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Per
quanto riguarda tutto quello che ha a che fare con il sesso, in carcere noi
arriviamo ad auto – anestetizzarci
Sesso e carcere, questa volta ne parlano gli uomini detenuti Di
sentimenti, di amori e anche di sesso si dice che le donne, e le donne in
carcere in particolare, riescano a parlare con più sincerità e meno pudori. Ma
la discussione tra le donne della Giudecca su questi temi, franca e a volte
brutale, pubblicata sull'ultimo numero del 2003 di Ristretti, ha suscitato nei
detenuti della redazione di Padova parecchie reazioni, e anche la voglia di
rispondere con uguale franchezza. Ecco
il risultato, questa volta davvero "senza peli sulla lingua". Quando uno esce non va a cercarsi una donna di cui innamorarsi Elton: A me piace la sincerità di Giulia quando dice che lei è una che
riesce a separare il sentimento dal sesso. Credo che questo, per la maggior
parte degli uomini, sia una cosa abbastanza facile, lo facciamo più facilmente.
Forse ci saranno altri che la pensano diversamente, ma, dopo anni di galera,
quando uno esce fuori secondo me non va a cercarsi una donna di cui innamorarsi,
va a cercarsene una per recuperare il tempo perso, in pratica per fare sesso e
basta. Franco: Per quel che mi riguarda, io spero di continuare come nei giorni in cui
sono andato in permesso, e ho visto che non è cambiato niente, il carcere non
mi ha cambiato molto. Sul discorso che dopo la carcerazione uno rimane bloccato,
in difficoltà, per me anche questo non è vero. Ornella: Intanto, Franco, cerca di fare qualche distinzione: se tu hai una
compagna e un rapporto in qualche modo solido e sei stato dentro poco più di un
anno, non mi pare sia questa la situazione di cui parlavano le donne. Loro
parlano di gente che è stata parecchio in carcere e che non ha un legame fuori
e quindi, quando esce, cerca qualcuno, ed è lì che nascono molte difficoltà. Franco: Se non avevano un legame solido prima, o l'hanno perso durante il
loro percorso, allora la cosa è molto diversa, perché è chiaro che uscendo
non troveranno nessuno ad aspettarle. Le donne in genere hanno questa capacità di aspettare, di sacrificarsi Ornella: Secondo me è più facile che gli uomini trovino delle persone ad
aspettarli fuori, proprio perché le donne in genere hanno, più o meno, questa
capacità di aspettare, di sacrificarsi. Franco: I tempi però sono cambiati, adesso quando si conosce qualcuno in
discoteca, o in qualche locale, prima si va a letto e poi ti dicono il nome.
Loro invece, intendo le donne della Giudecca, hanno dei blocchi mentali non
indifferenti. Graziano:
Io posso capire che uno, dopo anni di galera, esce fuori, e per prima cosa pensa
al sesso: quando qualcuno rientra dai permessi, tutti infatti gli chiedono
innanzitutto se ha scopato… io per me invece non mi pongo il problema, quando
uscirò vedrò, è inutile stare a fantasticare. Quanto al resto del discorso,
sull'amore, sul sentimento, credo che possa succedere di incontrare delle
persone con cui si ha semplicemente un'intesa sessuale. Questo non riguarda
solo i carcerati: secondo me, come diceva Franco, oggi le persone si incontrano
in discoteca, neanche si dicono il nome e lo fanno, e certamente non è gente
che ha passato anni in galera, però lo fanno lo stesso senza tanti preamboli.
Probabilmente per chi esce dal carcere ci saranno dei blocchi, o delle difficoltà,
però non sto a ricamarci sopra adesso. Ahmet: Una ragazza, Lidana, ha raccontato che quando lei si trovava in
semilibertà, non c'erano gli spazi e nemmeno i tempi per fare sesso, a meno
di non andare in qualche angolo e farsi una scopata in piedi. Sono d'accordo
con lei, la situazione dei semiliberi, e io l'ho sperimentata, spesso è
proprio quella. Nicola: Non mi sembra bello però, nei confronti delle ragazze, stare qui a
criticarle o a parlare solo di quello che hanno detto loro, e chi cavolo siamo
noi per giudicarle? Partiamo da noi piuttosto, parliamo di noi e non andiamo a
fare le pulci sulle loro affermazioni, altrimenti viene fuori solo una polemica
che ci fa vedere antipaticissimi nei loro confronti. Daniele: Quando si esce dal carcere, ci sarà qualcuno che darà la precedenza
al sesso e altri la daranno ai sentimenti, dipende dalla cultura e da quello che
si trova fuori. Io ho un rapporto stabile e quindi questa preoccupazione non me
la pongo, però penso che affrontare un rapporto affettivo nuovo non sia
semplice. Nicola: Dall'ultima carcerazione sono circa 10 anni che mi trovo in carcere:
con questo argomento si entra un po' nella sfera personale ed io non sono
capace di parlare senza andare diretto sulle cose. La prima volta che sono
uscito dal carcere, dopo quasi 12 anni, premetto che ero entrato che ero un
ragazzo, ne avevo 19 e quando sono uscito ne avevo 31. Avevo fatto l'amore per
un breve periodo prima del mio arresto, e poi mi sono "astenuto
forzatamente" per 12 anni, dunque la prima volta che sono uscito un amico mi
ha detto cosa volevo da mangiare… la mia risposta è stata di portarmi a donne
e così è stato, e però in un certo modo sono rimasto con l'amaro in bocca.
Poi il sesso l'ho fatto quando ho conosciuto una compagna alla quale volevo
bene ed è stato un altro paio di maniche. Quella prima esperienza aveva in
pratica "smitizzato" la mia attesa, deluso ogni aspettativa, annullato tante
illusioni che mi ero fatto prima. Anche perché per un certo periodo ero andato
dietro ai soliti giornali più o meno pornografici che in questi ambienti sono
di prassi, ma fuori, purtroppo, di Claudia Schiffer ce n'è una e io andavo
cercando lei, e la realtà mi è caduta addosso con tutta la sua miseria. Però
tra l'andare a fare sesso e invece innamorarsi e avere una relazione passa una
enorme differenza, perché in quest'ultimo caso si ha complicità, si riscopre
il gusto di avere una compagna, di una carezza rubata in mezzo alla gente. Io
adesso ho una compagna con cui vado d'accordo su tutto e posso assicurare che
un minuto con lei non è paragonabile a 10 ore con le altre. Ho cercato in qualche modo di dimenticare il discorso sesso Marino: Dipende da come avevi vissuto quei 12 anni, probabilmente avevi una
forte ansia d'uscire e di dover fare qualcosa subito con una donna. Io ho
cercato in qualche modo di dimenticare il discorso sesso, non facendone un
problema, ma quasi come non esistesse, quando invece è chiaro che esiste. Nicola: Quella è una forma di difesa, ad esempio la cella dove stavo prima
l'avevo resa sobria, avevo appeso solo un poster della Juventus e alcune mie
foto, ora che sto con un caro amico in una cella piena di foto di femmine nude,
è un bombardamento ormonale dalla mattina alla sera. Graziano:
È capitato anche a me di dover mangiare con davanti tutti i culi appesi al
muro… Nicola: Per quanto riguarda la sfera sessuale in carcere, noi arriviamo ad
auto-anestetizzarci, riusciamo a staccare, isolare quella che viene detta
libido, e penso che sia così anche con le donne. Cerchiamo di pensarci il meno
possibile, impegnandoci in altre cose, ma naturalmente capita anche che il tuo
cervello non riesca sempre a controllare gli impulsi. Graziano:
Infatti, se senti uno che ti arriva in cella e comincia a parlare di donne,
capisci al volo che è dentro da pochi mesi, o ne deve fare poca di galera.
Personalmente, se penso a quando uscirò la prima cosa che mi viene in mente non
è il sesso, ma è di andarmi a fare una nuotata, un giro in macchina, andare a
vedermi qualche luogo bello, che sia una chiesa, un , qualsiasi cosa che non sia
un cubo di cemento, per me il sesso non è la prima cosa. Nicola: Se non è la prima, è la seconda… Graziano:
Negli anni ho sviluppato una buona conoscenza di me stesso e dello scontro tra
le aspettative e la realtà, so che al 90% rischio di rimanere con l'amaro in
bocca, ho la fortuna di riuscire ad immaginarmelo già, forse perché sono più
vecchio di quanto lo eri tu quando ti è successa questa cosa, per cui spero che
accada, ma non è che vada per forza a sforzarmi su una situazione che rischia
di essere deludente. Nicola: Una cosa è se hai un rapporto mercenario, un'altra è se sai
aspettare, e allora sicuramente non ti resta l'amaro in bocca, perché sei tu
che ti crei la situazione e la vedi nascere in maniera naturale. Devi lasciare
che il carcere si sfili da te, pian piano ti devi riappropriare dei tuoi sensi e
del tuo desiderio di stare vicino alla compagna, io ci ho messo quattro o cinque
mesi, non è una cosa così immediata. Se dovessi fare la stessa graduatoria, metterei il sesso prima di tutto Elton: Il carcere, già di per sé, ignora tutte le esigenze che un uomo ha e
tra queste c'è quella di andare a vedere un museo, ma pure il sesso o
l'amore, ognuno poi ha la sua scala d'importanza delle cose. Personalmente,
se devo fare una mia graduatoria, tra il sentimento, e cioè, come diceva
Nicola, tra il fatto che conosci una donna, te ne innamori, stai insieme e hai
quel feeling, ed il sesso, sceglierei il sentimento. Però in un quadro generale
delle nostre esigenze immediate, di quello di cui ci hanno privati, se dovessi
fare la stessa graduatoria, metterei il sesso prima di tutto. È inutile dire
che si è aspettato dieci anni e si può aspettare anche per altri sei mesi,
finché si trova la donna giusta: per quello che sono adesso, nei miei progetti
ed aspettative, io non aspetterò la donna giusta. Graziano:
Non dico che io aspetterò la donna giusta, dico che non è il primo pensiero,
ogni persona è diversa e, diceva bene Nicola, che quando tu esci dal carcere ed
hai ancora negli occhi, nelle mani, sbarre e blindati, secondo me quando vai con
un'altra persona non riesci neanche a toccarla. Andrea: è sempre una cosa individuale, c'è chi lo farebbe subito ed altri
no… Se
hai confidenza con qualcuno che esce già in permesso, sai bene che anche quelli
che vanno in una Casa di accoglienza non hanno la possibilità di fare grandi
cose. Qui
a Padova, per esempio, vicino alla Casa di accoglienza ci sono le prostitute e
la notte basterebbe chiamarle, però ho sentito tanti che mi hanno detto di non
essere riusciti a fare niente. Uno l'aveva addirittura chiamata e l'ha fatta
andare via. Poi
c'è anche chi ci riesce, ovviamente... Franco: A questo proposito bisognerebbe parlare con il carcere, perché quando
esci ti danno (dei soldi tuoi, parlo) pochi euro e con quelli non penso che uno
si possa trovare una prostituta: vai fuori in bolletta, dove vai? O mangi, o
scopi! Francesco:
Quando esco in permesso, ed è già un po' che lo faccio, la mia prima
esigenza è quella di parlare tanto, di comunicare, forse perché il parlare in
situazioni diverse e di cose diverse mi fa star bene: chi passa qualche ora con
me rimane sommerso di parole. Riguardo al sesso, qui dentro ho fatto come fanno
un po' tutti quelli che hanno tanti anni di pena: l'ho rimosso. Nella mia
cella non ci sono donne nude appese ai muri, ed in televisione guardo soltanto
il telegiornale… Ahmet: In carcere ci viene a mancare, in qualche modo, la virilità, anche
perché non ci sono donne con cui atteggiarsi virilmente: siamo tra noi uomini e
se qualcuno si atteggia la sua è considerata una provocazione, e allora uno
taglia corto. Poi quando si esce fuori non si riesce più ad avere nei confronti
di una donna nessun atteggiamento virile, che potrebbe anche essere attraente.
Quando, in aprile, i gatti iniziano a miagolare forte, io mi dico che il giorno
in cui mi hanno cacciato in galera se mi mettevano davanti una donna avevo lo
stesso atteggiamento, mi mettevo là come un deficiente, avevo questi
atteggiamenti per corteggiarla, per portarla al desiderio sessuale. Ma ora non
voglio più atteggiarmi in questa maniera, e da lì forse derivano tutti i
blocchi… Max: È vero che ci sono tutti questi blocchi, ma quando esci dal carcere ti
dimentichi di tutto, hai perso tante cose, ma ne ritrovi altre. Graziano:
Ci sono diverse situazioni, anche in carcere, ed io le ho provate tutte. Ci sono
carceri dove non vedi le donne e carceri, come qui, dove le donne le vedi e hai
a che fare con loro. Però sei sempre in una situazione dove, anche se le vedi,
sai che ci deve essere quello schermo che ti devi autoimporre, perché il
rapporto può essere solo di un certo tipo, professionale, che da un lato ha
degli aspetti positivi, perché ti consente di continuare ad avere una qualche
forma di rapporto con l'altro sesso, ma in realtà può ancora di più
rafforzare quei blocchi di cui parlava Ahmet. Francesco:
Questo è un meccanismo che s'instaura qua dentro e poi te lo trascini
all'esterno. A me è capitato di vedere donne deluse perché non ero
abbastanza intraprendente: hanno in testa il cliché dell'uomo che esce dal
carcere affamato di sesso e non capiscono cosa hai passato. Naturalmente non
possono saperlo, se non glielo spieghi… Graziano:
Lo stereotipo di uno che esce dal carcere è di una persona che, finalmente, non
è stanca tutte le sere… Francesco:
Quello è il discorso, e poi subentra la delusione se non le salti addosso! È
una cosa abbastanza frastornante che, comunque, ognuno affronta alla sua
maniera. Poi se uno esce e ha la moglie non è detto che anche con lei funzioni
tutto bene, dopo dieci anni di carcere. Il discorso di pensare alla persona
detenuta come uno che ha represso per tanti anni la propria sessualità e ha
quindi bisogno di sfogarla, è sbagliato in partenza. A forza di reprimerla
impari a farne a meno e dopo non è così semplice ricominciare, devi essere
rieducato anche da questo punto di vista. Non soltanto una rieducazione dal
punto di vista sessuale, ma anche affettivo: alcune forme di affettività te le
sei scordate e devi impararle daccapo. Con le donne ti viene più facile
instaurare un rapporto d'affetto fraterno, mentre è più difficile iniziare
un rapporto erotico, ma anche solo di sentimento amoroso, perché sono anni che
lo immagini soltanto, non lo vivi realmente. Elton: Non lo so qual è la sensazione che si prova all'uscita, perché devo
ancora uscire, ma posso immaginarla: sicuramente so come si sente uno dentro il
carcere e mi rendo conto di quello che ho perso stando qui. Francesco:
Secondo me ti rendi esattamente conto di quello che hai perso soltanto quando
esci, mentre sei qui lo puoi solo immaginare e spesso sbagli, perché la memoria
gioca brutti scherzi quando si deve nutrire per anni degli stessi ricordi. Graziano:
Sono immagini mentali, che perdono il sapore, l'odore. Tornando sul sesso,
temo che quando si esce dal carcere, dopo molti anni, possa ripresentarsi una
situazione del tipo adolescenziale, e cioè hai l'urgenza di farlo, che poi
per l'80%, tranne poche persone
che non so se siano sincere, e che dicono che a 15 - 16 anni il primo rapporto
è stato bellissimo, il più delle volte si risolve in un'esperienza
deludente, ma bisognava farlo. Andrea: La cosa è soggettiva, e quindi c'è chi ha l'urgenza di farlo, chi
non vede l'ora di uscire per andare a farsi la scopata, chi no; io oggi non so
se lo farò subito o no. Ahmet: Il discorso che facevano le donne era che bisogna fare sesso… erano
solo un po' divise sul fare sesso con sentimento e amore o se farlo solo per
il gusto di farlo. E sono donne: noi che siamo maschi ci stiamo chiedendo se
bisogna farlo o no!? Io
dico che il sesso bisogna farlo, solo che a farlo con la persona che ami lo fai
con sentimento, viceversa se lo fai solo per il gusto, o il bisogno di farlo,
non è così semplice. Quando voi parlate di fare sesso, o l'amore che dir si
voglia, io non so se Elton parli di fare questo atto sessuale con una
prostituta, perché se un uomo, dopo tanti anni che non ha rapporti sessuali,
esce poi dal carcere, credo che sia molto difficile che si possa trovare una
donna subito, e anche se ci riesce io credo sia difficile farlo serenamente,
senza avere nessuna paura e nessun complesso di essere in grado di soddisfare
questa donna. Elton: Forse tu dici questo basandoti sulla tua esperienza, io parlo in
astratto e di ciò che penso, ma se devo risponderti non sto a guardare se
l'ho soddisfatta o meno, l'importante è che lo sia io, almeno per la prima
volta. Ahmet: Tu hai detto che quando uscirai, prima di trovare l'amore e la donna
giusta, la prima cosa che vuoi fare e devi fare è quella di fare sesso, e non
incontrerai problemi, anch'io credo non li incontrerai, visto che ne parli così
con gusto… Elton: Ho letto quello che è successo a Christine, lei aveva questa voglia,
che tra l'altro credo si presenti nella maggior parte di noi e poi, fatta
questa esperienza, lei si è sentita male, pentendosi d'averlo fatto,
sentendosi umiliata. E mi ha fatto pensare anche quello che mi ha detto Nicola,
che aveva fatto l'amore con una prostituta, e pure lui si è sentito male,
umiliato; ora vorrei capire in che cosa consiste questa umiliazione, perché io
credo che quando uno esce dal carcere e ha in mente di andare a fare sesso non
debba sentirsi umiliato. Ahmet: Si sente umiliato perché fa una cosa forzata, che viene fatta per
obbligo. Marino:
Io penso che se stai in carcere un anno, due o dieci, pensi di uscire e di fare
sesso con un po' di romanticismo, ed invece spesso si esce e ci si trova una
cosa completamente diversa, che magari non era proprio quella che desideravi e
volevi. Andrea: I problemi comunque sono tanti: qualcuno raccontava di non riuscire a
raggiungere l'orgasmo. Ma c'è anche chi ha il problema opposto e ha
l'eiaculazione precoce, perciò la delusione non è che la dai solo alla
donna, ma anche tu sei deluso da questo fatto, perché le aspettative che ti sei
costruito si infrangono prima che finisci di spogliarla. Elton: Allora ci riprovo… Andrea: Ma questo lo puoi fare se hai una moglie, se hai una compagna, se però
sei con una appena conosciuta, questa non resta lì, e non hai la confidenza per
affrontare la situazione, per cui non è la stessa cosa. Elton: Allora, con le analogie che si facevano prima, cioè quando fai
l'amore a 15 - 16 anni e rimani deluso o ti senti male, a me non è successo e
non mi sono sentito male, se non ci riesco dopo anni di carcere e lei è delusa
e se ne va, pazienza, me ne cercherò un'altra. Graziano:
Prima di finire in galera non è che appena conoscevo una ci andavo a letto,
c'era sempre una gradualità di cose, andavi al cinema, a cena, così ti
conoscevi un po'. Adesso, con la mia esperienza, dico che quando uscirò -
magari poi non lo farò - ma la mia idea è di riappropriarmi gradualmente dei
piaceri, cioè un bel ristorante, mangiare bene, un buon bicchiere di vino, le
belle posate, etc. Le esperienze sensoriali sono necessarie per avere un tuo equilibrio psichico… Francesco:
Aldilà del rapporto con una prostituta, che è un commercio, con una donna di
solito si instaura una relazione più complessa, quindi non credo che una donna
scappi perché non riesci ad avere subito un rapporto sessuale soddisfacente,
credo che non siano tutte lì le aspettative di una donna… Ma
c'è un altro aspetto, più sottile se vogliamo, ed è che stando in carcere
ti disabitui completamente al
contatto fisico, affettivo, con le altre persone. Se non fai colloquio con i
tuoi famigliari non hai mai occasione di abbracciare qualcuno, di scambiare del
calore umano. Da questo punto di vista mi sembra che le detenute tra loro siano
più naturali, mentre noi siamo più complessati, molti si fanno perfino la
doccia senza spogliarsi, per pudore verso i compagni. Graziano:
Qui dentro, l'unica volta che ti toccano è quando vieni perquisito! Francesco:
Le esperienze sensoriali sono necessarie per avere un tuo equilibrio psichico…
il fatto di toccare un'altra persona, di essere toccato, sono importanti e in
carcere questo non c'è. Poi, quando esci, fai fatica a riprendere dei
comportamenti normali: ad esempio io abbraccio tutti, donne e uomini, mentre qui
dentro non mi va di farlo. Ornella: Discutendo con le donne è venuto fuori che durante gli anni di carcere
ti costruisci dei castelli, ti immagini una storia bella, romantica, poi quando
esci, soprattutto se non hai pazienza, la realtà si rivela molto meno bella dei
sogni e subentra la frustrazione. Graziano:
Forse è anche una questione culturale, perché ad esempio Elton, essendo
albanese, non idealizza le donne come facciamo noi italiani, che abbiamo
succhiato il dolce stil novo fin da bambini. Elton: Guarda che io sono molto cavaliere e prima di tutto viene la mia donna.
Sin dall'inizio ho detto che la cosa principale che spero di trovare è
l'amore, perché la cosa che manca di più qua in carcere è il sentimento.
Però ho sottolineato anche che io non ho una ragazza, che magari verrà con il
tempo, ma nel frattempo non starò ad aspettare, e andrò a togliermi questa
soddisfazione. Riguardo alla nostra cultura, io reputo che la donna sia
valorizzata a dismisura: è lei che viene prima e poi vengono le esigenze
dell'uomo, io conosco molti uomini del mio paese che sono romantici e
cavalieri… Graziano:
Io comunque sostengo che questa tendenza all'idealizzazione della donna, che
c'è in Italia, non è una cosa positiva. Ornella: Ma cosa vuol dire "tendenza all'idealizzazione"? Graziano:
Che siamo dei mammoni! Ornella: Ma quella non è tendenza all'idealizzazione, è una tendenza molto
comoda. Graziano:
Si crea un'immagine della donna che poi, con la realtà, ha poco a che fare. Ahmet: Quando io ero fuori in articolo 21 sono stato assalito da una ragazza
che era appena uscita dal carcere. Io la volevo tirare per le lunghe, le dicevo
di aspettare, di conoscerci meglio, ma lei mi ha risposto: "Che te ne frega…
buttati!". Ornella: Va bene, ma questa ragazza tu la conoscevi, invece c'è chi dice
esplicitamente che lui, per non aspettare neanche un po', è andato con una
prostituta. Nicola: Se esci dal carcere dopo dodici anni, vorrei vedere chi ti aspetta…
Ad un mio amico, che era uscito, ho chiesto com'era andata e la risposta è
stata che aveva speso 50.000 lire per una scopata e 100.000 lire per il Viagra! Andrea: Mi raccontava uno, che viene da un carcere del meridione, dove non ci
sono assolutamente presenze femminili, dove le donne non le vedono neanche
passare, che quando è arrivato in questo carcere ed ha parlato per la prima
volta con l'educatrice, o l'assistente sociale, gli tremava addirittura la
voce. Pensa se esce dal carcere e va con una donna… quanto può essere
drammaticamente difficile… Sesso,
affetti, relazioni interpersonali: le barriere che accomunano carcerati e
disabili Ne parla Adriana, mettendo lucidamente a confronto la sua disabilità con la condizione di privazione e disagio dei detenuti di Adriana Belotti Sono
Adriana, una ex studentessa di psicologia che ha scelto come argomento per la
tesi di laurea proprio la redazione interna al Due Palazzi e che ha iniziato a
partecipare alle riunioni settimanali a scopo di studio. Una volta laureata ho
deciso di continuare a frequentare quelli di Ristretti Orizzonti perché ritengo
che la loro attività sia un esempio molto valido di come, anche all'interno
di un mondo difficile e statico come è il carcere, si possa diventare strumento
di indagine critica della realtà e soprattutto protagonisti autoconsapevoli di
processi di cambiamento, seppur ottenuti a piccoli passi. E
poi, naturalmente, perché in redazione ho "sentito" un clima molto
accogliente nei miei confronti e mi sono affezionata a tutti i "bad boys"
che ne fanno parte. Un
giorno, in redazione, è stato affrontato un argomento "caliente":
affettività e carcere. Quel giorno io non c'ero. Ho deciso allora di scrivere
di affettività e sessualità. L'ho deciso perché quel giorno non ne ho avuto
l'occasione e penso di avere delle idee in merito. Spero di riuscire a farlo
con leggerezza, serietà ed ironia. Ogni
volta che penso alla sfera dell'affettività e della sessualità mi convinco
sempre più di come vivere bene questa dimensione (o dimensioni, ma io
preferisco considerarle un tutt'uno) sia un casino un po' per tutti, o per
lo meno che ciascuno di noi, in certi momenti della sua vita, si sia sentito
vulnerabile ed indifeso, magari in balia del
tornado dei suoi sentimenti o di quelli altrui. Se
è vero che ciò che riguarda gli affetti è spesso causa-effetto di reazioni,
emozioni e sensazioni difficili da gestire razionalmente anche quando chi
esperisce questo rientra nella cosiddetta "normalità" (sarebbe
interessante anche approfondire il discorso sul senso dei concetti "normalità" e
"anormalità") è altrettanto palese che la situazione si
complica quando intervengono delle anomalie, delle diversità, degli "scarti
dalla norma". Nel
momento in cui ciò si verifica, parlare di affettività e sessualità diventa
fastidioso, blasfemo, indecoroso, insomma diviene tutto ciò che scandalizza la
morale dei benpensanti. Per
fortuna ci sono persone come quelle che "bazzicano" in redazione, convinte
che lo scandalo sia spesso una necessità inevitabile per rieducare la "normalità" a cui accennavo sopra. Penso
che in rapporto alla dimensione affettiva, i detenuti rappresentino uno "scarto dalla norma". Penso che anch'io potrei essere definita o
rappresentata così nella testa di molti. è in galera anche lei? - vi
chiederete. No, come ho spiegato prima, la frequento ma non ci "abito". Ritengo
però di avere un segno particolare (oltre a quello di essere bellissima, tanto
per dirla con Celentano in uno dei suoi film): ho una disabilità motoria e,
ancor prima che la mia persona, sono conosciute (e temute) le mie scorribande "in sella" al mio prode destriero Uendi, la carrozzina elettrica con cui
terrorizzo tutti, dentro e fuori la galera. Quest'informazione
non l'ho fornita a caso: riflettendo infatti sul dilemma dell'affettività
per un detenuto mi sembra di aver individuato delle analogie (ma anche delle
differenze, visto che si tratta di due realtà diverse tra loro) con lo stesso "problema" che spesso vive o
potrebbe potenzialmente vivere una persona con disabilità. Mi
rendo conto di correre il rischio d'incorrere in facili generalizzazioni e
spero di non attirarmi le ingiurie di tutti quei disabili che hanno una vita
affettiva attiva e soddisfacente (del resto anch'io, ahimè anni fa, ho avuto
una "storia" per cui sono la prima ad essere possibilista in merito a
questo, non nascondendo tuttavia una certa dose d'invidia nei confronti dei,
spero numerosi, fortunati!) ma sarebbe miope non ammettere come questa
dimensione sia generalmente ancora tabù anche per questa categoria di persone
(e la mia riflessione riguarda volutamente solo gente affetta da menomazioni
fisiche o sensoriali per l'esigenza di delimitare il campo e non uscire fuori
tema, ma ciò non significa negare il diritto all'affettività a chi ha un
ritardo mentale o altre forme di disagio psichico). Ho
"tirato in ballo" nonché chiamato in causa la mia disabilità (e quella di
tanti altri, forse indebitamente) perché è pensando a questa in rapporto
all'affettività che mi sento di poter essere forse maggiormente in grado di
avvicinarmi a comprendere empaticamente come quest'ultima venga vissuta in
carcere, o perlomeno di cogliere degli aspetti comuni alle due realtà. Due
cose mi vengono in mente: la prima è una paura immediata. La paura del
contatto. Della nostra fisicità in rapporto a quella dell'altro. Paura di "non ricordarsi più come si fa", di non essere all'altezza della
situazione - potrebbero essere alcuni dei timori che attanagliano la mente di un
detenuto. Che, ad esempio, non sono molto differenti dalle "ansie da
prestazione" (così direbbero gli esperti) di quelli che, come me, magari
hanno qualche problema motorio in più della media e temono ciò possa
pregiudicare inevitabilmente gli ipotetici momenti d'intimità con un
ipotetico/a partner. Mi
ricordo che, prima di aver provato l'esperienza di coppia, ero solita fare
dell'autoironia con gli amici, dicendo loro che avrei potuto mettere un
annuncio sul giornale-sezione "Annunci per cuori solitari"- tipo: "A.A.A.
Sadica (a causa della mia patologia, a volte, ho delle distonie, cioè dei
movimenti involontari incontrollati che possono essere anche di una certa
intensità ed in quei casi… ‘ndo cojo cojo, come si suol dire!) cerca
masochista per rapporto stabile e duraturo… insieme ci divertiremo un
mondo!". Battute del genere, insomma, volte sì a sdrammatizzare ma
sicuramente specchio di mie ansie reali e palpabili (che mi sembra l'aggettivo
adatto, visto il tema!). Avrei
desiderato partecipare alla famosa riunione in redazione per capire se
effettivamente fossero emersi anche tra i ragazzi dei vissuti di inadeguatezza
rispetto ad un confronto tra la propria ed altrui fisicità e sessualità,
simili a quelli a cui accennavo sopra, riferendomi alla realtà carceraria. Non
dimentichiamoci poi che i detenuti hanno una "sfiga" in più rispetto alle
persone disabili: mentre infatti, queste ultime, pur non "scopando" o
facendolo poco, hanno comunque la possibilità di un confronto, sebbene ahimè
spesso quasi solamente intellettuale, con l'altro sesso, esiste soltanto una
piccola percentuale di reclusi che riesce ad avere contatti abbastanza frequenti
con volontarie ed educatrici e ciò disabitua anche solo al confronto, senza per
forza considerare la questione dal punto di vista dell'interesse sessuale. è
fuor di dubbio quindi che in entrambi i casi "paranoie" comprensibilissime
come quelle sopra menzionate non sono dissipabili con le teorizzazioni, ma solo con il rapporto ed il confronto reali
con l'altro sesso, perché è unicamente quando le cose sono vissute che i
fantasmi mentali ed i preconcetti scompaiono. Sono
fortemente convinta (anche perché l'ho sperimentato sulla mia pelle) che il
coinvolgimento emotivo e sentimentale tra due individui possa essere definito
come l'alchimia che rende possibile l'unione profonda tra queste persone e
proprio questa particolarissima intesa riesca a far superare lì sul momento il
panico da prestazione e le varie altre ansie di cui ho scritto. Ed alla fine,
anche usando un po' di ironia reciproca nell'affrontare magari la propria ed
altrui goffaggine iniziale, la situazione, almeno per ciò che riguarda
l'intesa sul piano fisico, "fila via liscia" e di questo sono sicura perché
l'ho vissuto. La dipendenza che accomuna disabili e detenuti Ritornando
alla questione originaria, quella dell'affettività ed il carcere, mi sembra
quanto mai logico ed anche banale affermare che, se è vero che il sesso solo
pensato mutila, inibisce e disadatta, sarebbe quanto mai utile incentivare
quelle politiche che facilitano il mantenimento dei legami affettivi, anziché
ostacolarli. Esiste
invece un'altra questione da considerare, meno evidente a prima vista, ma che
a mio avviso è molto più pericolosa da neutralizzare. Anche questa accomuna
disabili e detenuti, sebbene si spera che nel secondo caso interessi solo le
fasi della detenzione e quella del primissimo reinserimento di un ex recluso. È
la questione della dipendenza! Penso
che una persona in carcere senta molto il peso della dipendenza dall'esterno.
Una dipendenza che spesso è legata ad esigenze materiali ma che è anche e
soprattutto psicologica, il che implica un forte legame con il discorso sulla
responsabilità. Cercherò
di spiegarmi meglio anche se è da relativamente poco che rifletto
sull'argomento e spero di saper esporre le poche e ben confuse idee che mi
ritrovo in modo abbastanza chiaro. Il
carcere, così com'è ora, penso che possa indurre l'individuo a sviluppare
una massiccia dose di dipendenza da tutto ciò che è altro da sé. E questo
perché la sua libertà decisionale è vincolata, bloccata nelle fitte maglie di
un'istituzione totale che decide e regola ogni aspetto della sua vita. Stando
così le cose, mi risulta impossibile non pensare a quanto l'autonomia e la
capacità individuale di prendere iniziative e decisioni ne risultino
inevitabilmente mutilate. Secondo
me, infatti, la galera, privando i reclusi della possibilità di coltivare e
mantenere le loro relazioni sociali ed esercitando un controllo totale e
totalizzante sulle loro vite, fa sì che una volta ritornati ad essere uomini
liberi per la legge, gli ex detenuti non si sentano tali in tutto e per tutto.
Cioè non si sentano più capaci di organizzare la propria vita in modo autonomo
ed indipendente ed avvertano tutto
il peso delle difficoltà che uno
deve affrontare quando esce di galera. I
più "fortunati", per come la vedo io, sono quelli che non sono soli nel
portare sulle spalle questo fardello. E qui entro nel vivo di quello che, a mio
parere, è il secondo problema collegato alla gestione dei rapporti affettivi
per detenuti ed ex detenuti. Chi
è recluso o ex recluso ha forse un bisogno maggiore del sostegno dei propri
cari rispetto a loro nei suoi confronti. Questo
si accentua di più nel rapporto con il/la partner, che per natura, è il più
intimo tra i rapporti. Allora
è come se il rapporto fosse da gestire su due piani: uno orizzontale, in quanto
si tratta di una relazione tra due esseri adulti, che hanno raggiunto una certa
dose di maturità e che quindi interagiscono in modo paritario. Uno verticale,
perché una delle due parti ha bisogno di appoggiarsi
di più sull'altra ed inevitabilmente quest'ultima avvertirà il peso della
responsabilità che deriva da questo rapporto un po' squilibrato. E
pure nelle relazioni intime (ma anche non) tra disabili e "normodotati" si
verificano contemporaneamente
questa simmetria e asimmetria, perché anche in questo caso esiste sia un
rapporto paritario sia un rapporto di dipendenza tra due individualità pensanti
e "pulsanti emotività". L'equilibrio
tra dipendenza/indipendenza, asimmetria/simmetria lo vedo piuttosto fragile e
facile alla rottura in entrambi i casi. È questo ciò che personalmente mi
preoccupa di più. Credo
che accorgersi ed essere consapevoli di questi meccanismi sia già un grosso
passo avanti e sia utile per cercare, se non di annullare, per lo meno di
ridurre gli effetti negativi che tale stato di dipendenza può provocare. C'è
da ribadire che, nel caso dei detenuti e ex detenuti, esiste la consapevolezza
della transitorietà di tale squilibrio nei rapporti, transitorietà determinata
dalla speranza che l'individuo riacquisti prima o poi la propria indipendenza
psicologica e che, in virtù di questo, la relazione si riequilibri. E questa,
ad esempio, è una differenza importante tra il recluso ed il disabile il quale,
nella maggior parte dei casi, deve fare i conti con la propria dipendenza da
altri tutta la vita. Tuttavia
ritengo che, sia nell'uno che nell'altro caso, sia importante che
all'interno di un rapporto si cerchi di darsi gli strumenti per riflettere
sugli aspetti relazionali di un certo legame tra due persone, non soffermandosi
solamente su quelli di contenuto, ma affrontando anche il delicato tema della
responsabilità, impegnandosi insieme per evitare che nella coppia (ma anche nel
rapporto amicale, parentale, etc.) si verifichi una iper-responsabilizzazione da
un lato ed una de-responsabilizzazione dall'altro e per cercare, per quanto
sia possibile, di definire e ridefinire costantemente le responsabilità proprie
ed altrui. Mi
rendo conto che le mie sono "belle parole" e di come nella pratica tutto
risulti essere più complicato ma, per il momento, questa è l'unica soluzione
che ho individuato. Solo
un brevissimo accenno ad un'altra barriera comune a carcerati e
disabili, ostacolo per lo sviluppo di relazioni interpersonali ed
affettive: il pregiudizio e la paura della gente "normale" nei
confronti del diverso. Questo atteggiamento spaventa perché rende difficile
l'avvicinamento di mondi differenti ed è di ostacolo al cambiamento culturale
e del pensiero collettivo. Forse
qualcuno obietterà che il paragone tra il mondo del carcere ed il mondo della
disabilità o diversabilità (come va di moda dire adesso) riferito al tema
dell'affettività e della sessualità, è un po' "tirato per i capelli".
Forse ha pure ragione. Ma penso che quando si affronta
un argomento così delicato e complicato sia estremamente arduo non
partire dal proprio vissuto personale. Ritengo
inoltre che se non avessi preso spunto dalla mia storia passata e presente,
nonché dalle riflessioni che ho fatto sulla mia esperienza, questo scritto
sarebbe risultato più sterile, meno "sentito" e "vissuto". Quindi
spero siate comprensivi e non critichiate eccessivamente chi, con la penna (o,
per meglio dire, il computer), è solo alle prime armi. Ringrazio tutti voi dell'attenzione e Ristretti Orizzonti per avermi offerto la possibilità di dire la mia su un tema così stimolante.
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