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Tutte le informazioni possibili sul lavoro ma anche uno Sportello Documenti e Tutele Questo è il PILD Punto Informazione Lavoro Detenuti di Firenze
Intervista a cura di Marino Occhipinti
Il Pild è "il capostipite" degli sportelli informativi per i detenuti, un’esperienza consolidata da anni, in un campo, quello del lavoro, in cui si stenta ancora a capire l’importanza dell’informazione. Di questa esperienza torniamo a parlare (perché non è la prima volta che Ristretti va a "succhiare" informazioni preziose dal Pild) con Romeo Gatti, che del Punto Informazione Lavoro Detenuti di Firenze è il responsabile.
Cminciamo a raccontare com’è nato il Pild e di cosa si occupa? Il Pild trova le sue fondamenta e nasce dall’iniziativa di un gruppo di persone, tra le quali anch’io, che hanno prima creato, nel 1994, l’associazione Culturale Container, quindi il Pild ha le sue origini nel volontariato. Col passare del tempo, a partire da un volontariato ancora un po’ inesperto che dava una mano alla buona, per come era possibile, siamo andati verso una professionalità più mirata. All’inizio si può anche improvvisare, ma poi è assolutamente necessario strutturarsi. Il nostro obiettivo primario è stato quello di aiutare i detenuti a trovare lavoro, però aiutare a trovare lavoro non significa solamente trovare l’occupazione e consegnarla bella e pronta, ma significa anche aiutare la persona a proporsi al lavoro, quindi contano i requisiti soggettivi, oltre a quelli oggettivi e pratici. Allora prima vengono i requisiti soggettivi e poi le condizioni di base, le precondizioni, che consistono nell’avere tutta la documentazione idonea, ad esempio il libretto di lavoro. Quello che le dico può sembrare ovvio e banale, ma ci siamo trovati con la stragrande maggioranza di persone che addirittura non conoscevano cos’era un libretto di lavoro e a cosa serviva, quindi per prima cosa c’è stata tutta un’attività di informazione nei confronti delle persone detenute.
Come avete lavorato in questo senso, come siete riusciti ad attirare l’attenzione su un argomento del quale, almeno fin che si è detenuti, si tende a preoccuparsi poco? Infatti. Abbiamo spiegato che bisogna preoccuparsi del futuro fin da dentro, e faccio un esempio: l’iscrizione al collocamento dal carcere sembrava inutile, in realtà quando poi trovi lavoro la ditta disposta ad assumerti comincia a sollevare problematiche: "Sei detenuto, hai superato l’età dei contratti di formazione lavoro, dell’apprendistato, quindi mi costi troppo. Ce l’hai almeno un’iscrizione di due anni al collocamento, il che consente, come disoccupato di lunga durata, di avere degli sgravi contributivi?". Ovviamente nessuno era iscritto, ed ecco allora che quelle cose che lì per lì non sembrano avere nessuna utilità, in prospettiva sono invece essenziali per reinserirsi. Poi ci sono le cose molto più semplici come la carta d’identità scaduta, tanto per citarne una, che significa uscire fuori e, se nel frattempo si è persa anche la residenza anagrafica, perché dopo un certo periodo vieni cancellato, allora non puoi avere il libretto sanitario, non puoi avere il libretto di lavoro, insomma diventi un essere che non esiste. Proprio in considerazione di tutte queste problematiche, l’idea ultima è stata quella di fare uno Sportello, che abbiamo chiamato Documenti e Tutele, perché documenti vuol dire tutele, ecco, i due termini sono strettamente correlati. Il progetto prevede l’attivazione di uno sportello interno alla Casa Circondariale di Sollicciano, che lavori nel sostenere i detenuti nell’ottenimento dei documenti o nell’espletare procedure inerenti la residenza, il codice fiscale, la posizione previdenziale, l’iscrizione al collocamento e la disoccupazione, il titolo di soggiorno per gli stranieri. L’ottenimento di questi documenti è segnale di cittadinanza, di conseguimento dei diritti e permette di procedere nell’ottenimento delle misure alternative, utili per scontare la pena fuori dal carcere e quindi in ultima analisi anche per combattere il sovraffollamento.
Quali enti siete riusciti a coinvolgere nella realizzazione dello Sportello e da quali operatori viene gestito? Principalmente ci hanno sostenuto la Regione Toscana, la Provincia ed il Comune di Firenze, mentre l’associazione di volontariato L’Altro Diritto, assieme all’associazione culturale Container, curano tutta la parte relativa alla gestione pratica, che avviene mediante l’utilizzo di un certo numero di volontari, per lo più persone giovani, la maggior parte studenti universitari. Chiaramente tra questi c’è una figura, che è il responsabile, che garantisce la continuità del servizio e le competenze. Ovviamente serve qualcuno che sia adeguatamente formato e preparato a questo compito.
Ecco, a questo scopo avete pensato di coinvolgere le figure più esperte delle singole problematiche, come ad esempio i Patronati, i Centri per l’Impiego etc…? Chiaramente l’accordo è con tutti i servizi e con tutto ciò che il territorio offre, deve essere un servizio in rete con gli altri servizi, anche con l’anagrafe, l’Inps, l’Ufficio Imposte Dirette, i Ser.T. e le Asl, la Questura ed i Servizi sociali. Insomma un bel guazzabuglio, e senza una rete ben organizzata sarebbe impensabile gestire seriamente lo Sportello, perché non è con tre volontari che corrono a destra e sinistra che puoi fare qualcosa. Ci vuole una figura preparata, che sia riconosciuta come responsabile e che percepisca i suoi rimborsi economici, perché il lavoro da fare è tanto. Con gli uffici territoriali vanno strutturati degli accordi, così come abbiamo fatto recentemente per i codici fiscali: c’è un accordo con l’ufficio competente che ne facilita il rilascio, e la figura che va a sbrigare l’incombenza per conto dei detenuti è autorizzata a questo, quindi c’è anche tutto un sistema di privacy, di mandati, che vanno regolamentati. Alcuni accordi già ci sono mentre altri li stiamo definendo in questa fase di avvio, o meglio di evoluzione del Pild, perché finora abbiamo fatto tutto a livello di puro volontariato e in maniera discontinua però, visto appunto che disservizi ne nascono parecchi in un carcere come Sollicciano, con quasi 1000 detenuti. Basti pensare che tra febbraio e marzo c’è da far chiedere l’indennità di disoccupazione non dico a tutti ma a parecchi, ed ogni anno è una gran confusione, non si riesce ad assicurare il servizio a tutti i richiedenti, il che diventa antipatico perché c’è chi riesce ad arrivare al servizio, ed in qualche modo è quindi favorito, e chi invece non beneficia di questa possibilità.
Come si accede allo Sportello, tramite richiesta? Intanto si farà un’anagrafe nostra, interna, di primo ingresso. Verrà richiesto alla persona se ha documenti, se stanno scadendo, cioè tutto un monitoraggio all’ingresso. La prima fase la faremo anche sul pregresso, per chi in carcere c’è già, e sarà il lavoro più grosso, poi prevediamo che diventerà una routine: ci sarà una scheda, un questionario con una serie di domande dalle quali dedurremo le esigenze della persona detenuta. Quando manca un documento interviene il servizio. La persona viene convocata, oppure può accedere allo Sportello anche su richiesta, magari tramite un filtro con gli educatori, questo lo valuteremo, ma la base principale sarà il questionario di ingresso con il quale si ricevono e si forniscono le informazioni, oltre a recepire le richieste in base alle esigenze. Questo ci permetterà di arrivare alle varie scadenze già pronti, con la nostra piccola anagrafe a farci da guida, poi con l’ufficio matricola e la ragioneria del carcere diventa più facile sviluppare il lavoro per tempo. Pensiamo anche che sia necessario accertare quali detenuti hanno effettivamente diritto al servizio che richiedono, senza perdere tempo con chi non ha i requisiti richiesti e soprattutto fare in modo che non ci sia chi rimane svantaggiato perché non riesce ad avere l’informazione al momento opportuno o non conosce i suoi diritti, oppure evitare i privilegi di chi ha più rapporti con i volontari o buone conoscenze con gli stessi. Ecco, alla base del nostro progetto ci sono l’informazione, lo scambio di informazione, in modo che tutti possano accedere al servizio che avrà una frequenza assidua, infatti tutte le settimane lo Sportello sarà aperto.
Oltre allo Sportello avete messo in cantiere altre iniziative? C’è qualche progetto che è andato particolarmente bene e del quale va fiero, che ci vuole raccontare? La filosofia principale sulla quale ci siamo mossi è stata quella di creare una rete di sostegno, facendoci forti delle nostre esperienze precedenti: ad esempio c’è stato un progetto per un gruppo di 10 detenuti che hanno fatto tutto il percorso di formazione e gli stage aziendali e che sono andati quasi tutti a buon fine, ma si tratta di attività da sviluppare sulla base di progetti ben precisi con le adeguate risorse che consentono di erogare le borse lavoro, di attivare i tutor, mentre a livello individuale il nostro compito è quello di fornire assistenza ed informazioni.
Ma, sulla base della sua esperienza, quali sono le difficoltà più pesanti per il reinserimento nella società di chi esce dal carcere? Oggi parliamo di problematiche lavorative correlate all’area penale, ma chiaramente il problema non è solo di carattere lavorativo. C’è tutta una rete relazionale, amicale, di altre motivazioni che non sono solo il lavoro. Certo se non c’è il lavoro, un lavoro solido, chiaramente si parte male, ma l’esperienza mia è che non basta solo questo, serve ricostruire una rete di relazioni nuove che rompa con le vecchie relazioni e rimotivi la persona su nuovi interessi, che per forza di cose non possono essere quelli che coltivava precedentemente. Noi arriviamo fin dove possiamo, ma poi sono altri gli strumenti per dare anche un interesse a riprendere un ritmo di vita dove un milione e mezzo al mese, chiaramente, non dà tutte quelle gran soddisfazioni se non trovi altri motivi per impegnarti a cambiare vita.
PILD - Regionale, Borgo dei Greci 3 - 50122 Firenze A Bologna, i detenuti sono almeno un po’ più informati L’attività dello Sportello di informazione e orientamento al lavoro del carcere della Dozza, raccontata dalla sua coordinatrice, Daniela Farini
A cura di Marino Occhipinti
"Dare risposta a una particolare dimensione sociale dell’esclusione, quella dell’informazione": questo il compito che si è dato il Progetto Sportello della Casa Circondariale Dozza di Bologna, e ci piace che questo Sportello parta proprio dall’idea che la mancanza di informazione, così pesante in carcere, è causa fondamentale di esclusione, e che qualsiasi iniziativa, che voglia "includere" le persone che vivono una condizione di disagio, non può assolutamente sottovalutare l’importanza di informarle e di renderle in qualche modo protagoniste del loro reinserimento. Dello sportello abbiamo parlato con Daniela Farini, che lo coordina.
Dottoressa Farini, lei coordina lo Sportello di informazione ed orientamento al lavoro della Casa Circondariale Dozza di Bologna: ci spiega com’è strutturato? Lo sportello è strutturato in modo tale da consentire a tutti i detenuti un facile accesso: sono stati definiti orari di apertura compatibili con le attività che si svolgono al penale, giudiziario e femminile. E’ attivo il martedì e mercoledì, mattina e pomeriggio e il venerdì mattina. Eroga servizi di informazione, orientamento al lavoro, sostegno nella ricerca del lavoro in termini di raccordo con servizi pubblici e privati del territorio, raccordo con l’educatore di riferimento, accompagnamento al lavoro.
Da chi è gestito e quali enti, istituzionali e/o privati, collaborano con voi? Lo sportello è gestito dal Cefal di Bologna, Centro di Formazione professionale che dalla fine degli anni 80 opera nella Casa Circondariale Dozza per la realizzazione di corsi di formazione professionale e di percorsi di transizione al lavoro. Gli altri enti coinvolti coincidono con i membri del Comitato tecnico di progetto, ovvero: Casa Circondariale, CSSA, Comune di Bologna – settore esclusione sociale, Provincia di Bologna – settore lavoro e settore politiche sociali; Consorzio cooperative sociali Sol.Co. La collaborazione non si esaurisce qui… ovviamente per realizzare un buon lavoro abbiamo bisogno di confrontarci con tutti gli operatori e volontari che quotidianamente svolgono attività intramuraria e non. Abbiamo inoltre un ottimo rapporto (che si sostanzia con assunzioni e borse lavoro) con una cooperativa sociale di Bologna, IT2, cooperativa che si ispira al modello francese delle imprese di transizione e che, a differenza delle "classiche" cooperative di tipo B, ha quale obiettivo la transizione dei soggetti svantaggiati assunti in aziende del privato.
Quali sono gli obiettivi, le funzioni dello Sportello, e come si sviluppa il vostro lavoro? Gli obiettivi del progetto sono connessi strettamente all’idea di occupabilità. Si tratta quindi di favorire un percorso mirato sulla persona, che permetta alla stessa di progettare e tentare di realizzare un proprio percorso "transitivo" o verso opportunità formative (intra/extra moenia) o lavorative. Il nostro lavoro quindi si sviluppa a partire dai bisogni del singolo, rilevati durante i primi colloqui informativi e conoscitivi. Successivamente, se necessario, si può passare ad una vera e propria fase di orientamento. A seguito di colloqui maggiormente approfonditi, ma anche grazie alla partecipazione ad alcuni gruppi di discussione tra detenuti sulle tematiche connesse al mondo del lavoro, l’operatore sportellista imposta un progetto "transitivo", sottoposto allo stesso detenuto e all’educatore di riferimento, che, nel caso, può modificare il piano trattamentale a fronte di nuove conoscenze e di possibili nuove piste da percorrere, finalizzate al lavoro o alla formazione. Le aree funzionali dello sportello sono principalmente tre:
1. Accoglienza e Informazione: Questa funzione comporta la realizzazione del primo contatto diretto e la registrazione dell’utenza. Nel corso di questa fase l’operatore effettua un primo esame della domanda, raccoglie i dati e le prime informazioni sull’utente allo scopo di iniziare a costruire il suo dossier personale; fornisce le prime informazioni sull’attività e i servizi dello sportello e/o su altri servizi esterni ritenuti rilevanti per il problema dell’utente; cura gli spazi e i materiali per l’auto-consultazione.
2. Consulenza: La consulenza trasforma il rapporto operatore-utente in una più accentuata "relazione di aiuto", soprattutto in riferimento alla conoscenza di sé, (delle proprie capacità, competenze, aspirazioni, attitudini) e al supporto alla scelta di percorsi di avvicinamento al mondo del lavoro. Attraverso questa funzione si realizzano analisi e diagnosi più approfondite dei bisogni e delle competenze, fornendo una consulenza personalizzata ed un supporto alla definizione di percorsi per l’occupabilità anche nei confronti degli educatori del carcere. La consulenza è offerta all’interno di colloqui e attività individuali, ma in funzione di particolari percorsi sono previste delle sessioni di gruppo su tematiche specifiche attinenti il lavoro.
3.Transizione al lavoro: questa area funzionale riguarda l’avvio al lavoro, attraverso il supporto all’inserimento lavorativo/professionalizzante (borse lavoro, corsi di formazione…) e il supporto per il disbrigo di procedure amministrative, funzione svolta direttamente dall’Operatore del Centro per l’Impiego della Provincia di Bologna. Inoltre la funzione presuppone attività di tutoraggio dirette a monitorare l’andamento dei percorsi attivati in relazione al progetto di inserimento progettato, attività svolta su diretta richiesta dell’educatore di riferimento e progettata insieme a questi.
Che genere di informazione e consulenza siete in grado di offrire ai detenuti della Casa Circondariale e di quali figure professionali vi avvalete? Le informazioni interessano:
Le figure professionali coinvolte sono: Un operatore pedagogista – operatore di sportello; Un operatore del centro per l’impiego della Provincia di Bologna; Una sociologa – coordinatrice di progetto; Una psicologa del lavoro per consulenze mirate (ad es. motivazione al lavoro).
Nei percorsi di inserimento, affiancate ai detenuti la figura del tutor, e se sì, questo vi ha creato dei problemi (in una discussione nel nostro gruppo, molti hanno manifestato perplessità sul tutor e timore di una ulteriore figura di controllo)? Non si tratta in effetti di un tutor, ma è lo stesso operatore sportellista che in alcuni casi realizza anche attività di accompagnamento. Per accompagnamento intendiamo un’attività esclusivamente di supporto alla persona, attività che può essere un semplice accompagnamento fisico o che può diventare monitoraggio (sostegno in caso di problemi con il referente aziendale, raccordo assistente sociale – azienda, sostegno relazionale, per esempio nel caso di problemi di tenuta ecc.). L’accompagnamento NON è attività di sorveglianza del detenuto… molto spesso è la stessa persona che prima di iniziare una borsa lavoro o di andare in azienda chiede all’operatore di essere accompagnato. L’accompagnamento per quanto ci riguarda è una azione esclusivamente rivolta a creare maggiori condizioni di efficacia del percorso transitivo ed è strumentale esclusivamente per la persona che inizia l’esperienza lavorativa (o formativa). Ad esempio una detenuta ha richiesto il servizio perché non era mai uscita dal carcere e non conosceva minimamente Bologna: doveva fare il libretto sanitario e reperire la divisa di servizio (sarebbe andata a lavorare come aiuto cuoca)… in questo caso l’accompagnamento è consistito in un vero e proprio affiancamento. In un altro caso un detenuto sta chiedendo i domiciliari in un’altra provincia: l’operatore lo ha accompagnato, in permesso, al Centro per l’impiego di quella provincia, per iniziare a prendere i contatti e ad analizzare le richieste di lavoro…
Quali sono state le difficoltà che avete affrontato? Le difficoltà sono numerose, a partire dalla logistica, ovvero dal fatto che lo sportello è "virtuale", mentre eravamo partiti con l’idea di fare un Centro per l’impiego dentro… Non esiste infatti un unico spazio ad accesso diretto… non è possibile una vera e propria autoconsultazione (non c’è la possibilità di utilizzare internet). I tempi sono un altro aspetto critico… spesso un buon percorso, con buone possibilità è inficiato dalla variabile tempo… tempo dentro-tempo fuori–tempo tra… L’aspetto efficacia-efficienza del servizio ci fa riflettere da parecchio tempo: meglio poco però a tutti o meglio molto però a pochi? Meglio concentrarsi su chi effettivamente ha possibilità transitive o meglio garantire democraticamente l’accesso alle risorse in modo indifferenziato?
Quanti detenuti si sono rivolti allo Sportello in questo primo anno di attività e quanti di loro hanno trovato realmente un’occupazione lavorativa? Sono circa 280. Ancora una volta chiarisco che il compito dello sportello non è "trovare lavoro", ma creare presupposti concreti per la ricerca del lavoro o per la professionalizzazione. Il nostro mandato infatti si ferma di fronte ad azioni di ricerca azienda, matching, promozione verso le aziende, e abbiamo portato la problematica alla Provincia, che sta pensando se mettere a bando una azione specifica in merito oppure incaricare direttamente il Centro per l’impiego di svolgere questa attività. Il servizio di accompagnamento quindi vuole anche riprendere con la persona un percorso iniziato assieme di analisi delle risposte e ricerca di una possibile pista. Infatti dopo i colloqui e l’individuazione del profilo, è l’educatore che cerca l’azienda, magari coadiuvato dall’operatore sportellista, ma questo non è coinvolto più direttamente, se non quando si attiva l’accompagnamento.
Può indicarci, brevemente, le "caratteristiche" delle persone che avete "preso in carico"? La fascia di età prevalente è tra i 31 e i 40 anni, il 50-60% italiani, per il resto i paesi di provenienza prevalenti sono Algeria, Marocco, Tunisia. Il titolo di studio prevalente (indipendentemente da un possibile riconoscimento in Italia) è la scuola media inferiore (praticamente il 70%). Rispetto alle precedenti esperienze lavorative, le principali sono: operaio generico, fonderia, saldatore, carpentiere, addetto alla ristorazione (aiuto cuoco, pizzaiolo, barista, cameriere/a, panettiere), operaio edile (muratore, piastrellista) etc. Abbiamo anche rilevato, durante i colloqui, le aree professionali di interesse: ristorazione, giardinaggio, informatica (uso computer, web designer, grafica), muratore-edilizia, lavoro nel sociale (ass anziani, bambini, ADB ecc.), saldatore, meccanico.
Quali corsi avete promosso negli anni e quali hanno creato reali sbocchi occupazionali e di reinserimento? Il Cefal ogni anno realizza tre o più corsi di formazione intramuraria, su bando provinciale, prevalentemente. I corsi riguardano genericamente la ristorazione, il verde, la grafica e l’informatica. Spesso si realizzano corsi integrati con la scuola (media) per potersi "riconoscere reciprocamente" le competenze acquisite e per cercare di valorizzare al massimo tutto il percorso formativo, globalmente inteso. Rispetto alle ricadute occupazionali, ovviamente siamo sul piccolo numero, dato il contesto e le individuali possibilità lavorative (essere nei termini, piano trattamentale, giudizio dell’equipe trattamentale, giudizio della Magistratura di Sorveglianza, disponibilità dell’azienda all’assunzione dopo il periodo di stage o borsa lavoro, tenuta della stessa persona …). Ragionando invece nel tempo, visto che il Cefal fa corsi da molti anni, il numero di ricadute effettive in termini occupazionali aumenta…
Riuscite a svolgere azioni di mediazione con le aziende, affinché superino le pur comprensibili resistenze e si rendano disponibili alle assunzioni? E’ una domanda complessa, che rientra tra le difficoltà incontrate di cui sopra… La soluzione, per ora provvisoria, è fare perno sulle aziende che ormai appartengono alla "rete" del Cefal, aziende che collaborano da anni con il Centro di formazione. Un’altra strategia riguarda l’operatore del Centro per l’impiego: contatta nuove aziende presentando opportunità sgravi ecc. ma il lavoro è molto faticoso, "ritagliato" tra le tante altre sue attività, in quanto funzionario, e siamo su numeri non troppo significativi. Inoltre, grazie alla sinergia con il settore disagio adulti del Comune di Bologna, l’Ufficio Borse Lavoro dispone di una banca dati di aziende disponibili per borse lavoro, che a volte si trasformano in assunzioni.
Il problema non riguarda la Magistratura di Sorveglianza, ma la stessa legge
Nel vostro progetto, nel capitolo relativo ai percorsi interrotti, avete citato la situazione delle persone extracomunitarie che rischiano l’espulsione in virtù della legge "Bossi-Fini", però facciamo fatica a capire quali difficoltà rendano inapplicabili i percorsi risocializzanti nei confronti di tali persone, anche perché la Magistratura di Sorveglianza del Veneto, ad esempio, concede le misure alternative a cittadini stranieri: ci vuole spiegare meglio? Il problema non riguarda la Magistratura di Sorveglianza, ma la stessa legge. Per alcuni detenuti a fine pena (o a due anni dal fine pena) avevamo già trovato l’azienda disponibile per l’attivazione di una Borsa Lavoro o per l’assunzione, ma la nuova situazione normativa ha impedito la prosecuzione dei percorsi. Il punto critico è l’efficacia di azioni per la transizione/formazione per chi è, date le circostanze, in via di imminente espulsione dall’Italia. Sul piano delle borse lavoro, queste sono limitate numericamente e l’assegnazione viene stabilita da un comitato per le borse lavoro di tipo interistituzionale.
Alla luce della sua esperienza, ci traccia un bilancio? Rispetto ad attività come quelle dello Sportello penso che non possano reggere situazioni "a strattoni", ovvero che non si possa di anno in anno sapere se continuerai i percorsi che hai iniziato, sapere se il servizio ci sarà o no… e questo indipendentemente da Bologna… penso a tutte o quasi le altre esperienze in essere in Italia, Milano, Roma, Firenze… E’ difficile riuscire a programmare in soli 12 mesi azioni di promozione alle aziende, sensibilizzazione, creazione di rete, materiale informativo adeguato alla tipologia dei bisogni espressi, rilevazione dei fabbisogni formativi e programmazione di corsi. Un servizio il più possibile "a bassa soglia" ha bisogno di molta flessibilità e di un orizzonte temporale medio-lungo per una programmazione coerente e efficace.
Per concludere, quali proposte si sente di poter avanzare per migliorare la situazione? Occorrerebbe creare un servizio stabile all’interno dell’area trattamentale, un servizio che magari sia basato su un modello di "agenzia", che vede insieme tutti i soggetti istituzionali che a vario titolo concorrono all’inserimento socio-lavorativo di persone detenute. Gli operatori non dovrebbero pertanto "appartenere" all’Amministrazione Penitenziaria, ma essere professionisti che operano all’interno dell’agenzia. Rispetto alle possibilità di finanziamento, i meccanismi di accesso non muterebbero in modo significativo.
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