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Quando la realtà supera l’immaginazione
La legge Fini su droghe & dipendenze, di Susanna Ronconi - Forum Droghe
Il corpo del tossicodipendente, si sa, è storicamente conteso dal magistrato e dal medico: tutte le leggi che si sono susseguite hanno diversamente dosato questa miscela. La persona che usa sostanze un po’ è deviante (secondo una impostazione di tipo morale e penale) e un po’ è malata (secondo un approccio medico): assai raramente l’approccio è sociale, assai raramente il consumatore di sostanze è un cittadino con un certo stile di vita che può avere, da questa sua scelta, conseguenze dannose e problemi personali. Ci abbiamo provato con la riduzione del danno, a proporre questa immagine del consumatore. Ma questo è tutto un altro discorso… Così anche il disegno di legge governativo in materia di droghe e dipendenze - chiamiamolo impropriamente "Legge Fini", perché AN è il partito che fin dai primi giorni del governo Berlusconi, nel 2001, aveva annunciato la sua crociata verso la "guerra alla droga" – sta tutto dentro questa spartizione, ma sceglie di far pendere la bilancia pesantemente dalla parte della morale e della sanzione penale. Non che la "terapia e il trattamento" non compaiano nel testo, anzi; ma la cura, oltre a non essere più una libera scelta, diventa l’ancella subordinata della punizione: basta leggere gli articoli relativi ai percorsi "forzati" verso le comunità terapeutiche (con tanto di obbligo per gli operatori-carcerieri di denunciare il mancato rispetto del patto terapeutico, come si trattasse di un reato!), o l’indicazione data agli operatori Ser.T. di usare il metadone solo a scalare e solo per obiettivi di astinenza, con buona pace della libertà terapeutica e della individualizzazione della cura. La legge, oltre a incarcerare e punire, compie anche una operazione culturale che ha a che fare con i diritti di cittadinanza basilari e con la costruzione di una percezione sociale del consumatore di droghe ancor più stigmatizzante di quanto non lo sia già oggi: pericolosità sociale e incapacitazione (non saper "intendere e volere", insomma) sono i suoi cardini. Pericolosità e incapacitazione che colpiscono tutti, a prescindere da storie e individualità: pensiamo agli effetti devastanti che questo può avere sui consumatori più giovani e "ricreativi", che si troveranno ad essere da ragazzini che sperimentano a criminali e malati. La legge è complessa – 112 articoli – ma il suo impianto è semplice e chiaro. La sanzione penale, innanzitutto: si torna a prima del referendum del 1993, con cui gli italiani avevano votato contro il consumo personale visto come reato penale e contro la "dose media giornaliera", quella quantità di sostanza fissata per legge al di sopra della quale anche il semplice consumatore poteva diventare per legge – e senza bisogno che l’accusa dimostrasse alcunché – uno spacciatore. Dunque: con la nuova legge rientra dalla finestra l’articolo 72 della vecchia legge Jervolino-Vassalli, l’articolo-manifesto che dice che consumare è un reato penale (anche se riguarda solo il consumatore e non lede i beni di nessun altro!), e detenere sostanze al di sopra di un certo dosaggio trasforma chiunque in uno spacciatore, cui caso mai spetta l’onere della prova a discolpa (e dato che per tutti gli altri cittadini invece vale l’onere della prova a carico dell’accusa, ne deduciamo che ci sono dei non-cittadini: i consumatori di droghe). E i consumatori trasformati in spacciatori vedono innalzarsi le pene, anche grazie all’unificazione delle sostanze in un’unica tabella, dalla cannabis al crack: da 6 a 20 anni! L’ipocrisia di aver fissato a 6 anni la pena al di sotto della quale si può accedere a forme alternative non cambia il risultato: a fronte di pene altissime, l’alternativa è un percorso lunghissimo (quale operatore degno di questo nome può immaginare un percorso terapeutico di 6 anni?) e coatto in comunità, con operatori che la legge costringe a denunciare alla magistratura ogni piccola infrazione, riavviando il circolo vizioso carcere-comunità-carcere. Senza contare – e basta leggere le cifre delle pene alternative – ciò che già oggi ci dice la giurisprudenza sui tempi lunghi e sulle maglie strette che fanno sì che le alternative non siano per tutti e soprattutto non siano per chi ha pene lunghe da scontare. Non solo, ma con l’articolo 76, reintrodotto ex novo, si definiscono «provvedimenti a tutela della sicurezza pubblica» che non sono in alternativa alle sanzioni, ma in aggiunta: se sei "uno di strada", con qualche piccolo reato sulle spalle, o anche solo hai avuto "misure di prevenzione e sicurezza", ti ritrovi "socialmente pericoloso" e sottoposto a tutta una serie di norme di privazione della tua libertà di movimento. Un esempio? L’«obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato, negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici»: che ci dice chi sono, per Fini e compagni, quelli pericolosi… Ma cosa accade "sotto" la dose media? Scattano, come nella legge vigente, le sanzioni amministrative (particolarmente odioso il ritiro della patente, che spesso serve non solo per vivere ma anche per lavorare, e il "coprifuoco" serale, nonché l’obbligo a non frequentare certi locali ecc), ma con qualche significativo cambiamento: non c’è più l’ammonizione del Prefetto, ma si passa subito alla sanzioni anche per i comportamenti più insignificanti; i periodi di durata della sanzione sono triplicati; se non si osservano le sanzioni scatta il carcere fino a 18 mesi. Stiamo dicendo che accade questo per uno spinello, non per spaccio: 18 mesi di carcere! Se poi gli spinelli superano la famosa dose media (nel caso della cannabis, 250 milligrammi), magari perché un consumatore non desidera avere continuamente rapporti con il mercato nero, ma preferisce avere a casa la sua personale riserva, allora si entra nella fascia di pene tra i 6 e i 20 anni! Non è difficile fare un esercizio di immaginazione e pensare a cosa può diventare il circuito carcerario con l’entrata in vigore di questa legge.
I rischi drammatici che sono insiti nel trasformare un ragazzino che fuma uno spinello in un malato da trattare e un criminale da rinchiudere
Tornando alla sanzione penale, se poi, una volta criminalizzati e penalizzati, si vuole accedere alle pene alternative, si hanno a disposizione o un percorso terapeutico coatto e prolungato fino a 6 anni (!), che prevede la punibilità del carcere se non viene rispettato, oppure anche i cosiddetti "lavori di pubblica utilità", che forse sarebbe più utile chiamare lavori forzati, disciplinarmente regolati e che è possibile scontare anche in comunità. Dato da non sottovalutare: una massa di forza lavoro gratuita e non garantita che potrebbe far funzionare e produrre le comunità-impresa, e che sarebbe destinata al rientro in carcere qualora non rispettasse la disciplina del lavoro… Tutto l’impianto della legge non fa che creare artificiosamente la massa dei nuovi utenti delle comunità, che dovrebbero così diventare da luoghi di cura liberamente scelti a sistema integrato al sistema penale di cui entrano a far parte in modo inscindibile. Tant’è che la parte maggioritaria, non punizionista, delle comunità, si sta massicciamente schierando contro questa legge al grido di "non siamo carcerieri". E a fronte di questo strapotere carcerario delle comunità, la legge dà un colpo mortale ai servizi pubblici, che vengono svuotati del loro ruolo di garanti dell’accesso libero alle cure e posti in posizione di parità con gli enti privati: qualsiasi comunità che rispetti alcuni standard (che sono davvero minimi) potrà fare diagnosi – cioè decidere chi è dipendente e chi no, prescrivere il trattamento e anche attuarlo. Insomma: nessuno avrà un potere di controllo, e se una mamma porterà il suo ragazzo poniamo a San Patrignano, là potranno decidere che usare uno spinello significa dipendenza, che questa dipendenza implica la comunità e che questa comunità può durare anche qualche anno. Ne avranno il diritto e il potere. E a proposito di potere sui consumatori, molte altre cose sono da leggere con attenzione, nella legge: per esempio che le sanzioni previste dall’art 76 sono comminate dal questore e non dal giudice, cosa che delinea un indiscutibile di meno di garanzie; oppure che gli insegnanti sono vincolati a segnalare ai genitori eventuali sospetti sui figli… del resto, più in generale, tutta la partita droghe è stata sottratta al Ministero del Welfare (che si occupa di affari sociali) per trasferirla a un prefetto che fa capo direttamente al Consiglio dei Ministri, come accade negli USA con lo "zar" delle droghe. Insomma, "dal sociale al penale". La legge non è ancora passata. Abbiamo poco tempo, ma lo abbiamo. In Parlamento, grazie agli sforzi di molti, tra cui il cartello nazionale "Dal penale al sociale", che sta raccogliendo molte adesioni, tra cittadini, operatori, politici, gente della cultura e dello spettacolo, consumatori e associazioni, è stata depositata una proposta di legge alternativa, che ruota attorno alla non punibilità del consumo individuale, alla sua completa depenalizzazione, al rafforzamento delle strutture pubbliche e della libertà di cura, alla riduzione del danno. In tutto il paese si stanno moltiplicando iniziative pubbliche e costruzioni di reti e cartelli per opporsi con forza al rischio di una legge liberticida e criminalizzante. Chi in carcere vive e, d’altra parte, chi il carcere lo gestisce ha di fronte una prospettiva cui dovrebbe con forza gridare "NO!": per il danno ulteriore che il carcere porta alle persone che hanno problemi di disagio e di salute, per la ferita ai diritti di chi consuma senza compiere alcun reato, per la insostenibilità di un circuito penitenziario popolato da altre decine di migliaia di consumatori. Per i rischi drammatici – infine ma non ultimo – che sono insiti nel trasformare un ragazzino che fuma uno spinello in un malato da trattare e in criminale da rinchiudere. Abbiamo ancora sotto gli occhi le morti dei ragazzi impiccati nelle celle di tante carceri nel 1992, prima che il referendum rendesse loro, almeno parzialmente, giustizia. Dal penale al sociale si chiama l’appello nazionale che sta circolando in tutta Italia: perché le droghe siano trattate come una questione della società e non come un lavoro da poliziotti e carcerieri.
Quantità di sostanza stabilite dalla legge al di sopra della quale scatta l’ipotesi di spaccio (in milligrammi)
Per saperne di più sulla legge Fini e sulla controproposta di legge, e per leggere l’appello "Dal penale al sociale" e dare la propria adesione: www.fuoriluogo.it. Per leggere il testo del disegno di legge Fini: www.ristretti.it
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