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Non si può “fare spettacolo” di un pentimento Quando finisci sui giornali ti stritolano. Basta vedere cosa è successo a Erika, inchiodata a un sorriso, e cosa succede a chi finisce una volta sui giornali, e di quella notorietà non voluta non riesce più a liberarsi
Alla Giudecca abbiamo parlato di informazione, e di come tante volte le persone ne escano “massacrate”: chi ha commesso reati, ma anche e soprattutto chi non c’entra nulla, come i figli dei detenuti, i loro genitori. Le donne che stanno in carcere, poi, vivono il paradosso di sentirsi addosso i giornali, quando finiscono con le loro storie nella cronaca nera, e di diventare poi “invisibili” per il poco spazio che l’informazione dà alle condizioni di vita delle donne detenute.
Paola: C’è pochissima informazione per quanto riguarda le donne in carcere, le notizie vengono date sul carcere maschile, su visite di politici in carceri maschili, su cose che riguardano comunque i detenuti maschi. Certo gli uomini in carcere sono molti più delle donne, quindi questa cosa è anche abbastanza naturale. Però rispetto alle carceri femminili le notizie sono praticamente nulle, quei pochi servizi che riguardano il carcere femminile per la maggior parte trattano delle cose belle che si fanno in galera, quasi che questo fosse una specie di buon “collegio” per ragazze cattive. Ho visto dei servizi sul TG regionale che parlavano dell’orto della Giudecca, io quando ero detenuta in Germania ho conosciuto la Giudecca proprio attraverso un servizio sull’orto, e subito mi sono detta: “Che bello che è alla Giudecca”. Da quello che dicono sembra che qui in carcere ci sia più lavoro che fuori e che tutto sia comunque molto bello, che la vita sia scandita da cose molto creative. Quindi una presentazione un po’ edulcorata rispetto alla realtà dei fatti. Non si parla mai dei problemi veri del carcere femminile, e alla fine tutte le informazioni che vengono date sono “spinte” dai diretti interessati, cioè non dalle donne ma dalle direzioni delle carceri o dalle cooperative che gestiscono le attività all’interno, che vogliono in qualche modo crearsi uno spazio di pubblicità, o comunque di informazione rispetto a quello che fanno. Lo stesso vale per la carta stampata, io non ho visto nessuno che venga qui dentro a fare un servizio serio sulle condizioni reali in cui viviamo, anche sui giornali locali tutti gli articoli riguardano la sartoria, l’orto, la festa dell’orto, come se fossimo qui tutto l’anno a festeggiare. Già comunque in Italia la situazione è un po’ migliore che in altri paesi, perché qui qualche notizia almeno va fuori, c’è chi la porta fuori, in altri posti del mondo di quello che succede dentro alle carceri non si sa e non si viene a sapere nulla. In Germania, in un carcere di seicento detenuti non si poteva fare un giornale che usciva dal carcere, si faceva un giornale interno che veniva redatto due volte l’anno ma rimaneva rigidamente dentro. Non si parlava proprio, nel carcere, di fare informazione da portare all’esterno.
Natasha: Anche secondo me del carcere femminile dicono poco e solo cose senza importanza. E poi le persone fuori sono già prevenute quando sentono parlare di detenuti, e ancora di più di detenute, c’è come l’idea che se è una donna a commettere reati è anche peggio, perché così ha tradito l’immagine tradizionale, di buona madre e moglie.
Ornella (volontaria): Io su questo non sono del tutto d’accordo, e sai perché? Perché ho visto la reazione di persone “digiune di carcere” proprio a una bella trasmissione, fatta qui per Racconti di vita su Rai Tre e ispirata al nostro libro, che ha avuto, in un pubblico di persone non addette ai lavori, un grande riconoscimento, ha emozionato e incuriosito molto.
Cristina: Forse sai cosa? Forse è vero anche il contrario, nel senso che le menti delle persone vengono “incanalate” in un certo modo proprio dal tipo di informazione che gli si dà, se noi gli diamo “nani e ballerine”, la gente amerà i nani e le ballerine, se noi gli diamo invece dell’informazione, non dico proprio “pesante”, però un po’ più seria, le reazioni non sono affatto negative. È che si gioca a dare il peggio alla gente, e in certi ambienti questo funziona, basta vedere cosa guardano tante donne detenute alla televisione…
Natasha: Del resto quando discutiamo qui, siamo un gruppo ristretto, di persone che hanno voglia di essere informate, di parlare dei loro problemi, di partecipare, ma per la maggior parte le donne detenute non hanno una grande coscienza della loro condizione, e poi vengono da ambienti dove le donne spesso hanno un ruolo ancora tradizionale, vivono all’ombra dei loro compagni. A volte sanno che fanno attività illecite, se non altro per il tenore di vita che permettono loro, a volte invece sono all’oscuro di tutto, sono a loro volta vittime. In ogni caso, di abitudine a essere informate e a “prendersi in mano il proprio destino” ne hanno ben poca.
Anna Maria: Si tratta per la maggior parte di persone che sono delle “abitudinarie” del carcere e quindi pensano al massimo ai problemi giuridico-tecnici… senza poi capirne molto, e magari si fidano della prima che capita per farsi consigliare. Spesso poi se uno non sa e non legge nulla, come molte delle nomadi che ci sono qui e al nido, prende delle cantonate, ascolta la televisione distrattamente, sente parlare di amnistia e pensa già che l’amnistia sia stata approvata. Ho visto gente preparare i bagagli e regalare le sue cose convinta che la scarcerassero nel giro di poche ore, solo per aver male interpretato una delle solite notizie sull’indulto sicuro.
Paola: Adesso poi entrano in carcere persone con reati definitivi vecchi, oppure con reati come la violazione di fogli di via, e qui poi ce n’è tante che sono convinte che domani vanno fuori… e queste convinzioni sono frutto o colpa proprio di una cattiva informazione. Chi arriva dentro infatti, che non sia una persona che abbia un minimo di capacità critica, e i piedi per terra soprattutto, è convinta, come lo sono le persone libere, “normali”, che i delinquenti si fanno quei due o tre mesi di galera e poi vanno fuori, li mandano fuori. Perfino mio padre, che ha visto che io la galera me la sto facendo tutta, legge i giornali o ascolta la televisione e poi dice: guarda questo, tre giorni ed è già fuori. E io a spiegargli che fino a quando la condanna non è definiva si possono ottenere gli arresti domiciliari o restare a piede libero, ma poi quando ti condannano la pena la fai eccome, ma niente, non è facile da spiegare. Le persone pensano comunque che, se uno è stato arrestato per una rapina e poco tempo dopo viene scarcerato, tutto sia concluso li. E lo pensano, ahimè, anche tante donne che poi finiscono in carcere con queste convinzioni, di cavarsela in fretta e senza grossi danni.
Natasha: A me quello che, del mondo dell’informazione, fa più rabbia è quando i giornali “forzano” un certo tipo di notizie per colpire l’attenzione dei cittadini comuni. Guardate anche la questione del permesso a Erika, che poi non era neppure un permesso, lei è andata con altre detenute a fare una partita a pallavolo e io non ci vedo niente di male, c’è andata scortata con tanto di cellulare e non capisco perché devono fare tutte queste storie.
Paola: Di questa notizia di Erika che esce dal carcere abbiamo parlato molto anche qui. La maglietta griffata, il sorriso, le sopracciglia ridisegnate… così hanno presentato Erika in televisione. Insistere sul sorriso, poi, è evidente che ha questo effetto: guarda quella, ha ammazzato la madre e il fratello e non si è neanche pentita. Tutti ne parlano come se avessero a che fare con una persona assolutamente normale: a me la cosa che colpisce molto di questa storia invece è proprio questa idea che lei sia in un carcere “normale”, e che le sia stato rifiutato il permesso di andare in comunità con la motivazione che non ha mostrato pentimento e sensi di colpa. Ma io credo che, per mostrare sensi di colpa, uno si deve rendere conto di quello che ha fatto, e lei invece secondo me non se ne rende ancora conto. Di storie così ne ho viste altre qui, è gente che avrebbe probabilmente bisogno più di cure che di galera. Ma come si fa a pretendere che lei si penta, stia male e non sorrida mai e, a poco più di vent’anni, non pensi anche a truccarsi e vestirsi come una qualsiasi ragazza delle sua età?? La cosa assurda è che questa pretesa di vedere il pentimento solo nelle persone che piangono e fanno mostra di grande sofferenza la troviamo anche all’interno del carcere, dove a volte ottengono di più quelle che sono sempre lì a dirsi pentite, e invece se una si vive il suo dolore senza mostrarlo tanto passa per insensibile e viene ritenuta incapace di rivedere criticamente il suo passato. Ho sentito qualcuno dire di Erika: “Aveva tutto, una buona famiglia, la scuola, il fidanzatino, come ha potuto fare quel che ha fatto?”. Ma perché, dico io, pensate davvero che le persone che manifestano un disagio psichico o che fanno le cose più efferate siano per forza di famiglie disgraziate?
Cristina: Certo la cattiva informazione colpisce anche qui, ci sono donne che sono dentro per varie rapine e furti e le ho sentite dire “… ecco l’assassina, le danno i permessi e a noi non danno niente, questa non è giustizia, con lei dovevano buttare via le chiavi per quello che ha fatto”.
Paola: Sì, ma il bello è che quelle che parlano così sono le stesse che poi hanno commesso centinaia di furti, cioè persone che vivono esclusivamente di reati.
Cristina: C’è anche da dire che è facile farsi delle idee sbagliate, perché l’informazione è manipolata, l’informazione non è precisa. Hanno parlato di permesso a Erika, ma non era un permesso, e poi in ogni caso è un’informazione che vuole influenzare il punto di vista della gente dando già un giudizio negativo a partire da un sorriso… Ma poi la carta di Treviso non tutela proprio i minori? E allora come mai con Erika è venuto fuori il disastro? Perché non l’hanno in qualche modo protetta? Perché l’hanno buttata in pasto ai mass media in quella maniera lì ancora da quando era minorenne?
Ornella: Sì, i giornali e le televisioni prima si “salvavano l’anima” mettendo sulla sua faccia un alone di nebbia, ma appena ha compiuto 18 anni hanno diffuso le immagini senza alcun ritegno. E certo il video con questo suo sorriso, gestito in modo “subdolo” dal mondo dell’informazione, fa danni proprio sulla coscienza della gente: e non a caso sono uscite lettere a valanga sui giornali di persone che naturalmente protestano, con ragionamenti come quello, per esempio, di una madre che dice: “Ho letto che lei fa l’università, studia, fa sport, io invece ho dovuto far smettere di studiare mio figlio perché non potevo mantenerlo”.
Cristina: La gente guarda quelle immagini di Erika sorridente, o i servizi sulle cose interessanti fatte in carcere, i concerti, gli spettacoli, e pensa che dentro si stia bene, ma non sa che queste piccole opportunità non ci sono in tutte le carceri e non sono per tutti, perché non è che in ogni carcere puoi studiare, e tanto meno lavorare.
Ornella: Io mi domando se questa decisione di non mandare Erika in comunità la Cassazione l’avesse già presa prima che uscisse quel filmato (secondo la prima sezione penale della Suprema Corte, la ragazza “è ben lungi dall’aver acquisito un senso di colpa reale per i delitti terribili commessi”). Perché in ogni caso un certo tipo di informazione influenza eccome: se sei un giudice, come fai a valutare serenamente, con i telegiornali e i giornali che dicono che questa qui non è pentita, che è tutta allegra… Mi viene in mente un momento particolare della mia vita, quando è morto mio padre, quella sera, io e i miei fratelli abbiamo riso molto, perché richiamavamo insieme tanti ricordi di quando eravamo piccoli, e delle cose che faceva mio padre, che erano anche divertenti, però se uno ci sentiva, la reazione era senz’altro: sono là che ridono ed è appena morto il padre. Per cui isolare un sorriso e farne un caso è evidente che ha questo effetto di falsare la realtà. Ma qualcuno pensa davvero che una persona nel pieno possesso delle sue facoltà mentali si fa quattro calcoli e dice: beh domani ammazzo mia madre… cioè voglio dire, se anche davano ad Erika la possibilità di andare in comunità, io non avrei gridato allo scandalo, perché non credo che la galera sia fatta per curare persone come lei.
Natasha: A parte il fatto che, a vedere Erika ben vestita e curata, mi viene in mente che c’è anche un discorso di come sono fatte le donne, e io mi ci metto dentro: nella donna è una valvola di sfogo, quella di sentirsi messa bene, truccata, vestita decentemente, è una forma di compensazione. Negli uomini non credo sia così, ma una donna anche se sta male, magari va fuori e si compera qualcosa da vestire. E non per questo è un mostro.
Sonia: Io sono stata anche in una sezione di Alta Sicurezza, e pure lì le donne, che magari hanno situazioni abbastanza pesanti dal punto di vista della pena, però si tengono su, sempre ben vestite, sempre preparate, anche truccate, e per fare che cosa, poi? Per andare due ore all’aria.
Ornella: Sì, qui siamo tutte donne e questo lo capiamo, ma i servizi montati su Erika invece ci hanno giocato molto, su abbigliamento griffato, occhiali da sole, maglietta con una scritta aggressiva. Una notizia data così danneggia tutti, perché fa scattare nella gente la tipica reazione “Ecco, questi qui vanno già allegramente in permesso, possono uscire subito, quindi le pene nel nostro paese non sono certe”.
Cristina: Però il fatto è che la Magistratura non è insensibile a campagne di stampa di questo tipo, perché queste campagne indirizzano l’opinione pubblica e la Magistratura non si sente di andare contro l’opinione pubblica, e allora frena sulla concessione delle misure alternative.
Ornella: Ma c’è un’altra questione, sempre sull’informazione, di cui mi interessa parlare. Se da una parte abbiamo visto le ripercussioni che hanno certe notizie sulla vostra condizione in carcere, dall’altra mi piacerebbe capire in che modo le vostre vicende giudiziarie sono finite sui giornali, e le ripercussioni che hanno avuto sui vostri figli.
Paola: La mia vicenda, siccome sono stata arrestata in Germania, è uscita sui giornali lì e dopo anche qui in Italia, ma fortunatamente era agosto, quindi non l’ha letta quasi nessuno. Poi è uscita su Rai Tre, però non hanno detto il mio nome, ma sai qual è stato il peggio? È quando arrestavano qualcun’altra per una storia simile, e tiravano fuori di nuovo tutta la mia vicenda, e mia madre ogni volta mi scriveva: “Ti hanno messa di nuovo sul giornale”. Ma è mio padre forse quello che ha sofferto di più, mia figlia invece i giornali proprio non li legge.
Sonia: La mia storia è finita sulle locandine dei giornali locali, immaginati cosa vuol dire in un luogo dove più o meno si conoscono tutti. E poi dopo alcuni mesi, io ero già in carcere qui alla Giudecca, è uscito un articolo bello grande che mi tirava in ballo nuovamente solo perché avevano arrestato un’altra persona per una storia analoga. La sensazione è che, quando vai sui giornali, poi non sia mai finita. Non torneremo mai a essere delle persone “normali”.
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