|
Storie di ragazzi che nella loro vita hanno già visto guerre, emigrazioni e dolori, come se fossero vecchi di cent’anni
Le testimonianze dei giovanissimi "detenuti" dell’IPM del Pratello di Bologna
Articoli in italiano, ma anche in albanese, arabo e altre lingue: è "l’internazionalissimo" Strada facendo, il giornale dell’Istituto Penale Minorile di Bologna, dove le testimonianze dei giovanissimi "detenuti" sono pubblicate in italiano, ma anche nella loro lingua d’origine. Un giornale quindi che è davvero un serbatoio di storie di ragazzi, che nella loro vita hanno già visto guerre, emigrazioni e dolori, come se fossero vecchi di cent’anni, ma anche un incontro di culture, ed è triste che questo confronto tra italiani e immigrati, ricco di spunti e di idee, avvenga più facilmente in un carcere che fuori, nella società. Ma chi ha voglia, "fuori", di confrontarsi con quelli che sono considerati oggi i principali "attentatori" alla nostra sicurezza?
La Redazione
Parla Oltian
Ciao carissimi amici albanesi. In questa vita capiamo molte cose ma non quando si deve. Questa cosa l’ho capita adesso però è passato del tempo. Quando ero bambino non la pensavo così era tutta un’altra cosa che non riesco a spiegarvi. In carcere ho capito molte cose, qui dentro è brutto ma non come pensate voi, il carcere mi ha dato molta esperienza. Qua dentro ci sono molti ragazzi disperati voi potete pensare che sono dei deficienti ma non lo sono affatto, sono dei ragazzi bravi e sanno rispettare gli altri e lasciare una buona opinione per se stessi. Voi potete pensare e dire che questo non vuole dire niente, ma questi ragazzi sono degli innocenti i veri deficienti non li prendono. E qua concludo la conversazione.
Ciao a tutti i miei amici. Oggi vi volevo raccontare un po’ della mia vita. Io sono cresciuto in montagna, nel 1995 avevo 11 anni e lavoravo in campagna con mio nonno; andavo a scuola, ma non regolarmente perché la mia maestra aveva solo 22 anni. Immaginate un po’ voi come stavano le cose in terza media e poi le cose sono andate male per le armi e per la guerra. In Albania le scuole sono state chiuse e i bambini spaventati per quella cosa che gli sta succedendo, le persone morte da tutte le parti. Di più erano i bambini che non sapevano cosa erano le armi, giocavano con le bombe perché loro non sapevano con che cosa stavano giocando, sapevano che erano le bombe, ma non sapevano che quelle ti prendono la vita. Nel 1998 io avevo 14 anni e come tutti gli altri anche io avevo le armi. Le armi ti fanno perdere la pazienza. Io stavo vicino a mio nonno, lui mi diceva di stare lontano dalle armi perché ti prendono la vita, ma io non credevo alle sue parole finché un giorno è morto il mio amico. Quel giorno è stato il giorno più difficile della mia vita e nello stesso giorno ho buttato le armi che avevo e nel 26.01.2000 sono venuto in Italia. Quando sono venuto in Italia sono andato a Bologna e ho lavorato come muratore e poi sono andato a San Benedetto, dove ho lavorato con il pesce per un po’ di tempo. Dopo è venuto anche mio padre e siamo andati a Verona dove ho trovato un lavoro come giardiniere. Anche quel lavoro non è durato tanto e poi siamo andati a Rivoli Veronese, abbiamo lavorato con la potatura. Quando abbiamo finito lì mio papà mi ha portato in Sicilia per non lasciarmi con gli amici che avevo perché erano dei bastardi. In Sicilia ho lavorato da molte parti, ma il lavoro che mi è piaciuto di più era l’idraulico nella zona di Enna a Valgurnera vicino a Piazza Armerina. Sono rimasto 5/6 mesi in Sicilia e sono tornato a Bologna dove ho frequentato degli amici che rubavano. Anche io ho cominciato a rubare ed eccomi dove sono finito: in carcere! Sapete perché sono finito qui? Perché non ho sentito cosa mi diceva mio padre e chi non sente i genitori finisce sempre male, come me.
Parla Said
Sono partito per l’Italia due anni fa. Qui ho trovato alcune cose che vengono dal mio paese. Appena arrivato sono andato subito a Torino e lì ho visto che c’era la Moschea, dove sono andato anche a pregare. Sono stato anche in un ristorante di cucina marocchina e le cose erano cucinate bene. Erano buone, come le nostre! Sempre a Torino ho incontrato un mio compaesano, Rachid, che mi ha ospitato e anche tanti altri miei compagni di Casablanca. Sono andato anche a trovare mio cugino che è sposato e ha una figlia, nata in Italia. Era bello perché con tutti loro potevo parlare l’arabo. Ho persino trovato un marocchino che ha un salone e taglia i capelli! Anche qui a Bologna ho visto che c’era la Moschea, ed ero contento perché potevo andare a pregare. Qui ho incontrato qualche altro mio compaesano e sono andato a mangiare in un ristorante vicino alla stazione. Ho mangiato il cus-cus, la harira (una zuppa che si beve dopo le 5,30 durante il Ramadan) e gli spiedini di mucca ed ho bevuto il tè marocchino. Mi piaceva andare a mangiare marocchino, ma ora dovrò aspettare quando ho il processo. Speriamo di uscire!
Io sono venuto in Italia due anni fa. Avevo 12 anni, sono arrivato con il camion dei vestiti tedesco nascosto dentro i completi. A Tangeri sono salito sul camion che era parcheggiato. Ero con altri due ragazzi di Tangeri che non conoscevo. Non avevo paura ero comodo tra i vestiti solo avevo paura della Dogana che i poliziotti del Marocco, i più bastardi, mi scoprivano. Sono stato 10 ore senza bere né mangiare e pensavo a mia madre e all’Europa, poi dormivo e non parlavo niente con gli altri 2 ragazzi. Fuori Madrid sono sceso. Ho tagliato il tendone del camion e tutti siamo scappati. Poi sono andato in stazione di Madrid e ho preso il treno per l’Italia, per Milano.
Parla Adil
Sono arrivato in Italia un anno e mezzo fa. Sono partito dalla Tunisia per andare a Pantelleria. Io però sono algerino e da Annaba ho preso l’aereo per Tunisi (600 mila = 3000 dirham): era di notte e ci vuole 23 ore perché la prima lancia si è rotta e noi siamo dovuti tornare indietro. Eravamo 45 uomini, io il più piccolo. Tutti stavano seduti vicini vicini e non c’era niente sopra, si vedeva l’acqua e pesci grandi, lo squalo. Io avevo paura di morire annegato o mangiato dallo squalo, e poi avevo paura dei poliziotti a Pantelleria. Quando sono sbarcato la polizia ci ha preso tutti e 45 e ci ha mandato nei centri metà in Sicilia metà a Lecce, io a Lecce. Da Pantelleria in traghetto a Trapani e poi con il pullman della polizia a Lecce. Sono stato al centro per un mese e poi mi hanno fatto andare via perché sono minorenne e il centro è per maggiorenni. Sono andato per un tempo alla comunità di Lecce e poi sono andato a lavorare a Brescia e dopo finito il lavoro di saldatore in nero, che mi piaceva, sono arrivato a Torino.
Parla Edo
Apolide. Senza cittadinanza mi dispiace di non avere una patria. Di genitori zingari bosniaci. Nato in Italia a Torino. 29 gennaio 1986. Abitante a Parma da 12 anni. Campo nomadi aeroporto Via dei mercati. Non sposato celibe disoccupato. Attualmente detenuto a Bologna. Presso carcere minorile Via del Pratello n° 34 Per furto in attesa di processo. Che la dea bendata sia con lui.
Mi manca l’amore, un’anima gemella, penso che sia fantastico avere una ragazza accanto a sé nei momenti di gioia e di dolore, io quando vado in centro vedo delle coppie e mi sembra di morire io provo ad avere una ragazza ma non ci riesco forse perché sono molto timido poi non è che provo così tanto perché penso quando le dirò che sono uno zingaro non la rivedrò più.
|