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Complessità e giusta distanza Un percorso per capire che la realtà è complessa e non permette di dividere il bene e il male in modo semplice, e al male ci si può avvicinare per capire e imparare, mantenendo però appunto la giusta distanza
Ornella Favero
Questa Giornata di studi si colloca in un momento particolarmente difficile per le carceri, e per la Casa di reclusione di Padova in modo particolare. Perché è un carcere in cui le persone non stanno pochi mesi o un anno, qui ci stanno anni e anni, a volte una vita. E ora hanno cominciato ad aggiungere la terza branda in celle pensate per una persona e diventate poi per due, e trovarsi in tre in una cella da uno per anni non è uno scherzo, cosi come non è uno scherzo per la Polizia penitenziaria e per gli operatori affrontare delle situazioni così complesse, quindi credo che oggettivamente quest’anno siamo tutti immersi in una situazione di forte tensione. Abbiamo deciso di impostare questa Giornata di studi non tanto con delle relazioni dei relatori, quanto come un dialogo che cercheremo di fare tra la redazione di Ristretti Orizzonti e le persone che hanno accettato di prendere parte in qualità di relatori a questa riflessione collettiva sulla prevenzione. Perché un approccio di questo tipo? Perché questo confronto nasce da una esperienza enorme di contatto, di scambio, di lavoro, un percorso lungo tra carcere e scuole, un percorso straordinario, che coinvolge tutti, dagli operatori, agli agenti, ai detenuti, ai magistrati di sorveglianza, in una collaborazione straordinaria per un progetto, a cui ognuno ha dato il suo contributo particolare. E grazie al quale questo comincia a essere davvero un carcere aperto alla città, perché le scuole qui entrano, si confrontano con le persone che vivono dentro, fanno un percorso che porta a una crescita della consapevolezza sui comportamenti a rischio, sul rispetto della legalità, sulla trasgressione. Per entrare nel vivo del tema, noi abbiamo deciso di presentarvi quello che ha significato per noi il progetto con le scuole con delle brevissime testimonianze delle persone detenute della redazione, a partire da alcune parole chiave. Io stessa parto da due parole che contraddistinguono questo progetto: in un momento in cui c’è una semplificazione totale dell’informazione, che distingue il mondo tra buoni e cattivi, e fa credere che se noi siamo dalla parte dei buoni non corriamo nessun pericolo, noi andiamo nelle scuole a ragionare di complessità, cioè ragioniamo sul fatto che non si nasce cattivi, ragioniamo sul fatto che certi comportamenti “disinvolti” delle giovani generazioni non rendono esente nessuno dal rischio del carcere, ragioniamo sul fatto che le persone che sono finite in carcere non erano dei predestinati, e che solo in pochi hanno scelto di commettere dei reati per avere più soldi, mentre la maggior parte è finita in carcere con un tortuoso percorso che ha a che fare spesso con l’uso di sostanze, o con il disagio psichico, o ancora con i conflitti che nascono in famiglia e degenerano perché non siamo in grado di affrontarli in modo equilibrato. A partire da qui noi vogliamo ragionare con i ragazzi, perché questa certezza che a loro “non succederà mai” di commettere reati è molto pericolosa. Quindi noi ragioniamo sulla complessità, per cui il bene e il male non sono affatto divisibili facilmente, e sulla giusta distanza, perché noi non crediamo che i ragazzi debbano venire in carcere a confrontarsi con i detenuti e poi magari cambino, con l’emozione di una esperienza così forte, il loro giudizio da negativo a positivo, no, noi vogliamo che esercitino il loro senso critico con una giusta distanza. Perché chi ha commesso reati ha una responsabilità, e pesante a volte, e la giusta distanza nel giudizio significa appunto accettare che ci sono delle persone e delle storie pesanti, che possono comunque insegnarci qualcosa. I detenuti io li ringrazio di una cosa, la consapevolezza di dire “Io ho una esperienza negativa pesantissima, ma la metto a disposizione degli altri, e cerco che i ragazzi dalla mia esperienza possano trarre una lezione”.
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