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Il mondo "A rovescio"
Uno spettacolo messo in scena dal TAM Teatromusica
di Francesco Morelli e Nicola Sansonna
L’ultima produzione del laboratorio di teatro–carcere del TAM risale al 2000, quando fu presentata una rivisitazione del "Pinocchio" di Collodi. Con i responsabili del TAM, Michele Sambin e Pierangela Allegro, ci eravamo un po’ persi di vista… poi è arrivato in redazione questo messaggio: "Caro Francesco e caro Nicola, da parecchi mesi stiamo lavorando alla creazione di un nuovo spettacolo teatrale, nato dal laboratorio che quest’anno abbiamo proposto all’interno del Due Palazzi. Attualmente siamo in una fase in cui, sia a noi sia agli attori, farebbe bene mostrare ciò che abbiamo creato ad occhi esterni di fiducia. Ho pensato a voi perché avete già avuto esperienze in campo teatrale e in quanto, attraverso "Ristretti Orizzonti", potreste descrivere anche criticamente i risultati del nostro lavoro (…). Non aggiungo altro, perché spero proprio che il mio desiderio di vedervi nella sala teatrale del Due Palazzi si avveri e che quindi si possa parlarne tutti assieme. Vi aspettiamo!" Per noi, che in passato abbiamo partecipato ai laboratori del TAM, era difficile resistere a questo invito… l’esperienza del teatro-carcere è qualcosa che lascia un segno in chi l’ha provata. Magari, all’inizio, i detenuti-attori sono così impacciati da non riuscire a pronunciare una parola in pubblico ma poi, col tempo, diventano capaci di esprimersi senza imbarazzo, di interpretare con dignità il proprio ruolo, insomma di "stare in scena". Siamo arrivati nell’auditorio del carcere mentre erano in corso le prove. Molti dei compagni già li conoscevamo, perché ci incontriamo nelle sezioni e nei corridoi ogni giorno, però in scena li vedi sotto un’altra luce… Lo spettacolo che stanno costruendo mette assieme elementi di letteratura (da Aristofane a Beckett) e di mitologia (Teseo e il Minotauro) con le idee e le suggestioni fornite dagli attori–detenuti, che possono così "raccontare" pezzi della propria vita, quella prima del carcere e quella attuale. Sono per la maggior parte stranieri, quindi è naturale che mettano in scena la storia di un viaggio, dall’esito incerto, accompagnato da speranze e da angosce, come accade a chi parte verso un paese che "crede" di conoscere, per averlo visto in televisione, oppure perché ne ha sentito parlare dagli emigranti che tornano in patria. Al termine del viaggio, infatti, trovano un paese diverso da come l’avevano immaginato, pieno di stranezze e contraddizioni. Questo luogo senza nome assomiglia molto a un carcere, con i suoi giorni "sempre uguali", come dicono le parole della canzone che fa da colonna sonora all’intero spettacolo: "Noi che uomini siam stati, noi ci siamo trasformati, qui viviam senza pensieri, e il doman é uguale a ieri". A Pierangela Allegro, regista dello spettacolo, abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa dello spettacolo che stanno allestendo. Si intitola "A rovescio" e racconta la storia di un viaggio compiuto da due personaggi, Dritto e Cacasotto, alla ricerca di un mondo diverso. Lo troveranno e faranno la conoscenza anche dei suoi abitanti, strani personaggi che ubbidiscono a un capo che pensa a tutto e che decide per loro i tempi e modi del comportamento. In questo mondo diverso la cosa più straordinaria è che non c’è più memoria delle cose più semplici come giocare, mangiare, pensare, ricordare... tutto si è congelato, negli animi degli abitanti, almeno fino all’arrivo dei due stranieri, che con i loro atteggiamenti faranno riscoprire tutte le cose dimenticate, li risveglieranno, finché alla fine…
Quando prevedete di fare la "prima"? A metà di aprile la faremo sicuramente qui in carcere, fra il 5 e il 12. La rappresentazione interna la faremo con persone che vengono anche da fuori, l’équipe del TAM e altri invitati, come si é fatto ogni anno. Quindi manteniamo il solito proposito di fare lo spettacolo dentro e poi di fare una uscita al teatro delle Maddalene. C’era l’idea di farlo anche in altri teatri: il Comune aveva richiesto che, successivamente all’uscita alle Maddalene, portassimo lo spettacolo in un paio di teatri di quartiere, per far conoscere ed estendere l’esperienza, ma a questo punto mi sembra un’utopia, perché le difficoltà sono sempre legate ai permessi. Il problema del teatro-carcere è sempre quello, se si vuole portare il lavoro fuori ci vogliono i permessi.
Come è nata l’idea dello spettacolo di quest’anno? Michele ha fatto un laboratorio propedeutico. All’inizio partecipavano più di quaranta persone, un numero molto alto. Si comincia con la conversazione sui motivi che spingono a fare teatro. In seguito ha iniziato a insegnare a portare la voce, la gestualità, il corpo, a usare la relazione con l’altro. In pratica siamo ripartiti da zero e, dopo i primi mesi, si è fatta una scrematura. Solo dopo, a novembre, è arrivato il copione.
Per un lungo periodo non siete più venuti dentro: esiste il rischio di perdere il TAM? Rischi nella vita ce ne sono sempre: abbiamo avuto un anno di black-out, poi abbiamo deciso che, anche se non c’era un incarico ufficiale, anche se il nostro lavoro non veniva riconosciuto come doveva, non potevamo restare per un altro anno ad aspettare. Poi l’incarico è arrivato. Noi ci siamo sentiti anche più legittimati a proseguire un’attività che nasce come passione e piacere. Lo dicevo questa mattina ai ragazzi, prima di iniziare le prove. Loro si stupiscono perché a volte sono nervosa, agitata, ma è carattere, è passione, il teatro ha bisogno anche di questi scossoni. Ma è anche un mestiere. Io vivo di teatro, non sono un’insegnante, non siamo volontari. Quindi se non abbiamo un finanziamento dall’esterno noi non possiamo tornare qua, anche se lo volessimo. Sono questi gli equilibri. Ora c’è questo riconoscimento, attraverso una convenzione biennale, quindi quest’anno e l’anno prossimo il TAM ci sarà.
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