|
Quelli che “creano insicurezza” Non siamo solo delinquenti dell’Est La colpa più grave, che noi delinquenti stranieri abbiamo, è quella di spingere un intero popolo, quello italiano, a trovare rifugio in governi autoritari che non riescono tanto a combattere noi, quanto a togliere diritti e libertà ai loro stessi elettori di Elton Kalica Discutere oggi in Italia con chi chiede più espulsioni per gli stranieri pare difficile, dato che sono più o meno d’accordo in tanti. Da ogni parte provengono posizioni intransigenti che a molti stranieri e anche a molti cittadini italiani incutono paura, perché fanno pensare a un ritorno agli anni bui del razzismo. Ma io credo che si possa cercare sempre di ragionare, e far ragionare: basta riuscire a mettere per un attimo da parte questo provvedimento così “drastico e irreparabile” che è l’espulsione. La strada più semplice sembra ovviamente quella di eliminare il problema, e cioè richiudere i confini e bloccare la circolazione delle persone che vengono dai paesi dell’Est europeo. Però, anche ammettendo che questa sia una soluzione che funzioni, e cioè che riesca a bloccare i flussi dei delinquenti provenienti da quei paesi, bisogna tenere sempre in mente che quelle persone, se non vedranno cambiare le condizioni in cui vivono a casa loro, se non si creeranno per loro prospettive di miglioramento, continueranno a voler scappare e a venire in Italia, anche con la prospettiva di restare ingabbiati nella clandestinità: una condizione di vita questa che, sappiamo, porta a vivere alla giornata e spesso spinge a delinquere. Io sono albanese e nel 1995, all’età di diciannove anni, sono emigrato in Italia seguendo alcuni miei coetanei che scappavano non solo perché convinti che qui ci fosse una gigantesca Hollywood, ma soprattutto perché, in quei primi anni di transizione da un regime comunista a un sistema liberista, le riforme economiche e la rapida privatizzazione avevano portato al licenziamento dei nostri genitori, che non riuscivano più a garantirci nemmeno i pasti quotidiani. Ma oggi la situazione non è tanto diversa nel mio Paese, e non c’è da stare tranquilli. Sono più di dieci anni che sono in carcere e per questo non so come si vive fuori. Tuttavia mi basta ritornare con la memoria agli anni in cui io stesso vivevo clandestinamente per immaginare il clima. E qui devo aprire un altro capitolo, che è quello della criminalità straniera, sempre più colpevole del malessere dei cittadini italiani, dell’odio e della paura in cui sono costretti a vivere gli italiani: ma la colpa più grave che noi delinquenti stranieri abbiamo è quella di spingere un intero popolo a trovare rifugio in governi autoritari che non riescono tanto a combattere noi, quanto a togliere diritti e libertà ai loro stessi elettori.
Io sostengo che la criminalità straniera non è assolutamente più crudele di quella italiana, però ho sempre saputo che è capace di fare più danni, nel senso che il delinquente italiano dedito ai furti e agli scippi, o al traffico di droga, è spesso un “cacciatore” molto attento, che ruba il necessario per non lasciarci lo zampino, e quando ha svaligiato un appartamento o fatto una rapina, per lui la giornata di “lavoro” è finita. Porta il guadagno a casa e rimane con i propri figli. In questi anni ho conosciuto parecchi criminali italiani e dai loro racconti di malavita ho capito che loro per lo più non sono ingordi, anzi, spesso conducono una seconda vita “regolare”, tranquilla, senza mai eccedere. Mentre gli stranieri, che vivono di furti o scippi, nella maggior parte dei casi non hanno un ambito familiare che li tenga sotto controllo, obbligando ad una facciata di normalità anche il più grande delinquente, e hanno invece una specie di voracità che ha origine anche nella storia dei loro Paesi. Quindi spesso gli stranieri, anche se svaligiano un appartamento e il colpo si rivela cospicuo, oppure se scippano un anziano che ha appena ritirato la pensione, non hanno una famiglia tranquilla da cui ritornare alla sera, quindi ritornano in strada a trovare un’altra casa con la luce spenta da svuotare, oppure una anziana da scippare. E non si fermano, ma vanno avanti per settimane, per mesi. Ecco perché ci sono sempre più reati di questo tipo, è in ragione di questa voracità che la maggior parte di loro finisce in carcere con una montagna di anni di galera da fare. Non si può parlare di criminalità dell’Est dimenticandosi di come si vive oggi in quei Paesi In Italia è diventata ormai una convinzione generale quella che i Paesi dell’Est, con l’Albania in testa, producano continuamente delinquenti. Quando parlo di legalità racconto spesso del primo bar privato aperto a Tirana, che il padrone ha chiamato “Bar Berlusconi”. Faccio questo perché ho visto come passare così bruscamente dai modelli marxisti-leninisti ai dogmi berlusconiani sulla libertà ha confuso molti adulti in quegli anni, ma soprattutto questo cambiamento ha scombussolato i più giovani. Il modello economico adottato oggi dall’Albania, nell’illusione che la transizione all’economia di mercato possa essere eseguita d’un colpo, ha portato al disfacimento dell’apparato statale e conseguentemente alla distruzione della coesione sociale, alla perdita di ogni senso di legalità da parte di molti cittadini, alla radicalizzazione dell’ineguaglianza e alla discriminazione delle persone, che all’improvviso hanno perso anche quei diritti precedentemente garantiti. E l’Occidente ha le sue responsabilità rispetto a questo disastro. La realtà è che oggi l’Europa si trova a dover gestire flussi di persone che sono cresciute in un clima di cambiamento, dove veniva esaltato il dio denaro e il mondo continuava ad essere descritto come una giungla dove non c’è amore per il prossimo, ma sopravvive chi è furbo e individualista. Io ho finito il liceo nel 1994 e ricordo che in quel periodo, se qualche secchione parlava ancora di uguaglianza, di solidarietà, di pacifismo, di diritti sociali e culturali, veniva zittito e accusato di essere un comunista o uno stalinista.
Non sono un nostalgico del passato, però non si può parlare di criminalità dell’Est dimenticandosi di come si vive oggi in quei Paesi. Se oggi l’Occidente deve affrontare la pazzia della criminalità dell’Est, non sta facendo altro che raccogliere i frutti prodotti dall’albero delle menzogne che così astutamente ha piantato per cinquant’anni, utilizzando i media e ogni altro mezzo di comunicazione per convincere chi viveva nei paesi socialisti che solo il liberismo portava benessere. Invece, un liberismo sfrenato e una specie di democrazia introdotta a una velocità vertiginosa di fatto hanno causato una massiccia disoccupazione, con una conseguente emigrazione di massa, nonché una catena di effetti disastrosi sulla ridistribuzione del reddito e della ricchezza. Al giorno d’oggi, nessuno sa più cosa dire alle persone che vengono qui in Italia sicure di trovare il paradiso proiettato nel loro immaginario dalla televisione, fatto di ville con piscina, di macchine costose e di belle donne. Chi ha sostenuto per anni che i comunisti mangiavano i bambini, oggi non sa come spiegare ai romeni e agli albanesi che in Italia ci sono sì delle leggi da rispettare, ma le leggi non valgono più quando devi andare a lavorare per dieci ore, in nero, magari sotto un padrone che viaggia in Ferrari e va a prostitute straniere. Nessuno sa come far capire agli immigrati confusi che qui si è liberi di sperare, di parlare, ma per mangiare, per vestirsi e per avere una casa ci vogliono i soldi. E se poi qualcuno, per avere la Ferrari, la villa e le donne viste in televisione, decide di andare a rubare o a sfruttare, non basta che lo mettano subito in galera, gli devono far prendere anche condanne spaventosamente alte, e poi, quando ha finito la pena, lo espellono dall’Unione europea per dieci anni. La parola “espulsione” ricorda a tutti che non viviamo affatto in un grande villaggio globale Se da un lato ci sono alcuni stranieri idioti che vengono in Italia e pretendono di vivere una vita da film, dall’altra parte ci sono anche dei “bravi” politici, degli “ingenui” giornalisti e degli “indignati” delinquenti locali che non solo non sanno fare un ragionamento responsabile su questo, ma vogliono usare questo fenomeno per coprire altri problemi più grandi, vogliono diffondere paura nelle persone in modo che la gente, spaventata, si dimentichi della povertà in cui vive e dica magari: “Chi se ne frega di quel che succede dei miei risparmi, dei prezzi alti e degli sprechi! proteggetemi dagli stranieri”. È assurdo come le vittime del crollo del socialismo reale non siamo stati soltanto noi, poiché ho l’impressione che gli stessi furbi che prima hanno ingannato noi dicendo che qui era tutto Beverly Hills, adesso ingannano voi dicendo che noi siamo tutti tagliagole. E allora, diffondendo paura e odio, la frase che echeggia ovunque è “ci vuole il pugno duro”, che poi si risolve nella richiesta di espulsioni immediate e massicce. “Espulsione” però è una brutta parola, che fa male non solo a noi ma a tutti, perché ricorda alle persone che esiste un confine nazionale e che non viviamo in un grande villaggio globale, ma che gli italiani hanno delle grandi mura che delimitano il proprio Paese. Espulsione è una parola che non indica solo l’atto di prendere una persona per l’orecchio e allontanarla dal Paese, ma che tratteggia con minuziosità anche una linea di confine che separa gli italiani dal resto del mondo, e da lì il passo è breve per arrivare a pensare che qualsiasi cosa venga da fuori non può essere che il Male. Mi domando soltanto se sia un bene per gli italiani tornare a costruire confini e a erigere muri. Mi domando se poter dare liberamente la caccia agli stranieri non significhi invece ritornare ad aumentare anche il controllo sui cittadini italiani stessi. Mi domando se questi confini, invece di difendere dagli stranieri, non diventino delle gabbie per gli italiani stessi. Intanto, oggi tutti discutono sull’argomento “espulsioni”, e per fortuna c’è ancora una contrapposizione tra chi è d’accordo e chi no. Ma io intravedo una cosa molto grave in ciò che questo dibattito produce: nessuno si accorge che si sta radicando nella mentalità di una nazione intera l’esistenza di una linea separatrice, di un confine ideale che divide il dentro dal fuori: “dentro” ci sono quelli buoni, quelli civili, quelli ricchi, quelli vincenti, una razza superiore, mentre fuori si sono i cattivi, i barbari, i poveri, i perdenti, una razza inferiore. Ed è una cosa che non si può prendere alla leggera, perché questo atteggiamento potrebbe continuare a radicarsi nelle menti e nelle coscienze di tutte le persone, anche nelle generazioni future, se non si comincia a pensare a soluzioni diverse, che non discriminino e che non facciano dello straniero il male assoluto che si cura soltanto con l’espulsione. Dunque io penso che da un lato bisogna avere fiducia nell’Unione europea, che con i suoi parametri e con le condizioni che pone ai Paesi membri, dovrebbe spingere anche i Paesi dell’Est ad un livello di benessere comparabile a quello presente nel resto dell’Europa, e allora saranno sempre meno i delinquenti romeni o slavi che verranno in Italia, se non altro perché avranno da rubare a casa loro. Mi rendo conto però che, per quanto riguarda la reale e giustificata paura che c’è oggi in Italia, purtroppo è difficile porvi rimedio ed è chiaro che, finché ci sono persone che scappano di casa alla ricerca di un posto migliore in cui vivere, ci saranno anche quelli che, così come è successo a me, si lasceranno irretire dalla delinquenza, anche se sono cresciuti in una famiglia dai valori sani. Ma non dare loro nessuna possibilità, puntare solo alla loro esclusione, forse è una scelta che alla lunga non paga.
|