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Vittime
diverse, ma sempre vittime Quello
che subisce la famiglia di un detenuto È una pena morale forse più pesante della pena detentiva, e poi c’è la
solitudine, e l’isolamento, gli sguardi curiosi della gente di
N.A. padre
di un detenuto Io
sono il papà di un ragazzo che è detenuto, volevo solo dire che oltre alle
vere vittime di un reato, ci sono anche altre vittime innocenti e incolpevoli,
che sono i genitori, i famigliari, i parenti, che si sentono sotto accusa pur
non avendo commesso nessun reato, pur non avendo fatto alcunché di male. La
mia è una famiglia di sei persone, quattro figli maschi, il più piccolo
purtroppo ha deviato e ha commesso questo reato che l’ha portato qui, la mia
era una famiglia che vive in un paese piccolo, un paesino abbastanza piccolo
dove tutti ci si conosce, era una famiglia molto stimata in paese, una famiglia
che aveva la fiducia di tutti, però da quando è successo questo fatto, tutto
è cambiato. Non
c’era più quella considerazione, quella fiducia che c’era prima, io ho
lavorato tanto, ho sacrificato, ho fatto tante rinunce, però purtroppo poi mi
sono trovato ad essere in qualche modo additato un po’ da tutti in paese,
appunto per questa situazione che si era creata, perché, come dire, vai a letto
alla sera che sei una persona normale, ti ritrovi alla mattina che non sei più
la stessa persona. La gente ti critica, io sono stato chiuso in casa per due o
tre mesi, e se uscivo, uscivo di nascosto, perché sapevo, perché sentivo,
sentivo questa diffidenza, questa critica nei miei confronti, nei confronti di
mia moglie. Fra l’altro ci sono state anche in famiglia accuse reciproche con
mia moglie, il mio matrimonio dopo trent’anni circa ha rischiato di saltare,
appunto perché ci si accusava, ci si incolpava a vicenda di questa storia. Ecco
io volevo solo dire che quando succedono queste cose in una famiglia, servirebbe
almeno un po’ di comprensione, l’avvicinarsi a questa famiglia,
l’avvicinarsi a queste persone, una parola di conforto. Io devo dire invece
che anche la chiesa è stata molto assente: da cattolico praticante, con molto
rammarico devo dire che non ho neanche ricevuto la visita del mio parroco, che
pure mi conosceva molto bene. Queste sono cose che ti deprimono oltre la pena,
perché il carcerato subisce una pena detentiva, la famiglia subisce una pena
morale, che forse è più pesante della pena detentiva, perché non avendo
commesso nessun reato, si trova a dover subire una situazione nella quale non
vede una via d’uscita. Io vorrei solo che ci fosse un po’ più di
comprensione per i famigliari che non hanno nessuna colpa. Grazie. Figli
che un padre è come se non l’avessero Non
è stato facile crescere senza di te “Non
è facile essere tua figlia nel nostro paese, dove tutti mi etichettano come la
figlia di…”. Parole difficili, che fanno capire che la figlia di un detenuto
certo un padre almeno ce l’ha, ma con tanta sofferenza e nessuna colpa di
Bruno De Matteis “(…)
Non è stato facile crescere senza di te. Ho conosciuto troppo presto
l’invidia. Quanto ho invidiato le mie amiche, quanto volevo che ci fossi stato
quando avevo bisogno di te. Quando ero piccola pensavo sempre che prima o poi
saresti arrivato da quella porta e mi avresti portato in giro e invece gli anni
passavano. Da bambina mi sono ritrovata adolescente… il primo amore, il
motorino, le pagelle a scuola, le gite… da adolescente sono diventata donna…
e tu da quella porta non sei ancora entrato. Ora sono grande, mi sono laureata,
posso fare a meno di te… eppure non vedo l’ora di conoscere mio padre, di
parlare con lui, di abbracciarlo e di dirgli mi sei mancato… sì papà mi sei
mancato e anche tanto… mi sei mancato ogni giorno e ogni giorno di più…”. Si
potrebbe pensare che queste frasi siano state scritte verso un Papà che è
stato vittima di un qualcosa… un Papà ad una bambina ancora sconosciuto.
Ebbene no, non è così. Mia figlia sa che sono un padre detenuto che ha subito
una condanna infinita, sa che non posso nascondere di aver fatto una vittima, o
quanto meno di aver concorso nel delitto, il che è più o meno lo stesso. Una
persona che non c’è più che ben conoscevo. Eravamo dello stesso quartiere di
una città del sud dove esisteva la legge della sopravvivenza. Nello scontro fra
noi poveri sono sopravvissuto. Sono in carcere dal 1991, se facciamo un po’ i
conti: una vita fa. Quasi 17 anni vissuti dove la vita non c’è, dove tutto
devi inventare per sopravvivere. Qualcuno può pensare che sono stato fortunato
a respirare ancora e poter ricevere le lettere di mia figlia. Sicuramente
qualcuno penserà, come è giusto che sia: da 17 anni in un’altra famiglia non
si ricevono né lettere né altro, resta solo il ricordo di un dolore tremendo,
di cui ancora oggi portano i segni. Quasi
tutti pensano al dolore della vittima che non c’è più, e io stesso posso
affermare che ci penso più di quanto qualcuno possa immaginare o credere. Sono
lunghi anni che ho vissuto nelle realtà più dure delle carceri. Ho voluto
vivere con la dignità di una persona convinta che ha fatto del male ed è
giusto che paghi per gli errori commessi. Ed ogni giorno per forza il pensiero
va a chi non c’è più, altrimenti anch’io sarei a casa mia. Quindi ci penso
sempre e ne soffro. Sono un uomo che forse non ha potuto scegliere fra il bene e
il male. Sono rimasto orfano da ragazzo, mi sono sposato e a 18 anni ero già
padre. Non
ho vissuto certo in paradiso, anzi guardo oggi al passato e mi rendo conto che
forse ho vissuto più in un inferno. Ha molte facce l’inferno, quella del
carcere è una tra le tante, e forse neanche la peggiore… e comunque è un
incontro con gli aspetti più crudi della vita, un viaggio nel più misero
squallore, dove spesso le persone hanno perso tutto, anche il più flebile
barlume di dignità. Ho imparato a percepire il passaggio del tempo da una
stagione all’altra soltanto dal cambio della temperatura, poiché ai detenuti
sono preclusi tutti quei mutamenti che il paesaggio assume con un infinito
sfumare di colori ad ogni stagione. Ho
appena accennato a quanto pesante sia vivere in questi posti per noi detenuti,
che in parte, ripeto, è giusto per il male procurato. Ma vorrei far capire
l’importanza dei miei famigliari che non hanno fatto nulla per subire una dura
condanna all’infinito, se non per il fatto che a distanza di tanti anni mi
sono vicini e mi vogliono bene. Quante volte hanno dovuto vivere umiliazioni
solo perché moglie o figlio di un detenuto, e subire la lontananza continua dal
luogo di residenza, e ancora oggi non mi spiego perché io debba stare a oltre
mille chilometri da casa, quando nella mia regione ci sono ben sette carceri.
Tutto questo mi fa pensare che ci sia qualcosa che non va… ci sono situazioni
che sembrano fatte apposta per distruggere psicologicamente e fisicamente una
persona, portarla alle condizioni di non poter far più nulla, di diventare una
specie di automa. Spesso sono duro con gli altri, ma anche con me stesso, se
continuo ad affermare che la colpa è solo mia che ho portato sull’orlo di uno
sfacelo una famiglia meravigliosa, che ancora dopo 17 anni di carcere è unita.
Ed un’altra della quale non so quasi nulla. Sicuramente
il dolore procurato non passerà mai, parlarne ancora non mi sembra il caso solo
per il rispetto delle persone che continuano a soffrire per causa mia, non è
uno scritto di pentimento che potrebbe alleviare il loro vivere senza la persona
che gli è venuta a mancare. Mi permetto di dire che forse in parte il loro
dolore può assomigliare a quello dei nostri famigliari, ma… almeno loro hanno
noi, una figura seppur virtuale che fa ancora dire loro: ho un padre, sono una
moglie, almeno sui documenti. Riporto ancora brani della lettera che mi ha
inviato mia figlia a Natale scorso, per far riflettere sul fatto che in fondo la
vittima non è una sola. “Caro
Papà, come stai? Qui tutto bene… cioè è tutto uguale… non ci sono grandi
novità. Sono andata a sostenere un esame e purtroppo ho avuto un attacco
d’ansia (questa è anche colpa tua, è una scusa per mamma) e non mi ricordavo
niente quindi l’esame non credo di averlo superato. Inoltre la mia
Professoressa non era d’accordo a farmi scrivere la tesi in un mese perché
troppo poco il tempo, e non sarebbe uscito un buon lavoro, per questi motivi mi
laureo tre mesi più tardi. Ho fatto il concorso per la specialistica e sono
rientrata, quindi è stata una bella soddisfazione. L’Università va bene,
certo vivere a Roma lontano anche da mamma è triste, papà. Mi capisci vero?
Sai, il titolo della tesi è: “Il ritardo mentale: Diagnosi e cura
nell’approccio sistemico relazionale”. Se hai qualche libro o
qualcos’altro me lo puoi mandare? Come
ti ho già detto, qui va tutto bene. È arrivato un’altra volta Natale. Come
ogni anno non sarà una bella festa. Più passa il tempo e più la mancanza
delle persone a cui voglio bene si sente. Sai benissimo che non ho un bellissimo
carattere e sai anche quanto mi è difficile dimostrarti quello che provo
realmente. Non è stato facile crescere senza di te. Non è facile essere tua
figlia nel nostro paese, dove tutti ti etichettano come la figlia di… Sei un
mito in negativo. Tu non sai quante volte ti ho odiato… ma si sa l’odio è
una sfumatura dell’amore forse più grande… Mia madre l’ho vista soffrire
tanto in questi anni e anche questo non è stato facile… mio fratello Mirko ha
sempre voluto essere come te, non perché tu eri chissà quale modello di vita
ma perché in quel modo lo avresti notato più facilmente… Luca, poi, il mio
angelo, la persona che più d’ogni altro spero di incontrare presto se n’è
andato via… a 25 anni. Papà!? Spesso rivolgo gli occhi al cielo, mi sembra
che mi veda che lo saluto. Vorrei che fosse qui… Invece non c’è… Come non
ci sei tu… Lo
so che anche per te non è stato facile, come so benissimo che negare la libertà
a una persona è la cosa più brutta che ci possa essere. Non è stato facile
per te stare lontano dalla tua famiglia come non lo è stato per noi, ma spero
con tutto il cuore che presto potremo cominciare a ricostruire la nostra
famiglia. Con questa lettera non voglio dirti che non ci sono stati momenti
belli in passato, ma sono stati troppo pochi per compensare tutti questi anni
che non ci sei stato. Ti voglio bene, ed è questa la cosa più importante che
devi capire, come devi anche capire che da parte mia c’è la voglia e il
desiderio di conoscere e farmi conoscere da mio padre. Siamo due perfetti
estranei che nonostante tutto sono uniti da un grande amore. Lo so che da parte mia non c’è stata comprensione nei tuoi confronti, anzi il più delle volte ho sputato sentenze solo per la voglia di farti soffrire come tu avevi fatto soffrire me… ma non credere che tutto quello che ti ho detto lo pensavo. Sono stata cattiva con te… prepotente e arrogante ma vai oltre alla mia apparenza e conoscerai come è realmente tua figlia… una persona debole che ha bisogno solo di stabilità, proprio quella stabilità che le è mancata in questi anni… Comunque spero che tu riesca a capire il significato di questa lettera e mi risponderai… Ci sentiamo domenica, telefona più tardi farò la sorpresa a mamma. Ti voglio bene… ma tanto… tantissimo, un bacio enorme tua M. Elena”.
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