parte o sono in condizione di influenzarla. E solo allora tutti scoprono che abbiamo delle carceri che sono una delle vergogne del nostro Paese, per il resto stanno diventando un valido contenitore di tutto quanto il sistema scarta perché non rende, perché è scomodo, perché mette in discussione il sistema stesso. Io vorrei dire che in molti casi la cultura della pena capitale c’è anche da noi, abbellita proprio da tutte le leggi che sono rimaste sulla carta e che stanno per essere sostituite con ulteriore disumanità da altre, fatte solo per chi non ha gli strumenti per difendersi ed in genere ha come prima colpa l’ignoranza e l’indigenza, oppure il disagio personale. Di queste persone non si sa cosa farne, ma sarebbe troppo brutto ed antiestetico ucciderle, si preferisce lasciargli una vita chiusa in una gabbia, una vita che chi l’ha provata difficilmente riesce a definire tale. Se non si può uccidere perché la vita è sacra, la stessa sacralità dovrebbe significare anche altre cose, per esempio che non si può agire sui corpi delle persone distruggendoli, che il rendere la mente di questi uomini e donne un deserto dove crescono solo e nel migliore dei casi il sogno e l’illusione, fino a volte a distruggere anche quelli, lasciando come unica definizione di sé il suicidio come ultimo atto dell’affermazione della propria esistenza, non è rispetto per la vita. Eppure, quando la galera non la si conosce non si immagina che possa anche essere così, che per molti lo è, e tanto la vita sarà stata meno generosa con te tanto più la pena assumerà questi aspetti. E ne ho conosciuti molti che scoperta la realtà si difendono in tutti i modi, dimostrandosi duri e forti in tutte le occasioni possibili, sapendo bene che invece la loro vita non vale più niente, che sono in balia di un mazzo di chiavi per qualsiasi cosa gli possa servire, anche oltre il reale rischio che queste persone rappresentano per la società. Non conoscere il carcere permette di fare ragionamenti di ogni genere, e di arrivare a pensare che una televisione, un po’ di cibo, ed una branda per stendersi siano comodità esagerate per “certa gente”, quando invece proprio il rispetto della vita di quelli che alcuni definiscono “certa gente” è l’unica cosa che ci distingue tra chi vuol recuperare vite e chi invece, per desiderio di vendetta, è solo desideroso di perderne altre. Una giornata contro la pena di morte quindi non si può ridurre, in maniera un po’ spocchiosa, a dare lezioni di civiltà ai Paesi che ancora la applicano. Occorre iniziare a pensare, a verificare, ed eventualmente a protestare anche quando la pena, pur non prevedendo la morte, è strutturalmente irrispettosa della vita e, una volta espiata, tutto restituisce tranne la vita. Ed è sufficiente a tal fine vedere dove finisce la gran parte delle persone che dalle nostre carceri esce, dove vive, che problemi ha, per capire se questa pena è realmente finita o se continua, rinnovandosi nell’esclusione, nella povertà, nell’incapacità di aprirsi altre strade. Altrimenti protestare solo contro gli Stati dove la pena di morte viene ancora applicata è il solito modo un po’ snob per tenere lontano invece un problema che riguarda tutti, soprattutto le fasce più deboli della nostra società che sono quelle storicamente destinate a pagare per tutti.
Aspettando CesareSi rischia di tornare indietro di trent’anni. È stata approvata la legge “ex-Cirielli”: forse non salverà più Previti, ma quello che è certo è che affosserà non tanto i feroci criminali, quanto i poveracci, quelli che fanno dentro e fuori dal carcere perché nessuno si decide a dire che avrebbero bisogno di cure, e non di galera
La legge “ex Cirielli” avrà conseguenze drammatiche sulle condizioni di vita nelle carceri: i recidivi subiranno condanne più pesanti, e poi dovranno affrontare un percorso molto più tortuoso per accedere alle misure alternative e si prospettano quindi montagne di anni di galera in più, con gente accatastata non si sa come e dove. Eppure, noi abbiamo deciso di riderci anche un po’ su, con una “lettera aperta a Cesare Previti” che un nostro redattore ha scritto, con rara ironia e, in fondo, anche una certa eleganza.
La Redazione di Ristretti OrizzontiLettera aperta di un detenuto a Cesare Previti, di Flavio ZaghiCiao Cesare, ti scrivo dal carcere, da dove ho seguito con molto interesse, come un po’ tutti i compagni d’altronde, tutta ‘sta questione sulla ex-Cirielli, che era senz’altro, almeno per te, un asso nella manica da giocarti proprio come ultima chance per evitarti il carcere. Però purtroppo è andata male: a volte sai, e te lo dico per esperienza, a tirare fuori gli assi dalle maniche si rischia di essere scoperti e il risultato non è poi certo quello sperato. In pratica, Cesare, ora la legge che era stata studiata per tenerti fuori è stata modificata e il rischio di finire anche tu in carcere sta iniziando a diventare concreto. Sai, volevo dirti, e magari avremo poi occasione di parlarne all’aria con più calma e con tutti gli altri amici, che però sei stato un po’ scorretto nelle tue ultime dichiarazioni: infatti sia io che gli altri qui ne abbiamo parlato molto del fatto che tu sostieni che l’inasprimento delle pene, dettato appunto da questa nuova legge, non è sbagliato, e che tu lo approvi in quanto ritieni che sicuramente farà da monito e deterrente per la commissione di altri reati. Noi qui, che non abbiamo grandi cose a cui pensare, siamo piuttosto attenti a queste questioni, e a nostro avviso e dai dati che circolano, pare addirittura che il numero dei reati negli ultimi anni sia piuttosto in calo, perciò è inutile inasprire ulteriormente le condanne, specie poi in questo paese dove sono già abbastanza pesanti. Togliere poi la possibilità ai recidivi di accedere ai benefici della legge Gozzini, che dava, a mio modesto parere, un barlume di speranza di potersi reinserire e riproporsi alla società, è stato un brutto gesto, anche perché, e lo vedrai da te quando sarai tra noi, qui dentro si rischia di tornare indietro di trent’anni, a quando appunto c’erano solo le regole dettate dalla violenza. No dico, non vorrai mica permettere a Roberto Castelli, dopo il brutto tiro che ti ha fatto, di ricreare una succursale dei dannati?! Cerca di parlarci con ‘sto ragazzo e fagli capire che, una volta senza carica politica, potrebbero essere parecchi quelli del suo giro che rischiano di raggiungerti. Sai, ti dico queste cose perché noi abbiamo capito che a rimetterci maggiormente poi, sono solo i tossici e i poveri disgraziati che sono i recidivi e che qui dentro sono praticamente accatastati proprio per il fatto che ce n’è una botta da paura. Non ho capito poi, quando ti sei reso conto che ti stavano facendo le scarpe, quello che hai detto: “Adesso allora mi difenderò in tribunale…”; ma scusa, non potevi pensarci prima? Si sarebbero evitati almeno tutti ‘sti casini!
C’è posto qui alla cella undici con Kamel, un ragazzo tunisino poliomielitico
Sono contento, e gli amici qui anche loro con me ovviamente, che almeno con questo fatto delle prescrizioni in tempi più brevi, i figli di Silvio potranno restare incensurati pur essendo indagati, e quindi loro non conosceranno mai, per fortuna, cosa vuol dire entrare in carcere. Loro comunque, detto tra noi, si sarebbero potuti permettere un collegio di difesa da far mettere sull’attenti i giudici, altroché noi, a noi ci ha fregato l’avvocato, anzi, il cavaliere, eh…, vecchio filibustiere! Senti Cesare, adesso, quando verranno poi ad arrestarti, avvertimi, mi raccomando, che vedo se riesco a tenerti il posto qui nella cella accanto alla mia. Non staresti neanche male, c’è posto qui alla undici con Kamel, un ragazzo tunisino poliomielitico che ha praticamente solo l’uso di una gamba, è qui da qualche anno e non vogliono saperne di buttarlo fuori. Comunque prende una botta di terapia e non lo senti neanche, casomai te la vedi tu per le pulizie della cella ed è sufficiente che gli segni qualche pacco di tabacco ogni tanto in spesa e lui è come se non ci fosse. Poi casomai appena esce Giuliano, il mio compagno, la prossima estate, allora facciamo la domandina e passi con me, vedrai, ce la passiamo bene. Qui oltretutto la sbobba non è proprio male e poi comunque ormai c’ho un corredo di pignatte e fornelli da fare invidia a una casalinga e quindi se vogliamo farci una pastasciutta, basta mettersi lì e farla. A proposito, come te la cavi in cucina? Vabbè dai, ci vediamo presto, ah, quasi dimenticavo: quando arrivi in matricola dove dovrai lasciare le impronte digitali e le foto segnaletiche, diglielo chi sei, non fare il modesto, e ricordati di farti cucire la cintura dell’accappatoio altrimenti poi te la levano e rischi di dover andare in giro con una fettuccia di lenzuolo della casanza ai fianchi. Roba che se ti beccano rischi di perderti quarantacinque giorni di sconto pena per buona condotta, qui sono piuttosto severi su ‘ste cose e un rapporto disciplinare ti può far saltare la semilibertà o l’affidamento, anche a te, che puoi ancora sperarci.
La legge “ex Cirielli” Il 29 novembre il Senato ha approvato in via definitiva la legge ex Cirielli sulla riduzione delle prescrizioni e l’aggravamento delle pene per i recidivi
Ecco cosa prevede il testo La prescrizione: Il nuovo principio stabilisce che intervenga quando è trascorso un tempo pari alla pena massima prevista per il reato aumentata di un quarto se si è incensurati, della metà se si è recidivi, di due terzi se si torna a delinquere entro i cinque anni. Un emendamento presentato da Cirielli alla Camera punta inoltre a evitare conclusioni anticipate ai processi per reati contro l’incolumità pubblica.
Sospensione dei processi: Si stabilisce, in caso di sospensione del processo “per impedimento delle parti e dei difensori”, che la nuova udienza debba essere fissata entro i 60 giorni “dalla prevedibile cessazione” dell’impedimento stesso e non, come nel testo originale, “per il tempo dell’impedimento”.
La norma transitoria: La maggioranza alla Camera ha completamente riformulato il contestato articolo 10, ossia la norma transitoria finale che disciplina l’applicazione della legge ai processi in corso. Si prevede dunque che le nuove norme sulla prescrizione non si applichino ai processi in corso di primo grado per i quali è già stato aperto il dibattimento, oltre che per tutti i processi pendenti in secondo e terzo grado.
Imprescrittibilità dei reati da ergastolo: Si chiarisce il concetto di imprescrittibilità dei reati per i quali è previsto l’ergastolo ma anche di quelli per i quali la pena dell’ergastolo è l’effetto di una circostanza aggravante.
Pene più severe per i mafiosi: Per l’associazione mafiosa si prevede un aumento delle pene: da 5 a 10 anni (ora è da 3 a 6) per gli associati, da 7 a 12 (al posto di 4 e 9) per i boss, da 10 a 24 (non più 5 e 15) per associazione mafiosa armata.
Giro di vite contro i recidivi: Aumentano le pene per chi, già condannato, commette nuovi delitti. Nel caso di reati di mafia e di reati particolarmente gravi, per chi torna a delinquere, l’aumento della pena (non inferiore a un terzo) è obbligatorio.
Raddoppiate le pene per l’usura: Il reato sarà punito con la reclusione da due a dieci anni (anziché da uno a sei come è previsto attualmente) e la multa da 5 mila a 30 mila euro (ora è da 3.089 a 15.493 euro). (Da “Il Sole 24ore”, 30 novembre 2005)
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