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Percorsi di integrazione sociale e lavorativa per chi esce dal carcere Dieci anni di agesol L’Agenzia di Solidarietà per il lavoro, con la sua grande esperienza di progetti di orientamento/inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti, punta ora all’attivazione di una rete nazionale di soggetti operanti sul terreno lavoro/penalità
Intervista a cura di Marino Occhipinti
AgeSol compie dieci anni, dieci anni in cui ha fatto da ponte tra i detenuti che vogliono iniziare un percorso professionale, e le imprese e cooperative sociali disponibili ad assumerli. “Scopo di AgeSol è favorire e promuovere l’inserimento sociale, attraverso il lavoro, di detenuti ed ex detenuti, superando le difficoltà strutturali del mercato del lavoro, i vincoli della condizione detentiva e i luoghi comuni associati alla figura del detenuto”: già nella definizione degli scopi di questa Agenzia un po’ particolare sono elencate, in fondo, le grandi fatiche di chi tenta di dare alle persone che escono dalla galera un’altra opportunità. Ne abbiamo parlato con Licia Roselli, che di AgeSol è il direttore.
In questi anni, come si è modificata la realtà di AgeSoL? Mi rifaccio a quanto ha detto il nostro presidente Sergio Cusani all’assemblea annuale dei soci di giugno: “Sull’attività di AgeSoL nel 2006 e gli scenari del 2007, nonostante sia stato un anno di transizione sia per quanto riguarda il contesto carcerario sia per AgeSoL stessa, segnaliamo il segno positivo, e questo è dovuto soprattutto all’impegno dello staff operativo dell’agenzia. Dobbiamo registrare un anno di grandi cambiamenti al nostro interno, in cui si è avuto anche un cambio di presidenza. Dobbiamo registrare una vittoria “politica” in quanto, dopo circa 10 anni di sperimentazione di progetti di orientamento/inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti, nel 2007 la Provincia (ente preposto) ha deciso di assumere finalmente direttamente le politiche attive per il lavoro per soggetti svantaggiati (tra cui i ristretti). Quindi riteniamo di aver aperto una strada nel 1998 e di aver chiuso un ciclo, adesso siamo ad una svolta”. In ogni caso, AgeSoL è consapevole di trovarsi in una fase in cui è necessario ridefinire il proprio ruolo, da rilanciare sulla base di un progetto di largo respiro, che tenga conto delle trasformazioni del carcere e dei nuovi profili della popolazione detenuta (detenzione sociale, stranieri, dipendenti da sostanze, sofferenti psichici…). Questo recupero di progettualità deve poter riportare l’agenzia al centro delle attività complessivamente indirizzate sui problemi penali, in tutte le loro articolazioni.
Ti riferisci a un cambiamento di obiettivi dell’agenzia? Ad esempio, ci siamo posti il problema se sia ipotizzabile un allargamento dell’area di interesse dell’agenzia, puntando alla definizione di un proprio ruolo rispetto ai Lavori di Pubblica Utilità (LPU): un ruolo da progettare a partire dalla legge sulle competenze del Giudice di pace e dalle prospettive riparative e riconciliative che con questa legge sono entrate nel nostro ordinamento. E poi dobbiamo prendere in considerazione l’attivazione di una rete nazionale di soggetti operanti sul terreno lavoro/penalità: questa esigenza emerge da qualche tempo in modo assai forte e alcuni soggetti stanno ipotizzando di avviare questa esperienza, che nascerebbe in tal modo senza quei requisiti che, almeno attualmente, soltanto AgeSoL possiede in misura adeguata all’impegno.
In quali carceri svolgete la vostra attività? Quante persone avete avviato al lavoro in questi anni, quali sono i numeri della vostra attività? E poi, cosa fate, concretamente, per trovare lavoro alle persone detenute? Dal 1999 al 2007, con i progetti di orientamento ed inserimento lavorativo nelle quattro carceri della provincia milanese (San Vittore, Opera, Bollate, Monza) e con lo sportello esterno per utenza non detenuta, siamo riusciti a contattare 5.228 persone, 2.338 delle quali hanno intrapreso un percorso di orientamento. Di queste, 629 sono state inserite effettivamente al lavoro. Delle persone contattate nel corso degli anni, poco meno della metà – il 45 per cento circa – aveva i requisiti per intraprendere un percorso d’approfondimento e di orientamento al lavoro. Di questi, per il 27 per cento si è reperita una postazione lavorativa, quindi praticamente un utente su tre ha concluso il percorso d’orientamento con l’inserimento lavorativo.
Quali sono le difficoltà più frequenti che incontrate? Naturalmente i problemi non sono mancati: ci siamo scontrati sia con la limitata varietà d’offerte lavorative, per l’aggravarsi della crisi economica che colpisce tutti i soggetti ed a maggior ragione quelli più deboli sul mercato del lavoro, sia con la professionalità della maggioranza degli utenti che risulta piuttosto generica e con la loro età piuttosto elevata per le esigenze del mercato. La condizione socioeconomica prevalente degli utenti evidenzia la stretta necessità di un lavoro e di un reddito pieno e continuato, inoltre non tutti hanno la possibilità di muoversi con un mezzo proprio e questo limita ulteriormente il ventaglio delle possibilità d’inserimento lavorativo. Altro problema sono i detenuti od ex detenuti stranieri la cui problematicità primaria risiede nel possesso o meno del permesso di soggiorno, con situazioni abitative/familiari instabili o inesistenti. I profili dei detenuti in stato di restrizione comportano il confronto con avvocati, operatori sociali, volontari, educatori e direzioni penitenziarie, per comprendere l’effettiva fattibilità di accedere ad una misura alternativa al carcere. Questo dilata notevolmente i tempi d’attuazione di un progetto, in contrasto con i tempi delle aziende che, qualora fossero disponibili ad un inserimento, rispondono al ritmo e alle necessità del mercato e che talvolta esprimono il desiderio di avere un contatto diretto con i candidati.
E riguardo all’indulto, cosa siete riusciti a fare per le persone che sono uscite? Il 2007 è stato un anno di svolta per tutto quanto attiene ai servizi/progetti che riguardano l’incontro domanda offerta di lavoro per i ristretti. Diverse sono state le iniziative avviate, predisposte da enti diversi come risposta al provvedimento di indulto del 31 luglio 2006, dopo la positiva esperienza realizzata nell’imminenza del provvedimento che ha visto la costituzione di un Tavolo formato da Comune di Milano e Monza, Provincia di Milano, Regione Lombardia, Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, direzioni delle carceri e Ufficio esecuzione penale esterna, associazioni/cooperative e consorzi del privato sociale e del volontariato carcerario milanese e di Monza (progetto Orfeo, progetto Lisola, progetti Quadro per l’integrazione sociale e lavorativa di detenuti/e ed ex detenuti e adulti e minori che hanno beneficiato dell’indulto, interventi finanziati dagli enti locali). Inoltre la Provincia di Milano ha istituito il Tavolo di programmazione “Lavoro dopo l’indulto” con l’intendimento condiviso di operare sinergicamente, ciascuno nel proprio ruolo, per concretizzare i percorsi d’integrazione lavorativa e sociale nel territorio della Provincia di Milano relativi alle persone che fruiscono della misura dell’indulto, in una più ampia cornice di progettualità inerente l’inserimento lavorativo e l’inclusione sociale delle persone limitate nella libertà.
Abbiamo letto del progetto Áncora Lavoro: ce ne vuoi parlare? Si tratta di un “percorso di integrazione lavorativa per persone in esecuzione penale ed ex detenute” al quale partecipano a vario titolo, oltre a noi, il Comune di Milano, la cooperativa sociale A&I, l’associazione Amico Charly e la fondazione Enaip. Il progetto interessa le persone già scarcerate o in procinto di uscire grazie al provvedimento di indulto che siano residenti nel Comune di Milano. L’obiettivo è quello di integrare e consolidare le metodologie di intervento già esistenti nel territorio della città di Milano, così da contribuire all’attivazione di percorsi d’integrazione sociale e lavorativa per gli indultati, che saranno “presi in carico” ed accompagnati al lavoro. Il progetto, finanziato dalle risorse economiche del Fondo sociale europeo, è cominciato ad inizio 2007 e si concluderà a fine gennaio 2008. Il totale delle borse lavoro erogabili è di 25 – 13 a donne e 12 a uomini –, ciascuna della durata di cinque mesi per un sostegno economico mensile di 500 euro. È ancora prematuro fare bilanci, che comunque sembrano molto positivi, anche perché ci siamo occupati di persone che avevano poche risorse economiche e sociali, e che quindi avrebbero potuto finire nuovamente in carcere.
A quali altri progetti di inserimento lavorativo e sociale partecipate? In generale, eroghiamo consulenza e diffondiamo a livello nazionale il nostro modello di servizio di incontro domanda/offerta di lavoro per soggetti ristretti nella libertà. Concretamente, partecipiamo al progetto Sp.In. con l’Uepe, ovvero la gestione di un servizio informativo verso la rete del territorio dedicato a ex detenuti, persone in misure alternative e loro familiari. Questo progetto vede la gestione congiunta dei dieci partner di progetto di uno sportello centrale presso l’Uepe, aperto tre pomeriggi la settimana, e la gestione di dieci sportelli decentrati presso le sedi dei partner, una volta a settimana. Quello di AgeSoL è aperto il lunedì mattina. Abbiamo sperimentato progetti di accompagnamento sociale, tipo il progetto Tesi, e di rientro in patria assistito per detenuti stranieri con decreto di espulsione, il progetto Odisseo. Inoltre partecipiamo ad altri progetti di orientamento ed inserimento lavorativo di soggetti provenienti dal circuito penale nel milanese (progetto Stra.Li per donne detenute, progetto Ancora Lavoro) con la funzione di valutazione/monitoraggio. Gestiamo un progetto sperimentale denominato Infopoint Imprese, il cui intento è di sensibilizzare il mondo delle imprese all’inserimento lavorativo di detenuti o ex detenuti. Il progetto consiste nella consulenza alle imprese, nella sensibilizzazione del contesto produttivo, nella creazione di una newsletter dedicata ai contatti avuti con le imprese, e infine nella formazione per funzionari delle associazioni imprenditoriali, per funzionari e delegati sindacali, per operatori dell’orientamento, per operatori penitenziari e dei servizi sul territorio
Ecco, a proposito delle imprese, come reagiscono alle vostre richieste? In linea di massima le aziende non sono contrarie all’idea di provare con i detenuti, ma è difficile reperire poi una reale disponibilità. Stiamo ancora provando ad esplorare le sensibilità delle aziende a partire dalle loro associazioni e con il sindacato, ma il cammino è lungo e lento, anche perché le nostre esigenze non sono certo tra le loro priorità.
Anche per questo è molto importante il tutoraggio per l’inserimento lavorativo di chi esce dal carcere? Per i nostri progetti il tutor è sempre stato molto importante, tanto che, proprio per la completezza delle azioni di orientamento ed accompagnamento lavorativo, sarebbe opportuno affiancare anche il tutor sociale, figura che facendosi carico di un tutoring generale possa attivare una rete di sostegno per chi è sprovvisto di capitale sociale o/e reti relazionali. La funzione del tutor è quella di accompagnamento a tutto tondo. Il tutor agisce su due fronti, quello aziendale e quello verso il detenuto, su tutte le problematiche che insorgono nei due versanti per facilitare al meglio l’inserimento. Perché, a parte le cooperative che possono conoscere bene la situazione dei detenuti, le aziende invece non sanno prendersi in carico uno che ha orari rigidissimi, regole imposte, controlli della polizia, e hanno bisogno di essere aiutate ad occuparsi di tutte queste pratiche. E il detenuto ha tempi e modalità diverse di adattamento al posto di lavoro. Inoltre il tutor si presenta al lavoro, contatta l’imprenditore e il lavoratore, verifica l’andamento del percorso e agisce per rimuovere qualsiasi ostacolo o impedimento; sia l’uno che l’altro possono contattare il tutor per qualsiasi cosa, per informazioni o per problemi. È un sostegno molto importante!
Pensi che nell’ambito del vostro lavoro possano servire dei provvedimenti, anche legislativi? Sicuramente. Nella legislazione che riguarda propriamente il lavoro, ma anche in quella che riguarda “il prestito d’onore”, bisognerebbe inserire come “soggetti svantaggiati” anche tutte le persone che transitano nel penale. E poi è certamente necessaria la modifica di alcuni articoli della legge Smuraglia, ovvero estendere anche alle aziende profit – private ed anche pubbliche, e non solamente alle cooperative sociali – la possibilità di avere agevolazioni fiscali e contributive per tutte le persone del circuito penale, e non soltanto per gli articoli 21 come invece avviene adesso, ma anche per semiliberi, affidati ed ex detenuti almeno per un certo periodo. Infine, bisognerebbe ampliare i benefici anche alle persone che ottengono il provvedimento d’indulto.
AgeSoL - Agenzia di solidarietà per il lavoro, Via Pancrazi, 10 – 20145 Milano agenzia@agesol.it - www.agesol.it
Intervista a Paolo Quattrone Il carcere che lavora, la grande sfida Sono molte le iniziative per migliorare gli istituti calabresi e puntare decisamente al recupero dei detenuti, avviate dal Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria della Calabria, diretto da Paolo Quattrone
Intervista a cura di Marino Occhipinti
Negli ultimi quattro anni, con il progetto Athena nelle carceri calabresi il numero dei detenuti che lavorano è quintuplicato. Si sta avviando poi la seconda fase del progetto, che abbraccerà i prossimi cinque anni con obiettivi ambiziosi: raggiungere la quasi totalità dell’occupazione della popolazione carceraria. Inoltre, in questi anni, sono aumentate notevolmente le attività scolastiche e i corsi di formazione professionale. Il fiore all’occhiello è la sperimentazione avviata, per la prima volta in Italia, a Laureana di Borrello con i giovani sottratti alle carceri ordinarie e che stanno facendo un percorso in una sorta di Comunità di recupero. Una struttura definita, dopo Bollate, la migliore a livello nazionale. Di quello che c’è di nuovo nelle carceri calabresi abbiamo parlato con Paolo Quattrone, Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria della Calabria.
Dottor Quattrone, qual è la situazione attuale della carceri calabresi e com’era invece prima dell’indulto? Come hanno risposto il territorio e gli enti locali? E quali sono i punti critici? L’attuale situazione delle carceri calabresi è notevolmente migliorata a seguito del provvedimento di indulto. Provvedimento voluto da quasi tutte le forze politiche e certamente mal compreso dall’opinione pubblica. A mio modo di vedere esso ha voluto essere il primo tassello di una strategia finalizzata a stimolare il recupero della popolazione detenuta nell’ottica di offrire opportunità concrete, e quindi di reinserimento, a coloro che hanno manifestato concretamente volontà di abbandonare una scelta di vita criminale, poiché a nessuno conviene che i soggetti che vivono la detenzione rientrino nella società con astio e sentimenti di rivalsa. A fronte di una popolazione detenuta presente nelle carceri calabresi prima dell’indulto di 2361 unità, allo stato si rileva una presenza di 1766 detenuti. Nella regione Calabria, in una situazione particolarmente critica sotto il profilo dell’ordine pubblico e della presenza radicata di una criminalità sempre più aggressiva e violenta, indubbiamente risultano evidenti le notevoli difficoltà dell’autorità politica a manifestare sensibilità nei confronti di una delle frange emarginate del tessuto sociale, nel nostro caso della popolazione detenuta. Per tali ragioni risultano palesi le difficoltà dell’Amministrazione penitenziaria, che ha inteso con il progetto Athena rilanciare il sistema penitenziario in una regione da sempre considerata la cenerentola del nostro Paese. Questa la sfida dell’Amministrazione penitenziaria che ha puntato, sottraendo i giovani-adulti che sono incorsi per la prima volta in reati, ad essere “competitiva” con la criminalità organizzata che in una situazione di degrado e di disoccupazione attira soprattutto le “nuove leve” offrendo loro opportunità notevoli di guadagno illecito. Tale progettualità è finalizzata ad orientare questi soggetti verso percorsi di legalità.
Quali progetti e attività trattamentali promuovete, per il reinserimento dei detenuti e in prospettiva del loro rientro nella società? A partire dal 2003 la politica penitenziaria regionale ha agito contestualmente su più fronti per incentivare soprattutto le opportunità di lavoro intramurarie ed extramurarie, realizzando all’interno degli istituti penitenziari attività lavorative specifiche quali lavorazioni industriali, laboratori artigianali, impianti serricoli. Quindi per ogni carcere è stato definito un progetto pedagogico che ha tenuto conto della tipologia dei detenuti presenti, delle caratteristiche strutturali (presenza di spazi e locali), delle vocazioni e delle risorse produttive-economiche del territorio in cui è sita la struttura penitenziaria. Gli investimenti operati negli anni 2003-2006 – per un importo superiore ad Euro 3.600.000,00 (di cui 1.821.000,00 finanziato dalla Cassa delle Ammende) – hanno consentito la realizzazione di impianti industriali e molteplici laboratori, promuovendo attività lavorative per un numero complessivo di 250 detenuti, a fronte di una forza lavoro detenuta che nell’anno 2002 ammontava a 58 addetti ai laboratori. Grande impulso è stato dato alle attività vivaistiche e serricole poiché si è voluto investire nel settore produttivo agricolo-vivaistico, che in una regione come la Calabria può offrire grandi opportunità di lavoro. La prima attività terricola è stata realizzata nel 2003-2004 presso l’istituto penitenziario per giovani detenuti di Laureana di Borrello, Casa di reclusione a trattamento penitenziario avanzato. Sono stati poi realizzati nel 2004-2005 un impianto serricolo ad indirizzo floricolo presso la Casa circondariale di Crotone, uno per piante tropicali presso la Casa circondariale di Paola, e un altro di piante per arredo urbano presso la Casa circondariale di Cosenza. Fiore all’occhiello delle attività serricole della regione è l’azienda florovivaistica Don. G. Blasi inaugurata nel 2006 a Laureana. L’azienda, di proprietà del Ministero della Giustizia, si estende su un terreno di 8230 mq, adiacente l’istituto, che è stato acquistato dalla Provincia di Reggio Calabria e ceduto in comodato d’uso gratuito all’Amministrazione penitenziaria. Le imponenti opere di bonifica e terrazzamento, come pure la realizzazione delle serre, del capannone industriale, donato dal Comune di Laureana, della vasca d’accumulo e della zona verde sono state interamente realizzate dai detenuti. L’Assessorato all’Agricoltura della Regione ha contribuito al finanziamento del 50 per cento dell’opera. L’idea progettuale di fondo intende realizzare di conseguenza in ambito regionale una vera e propria “filiera produttiva” diversificando la produzione dei diversi impianti vivaistici, collegandola alle altre lavorazioni attivate, in particolare ai laboratori di falegnameria, ceramica, lavorazione del ferro e del vetro, per produrre vasi, fioriere ed oggetti artistici da offrire alla committenza pubblica e privata.
Quante persone detenute lavorano nelle carceri calabresi, e in quali attività (abbiamo letto che molti progetti sono stati realizzati impiegando, per i lavori di ristrutturazione in economia, diversi detenuti, il che avrà comportato un notevole risparmio…)? Con il progetto Athena si è quintuplicato il numero dei detenuti che lavorano. Gli imponenti lavori edilizi che hanno visto l’adeguamento funzionale e la ristrutturazione degli istituti penitenziari calabresi sono stati realizzati in buona parte dalle maestranze detenute, coordinate in modo attento ed efficace dai capi d’arte e dallo staff dei tecnici del Provveditorato regionale, che ha supervisionato ogni intervento. I detenuti hanno partecipato concretamente alla ristrutturazione di ambienti che, ormai da troppo tempo, versavano in gravissimo stato di degrado, in particolare di quei locali e spazi intramurali ed extramurali destinati sia a loro che agli operatori penitenziari. Si è instaurato pertanto un nuovo “clima” tra “custodi” e “custoditi”, non più conflittuali nel rispettivo ruolo ma partecipi attori di un rinnovamento del sistema penitenziario. Tale modalità di esecuzione dei lavori edilizi ha comportato inoltre elevata qualità di realizzazione, abbattimento dei tempi di esecuzione e dei costi, poiché con gli interventi in economia diretta notoriamente si ha un risparmio di circa il 70 per cento rispetto agli stessi interventi affidati ad imprese.
Nelle varie lavorazioni siete riusciti a coinvolgere cooperative ed aziende? Presso gli istituti penitenziari di Vibo Valentia e Rossano, grazie al finanziamento effettuato dalla Cassa delle Ammende, sono state attivate due notevoli lavorazioni a carattere industriale, una falegnameria ed un’officina di profilati di alluminio che da subito daranno la possibilità di impiegare stabilmente 12 detenuti (a Rossano 6 che attualmente frequentano il corso di formazione aziendale - a Vibo 6 che frequenteranno un corso di formazione aziendale). La loro gestione è stata già affidata tramite convenzione stipulata tra le direzioni, rispettivamente, per Rossano alla ditta Gigliotti spa e per Vibo alla ditta infissi di Curtosi Nicola & c. sas. Risulta già attiva la collaborazione con la cooperativa Araba Fenice di Catanzaro sottoscritta dalla direzione del Nuovo Complesso di quella città, la quale già in atto offre opportunità concrete di lavoro a 20 detenuti presso il laboratorio di ceramica.
Come risponde il territorio calabrese alle esigenze di reinserimento sociale delle persone che hanno – o hanno avuto – problemi con la giustizia? In questi ultimi tempi è aumentata l’attenzione del territorio al reinserimento sociale delle persone che hanno avuto problemi con la Giustizia. Il progetto Aurora finalizzato all’inserimento lavorativo dei soggetti scarcerati con l’indulto ha avuto un esito positivo, come pure l’esperienza delle borse-lavoro tese ad offrire ai soggetti giovani adulti concrete alternative ai percorsi criminali.
Uno dei punti di forza del reinserimento è rappresentato dalle misure alternative alla detenzione, spesso oggetto di polemiche e strumentalizzazioni: secondo la sua esperienza, tali misure sono realmente efficaci e cosa bisognerebbe eventualmente cambiare? In un’ottica di un percorso trattamentale, finalizzato al pieno recupero ed al reinserimento della popolazione detenuta, fondamentali appaiono le misure alternative o le modalità differenti di esecuzione della pena detentiva quale il lavoro all’esterno. Ritengo che tali misure rappresentino un’utile opportunità a quanti hanno manifestato in carcere con il loro comportamento, e quindi concretamente, una volontà di cambiamento. Occorre, a mio modo di vedere, che le verifiche propedeutiche vengano effettuate in modo estremamente attento dalle équipes di osservazione e trattamento che operano negli istituti penitenziari e che vengano abbandonati, una volta e per sempre, quegli aspetti discriminatori da parte della società per quanti hanno ormai pagato il loro debito con la giustizia.
Quante persone detenute in Calabria, e in quale percentuale rispetto alle presenze, fruiscono di misure alternative? E quante del lavoro all’esterno previsto dall’articolo 21 Ordinamento penitenziario? Al 30 giugno 2007 i detenuti presenti erano 1599. Di questi, 34 lavorano all’esterno alle dipendenze dell’Amministrazione e 19 per imprese diverse, mentre il 9,50 per cento del totale – e cioè 152 persone – fruiscono di misure alternative alla detenzione.
Per il carcere e per i detenuti – ma riteniamo anche per l’Amministrazione penitenziaria – i volontari rappresentano una risorsa determinante: com’è la situazione in Calabria? Quanti volontari accedono alle varie strutture? Di quali attività si occupano prevalentemente? Riuscite a collaborare in modo strutturato, non occasionale con loro? Ritengo che il volontariato da sempre rappresenti il “ponte ideale” tra carcere e società, poiché pone l’uomo al centro dell’attenzione. L’Amministrazione ha pertanto inteso richiedere il contributo, la partecipazione a quanti hanno manifestato interesse nei confronti di chi vive la detenzione. A fronte di una presenza irrisoria di volontari, 43 sino all’anno 2002, oggi è possibile rilevare che nella Regione Calabria operano negli istituti penitenziari 101 operatori volontari (laici, religiosi…). Un volontariato molto attento, sensibile ed operoso, che non copre spazi istituzionali ma che, con diuturno spirito di servizio, opera con spirito di fraternità ed amore.
Alcuni mesi fa abbiamo letto di un protocollo d’intesa sulla Giustizia riparativa: a che punto è il progetto? Ci sono stati sviluppi? Avete già sperimentato dei percorsi? Che esito hanno avuto e quali sono i vostri obiettivi? Molteplici risultano le convenzioni fatte con la Regione, con le Province, i Comuni e le Università per offrire ogni possibile opportunità ai detenuti, nella consapevolezza che un efficace reinserimento può essere ottenuto solamente grazie al lavoro ed all’istruzione, poiché la bassa scolarità ritengo sia una delle concause di un comportamento criminoso. L’attivazione dei poli d’istruzione di II° grado (a Vibo Valentia nel corrente anno si sono avuti i primi diplomati) o di quelli universitari attivati nel carcere di Catanzaro, intendono pertanto contribuire a stimolare i detenuti al cambiamento ed a richiamarli ai loro doveri morali, non ultimo quello nei confronti delle vittime del delitto. In Calabria si sono già avuti nell’istituto penitenziario di Rossano concrete azioni di giustizia riparativa. I detenuti di quel carcere hanno offerto alla sorella del Giudice Giovanni Falcone il ricavato dalla vendita di opere d’arte da loro realizzate, per le attività della Fondazione Falcone-Borsellino. Più specificamente sulla giustizia riparativa, il Provveditorato della Calabria ha inserito nella sua programmazione il progetto Comunità-Service con una duplice valenza: di attenzione alle vittime del delitto e come azione pedagogica nel processo di risocializzazione del condannato. In tre anni di sperimentazione sono stati circa 200 i soggetti in misura alternativa della Calabria che hanno svolto un servizio di volontariato presso associazioni, organismi no-profit ed enti locali. Significative anche le iniziative di alcuni istituti penitenziari, che hanno consentito a gruppi di detenuti di svolgere azioni di pubblica utilità. Fondamentale in questo progetto è stata la sottoscrizione di protocolli d’intesa con i Centri di servizio per il volontariato della regione e con la Conferenza regionale del volontariato giustizia, attraverso i quali è stato più facile promuovere e realizzare i progetti individuali di giustizia riparativa. Il contatto diretto con il mondo del disagio e della sofferenza, l’esempio dei volontari, che testimoniano i valori del servizio e della gratuità, hanno rappresentato per i soggetti coinvolti nel programma uno stimolo positivo per una loro revisione di vita. Su questo tema è intenzione del Provveditorato di continuare e di avviare nel futuro nuove iniziative in regione per dare ulteriore impulso a questo programma.
Secondo lei, come si può agire per abbattere la recidiva, che soprattutto nel caso di pene interamente scontate in carcere è molto alta? Da sempre mi sono chiesto perché dopo un’esperienza traumatica quale è il carcere – e quindi una esperienza da non ripetere – i soggetti tornino a delinquere. Credo che molto sia dovuto ad un affievolimento di valori etici nel soggetto e nella società. Noi operatori penitenziari, in questo contesto – è questo che ci chiedono i detenuti – abbiamo il dovere, con i nostri comportamenti quotidiani, di rappresentare modelli autentici di professionalità e sensibilità.
L’articolo 28 dell’Ordinamento penitenziario stabilisce che la legge deve mantenere, migliorare, ristabilire le relazioni dei detenuti con la propria famiglia. Cosa viene fatto nell’ambito del Provveditorato da lei diretto per ottemperare a tale normativa? L’attivazione in tutti gli istituti penitenziari della Calabria delle aree verdi, spazi in cui i detenuti possono incontrare i loro familiari, è testimonianza concreta dell’attenzione dell’Amministrazione penitenziaria nei confronti delle famiglie, perché il momento del colloquio sia stimolo concreto di affettività e riflessione. Stiamo insomma lavorando, pur tra notevoli ostacoli e difficoltà, per realizzare un carcere che abbia una fisionomia non più soltanto custodiale ma anche trattamentale; un carcere dove tutti gli operatori partecipino e contribuiscano attivamente e fattivamente a soddisfare i bisogni e le istanze dell’uomo detenuto, il quale dovrà essere sempre più consapevole e cosciente della propria soggettività, un individuo in grado di gestire in maniera responsabile non solo la propria detenzione ma anche il suo rientro nel contesto sociale.
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