Editoriale

 

Che si facciano tutta la galera, non un giorno di meno

 

di Ornella Favero

 

Se ci fosse una statistica che dice che tenere la gente in galera fino all’ultimo giorno della pena significa garantire alla società che quelle persone usciranno più buone, sicuramente sarebbe sbandierata ovunque. E invece no, invece le statistiche dicono il contrario, e non ci stanchiamo di ripeterlo perché non ne parla quasi nessuno: che la recidiva di chi si è scontato la pena fino all’ultimo giorno rinchiuso è intorno al 70 per cento, contro un 19 per cento di chi invece ha cominciato a uscire prima, in un percorso di reinserimento guidato e, non dimentichiamolo, controllato. La ricerca, ovviamente, è quella del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e ha seguito le persone per sette anni circa dopo la galera.

Sappiamo già parecchie delle obiezioni che ci verranno fatte, e ci siamo “allenati” anche a rispondere. La principale è che le persone che escono in misura alternativa sono già quelle più “garantite”, con una rete più solida di sostegno, dunque è ovvio che su di loro si può scommettere di più. Errore: ci sono un sacco di carceri nelle quali le misure alternative proprio non vengono date, e altre invece, tipo Padova per fare un nome a caso, dove vengono date con una certa frequenza, dove le storie delle persone vengono analizzate con attenzione, dove i Magistrati di Sorveglianza entrano regolarmente in carcere. Allora nella statistica delle persone che non tornano a commettere reati ci saranno probabilmente parecchi detenuti di Padova, ma quel che è certo è che in quella di chi se ne è stato in galera fino alla fine ce ne saranno una valanga che ai “nastri di partenza” erano identici ai detenuti di Padova, né più né meno delinquenti, e però la sorte gli ha destinato di finire in una galera dalla quale non si esce facilmente.

C’è da aggiungere che dalla ricerca “MISURA”, svolta dall’Università di Firenze insieme all’Amministrazione Penitenziaria toscana, per i soli affidati di questa regione, risulta fra l’altro che, in un numero molto elevato di casi, i fruitori della misura alternativa venivano da storie giudiziarie con frequenti recidive, e anche questo è un elemento utile per rispondere a chi dice che, praticamente, le misure vanno a buon fine perché mettono fuori i più garantiti.

Tra l’altro, non dimentichiamoci che gli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna hanno un organico che è stato notevolmente incrementato in questi ultimi anni, e dunque la possibilità di seguire le persone in un percorso di vero reinserimento sono molto più solide oggi.

C’è comunque un’altra considerazione da fare. Prendiamo l’indulto, tanto per cambiare (che era giusto fare, intendiamoci, e probabilmente non si sarebbe potuto fare diversamente): le persone sono uscite come se fosse un fine pena, quindi scaraventate nella libertà, in gran parte hanno solo anticipato di pochi mesi l’uscita. Pensiamo a quelle stesse persone in misura alternativa: l’assistente sociale che le segue costantemente, magari pure lo psicologo, perché oggi gli UEPE dispongono anche di queste figure professionali, in più i controlli di polizia, che ci sono, e non infrequenti. Allora una domanda resta lì in sospeso tra una statistica e l’altra: qualcuno pensa che i cittadini siano più a rischio se le persone escono prima in queste condizioni, rispetto al “che si facciano tutta la galera, non un giorno di meno”? Chi garantisce alla società più sicurezza, chi è più attento al Bene comune, quello scritto con la lettera maiuscola per dire che è una priorità, e lo è senz’altro, del resto? E come si misura questo benedetto rischio? Si misura con delle statistiche e dei dati certi, o con la “percezione del rischio” che ha la gente, bombardata da messaggi televisivi che dicono che questo o quello è “già fuori dalla galera”, senza specificare che magari lo è in attesa di processo, e se il processo lo condannerà ci rientrerà eccome, in galera?

Un consiglio, poi: guardatevi certi telefilm americani, che il loro sistema penale lo spiegano molto meglio di quanto fanno certi nostri telegiornali e certi programmi di “informazione” rispetto al nostro, di sistema. Lì nessuno si scandalizza se uno paga la cauzione ed esce dal carcere in attesa di giudizio, la differenza è che se succede da noi, con i tempi dei nostri processi, uno rischia di rientrarci dieci anni dopo, quando la Giustizia andrà a prelevarlo inesorabile, se succede in America dopo sei mesi quella persona sa già il destino che la attende. Perché, allora, non ci scandalizziamo di più per i tempi eterni dei processi, e un po’ meno per un sistema, quello delle misure alternative, che dà speranza a chi sta dentro di uscire non in “caduta libera” a fine pena, ma anche a chi sta fuori di ritrovarsi persone meno incattivite e più “attrezzate” per la libertà?

 

 

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