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Minori senza difese
Quando si rovista nell’intimo di due ragazzini come se fosse immondizia abbandonata per strada
La telecamera inquadra i fogli fitti di parole e disegni. L’obiettivo indugia su cuoricini e parole scritte con calligrafia quasi infantile. In sottofondo due attori professionisti interpretano i testi in un dialogo che ricorda più una pessima soap opera che le difficoltà di espressione e la povertà di linguaggio di due adolescenti di oggi. Un sapiente montaggio riesce a far coincidere la parola scritta, quella vera, autentica, quella dell’assassina e del suo complice-amante, con quella parlata, quella che più autenticamente dovrebbe interpretare, tra sospiri e un corretto uso del diaframma, i sentimenti dei protagonisti. Poi lo scenario cambia. Erika rompe con Omar e inizia una nuova corrispondenza amorosa con un altro ragazzo. Ancora macro-carrellate su cuoricini e invocazioni d’amore. Ancora l’attrice professionista impegna tutta se stessa in un drammatico crescendo di "Ti amo" e "Ti voglio bene", ripetuti cento volte perché… perché che altro scrivere altrimenti? Ma dall’altra parte non c’è più un attore, un professionista del sentimento. Questa volta c’è il nuovo "fidanzato", un ragazzone di Verona che si esprime con una pesante cadenza veneta. Come se non bastasse, vuole apparire, vuole mostrarsi in televisione, vuole dire la sua e cioè, a conti fatti, niente. Certo, c’è comunque lo scoop, però non è la stessa cosa. La realtà non è all’altezza delle ricostruzioni. Manca il pathos. Per mesi e mesi telegiornali, rubriche leggere e serie si sono rincorsi nel dare in pasto al pubblico ogni aspetto riguardante la vicenda dei ragazzi di Novi Ligure. Diritto all’informazione? Difficile da sostenere. I fatti, le notizie, quelle vere, si riducevano a poche righe sullo stato delle perizie e del processo. L’approfondimento, se così si può chiamarlo, ha riguardato la corrispondenza privata dei ragazzi. Quella corrispondenza che, secondo la Costituzione, dovrebbe essere inviolabile. Ancora più inviolabile quando i protagonisti sono minorenni, soggetti deboli la cui tutela dovrebbe essere ferrea. Ma sembra che in questo caso le varie leggi sulla privacy e sulla tutela dei minori, i codici deontologici dei giornalisti e la Carta di Treviso abbiano subìto in blocco una sospensione in nome di un mal interpretato diritto di sapere. E così si rovista nell’intimo e nel privato di due ragazzini come se fosse immondizia abbandonata per strada. Si "succhiano" emozioni altrui con avidità voyeristica e poi, per giustificare la bassezza dell’azione, si improvvisa un dibattito, spesso infarcito di banalità e luoghi comuni. E allora ecco lo psichiatra che trae spunto dalla palese idiozia del nuovo "fidanzato" di Erika per affermare che esiste una generazione fatta così. E che è colpa della società. Ma, se c’è in giro un’intera generazione di assassini di mamme e fratellini, come si spiega che la vicenda di Novi Ligure è talmente unica, talmente eccezionale da aver monopolizzato gli organi di informazione per oltre un anno? E d’altra parte cosa si potrebbe dedurre spiando le lettere di un’adolescente? Che in fondo mostra sentimenti da ragazzina e quindi non è un vero mostro? Oppure che è ancora più mostro perché, dopo quello che ha fatto, si ostina a cercare una normalità che dovrebbe esserle preclusa? Di una cosa sola si può essere sicuri: non sarà certo in quelle lettere che si potrà trovare traccia del fantasmi che di notte vanno a turbare il sonno di Erika e Omar. Ma, all’improvviso, tutto cambia: i giudici emettono la condanna per i due "fidanzatini". Finisce improvvisamente il gioco del "totosentenza" e il dibattito diventa "più alto". L’interrogativo che ora attanaglia la stampa è: 16 anni di galera sono sufficienti? E se poi gli danno le pene alternative? E’ giusto essere indulgenti con i minorenni o bisogna giudicarli come adulti? E, dulcis in fundo, non sarebbe meglio per tutti se si cominciasse a mettere in carcere anche i dodicenni? E qui salta fuori quell’Italia improntata a un rigore calvinista che poi, misteriosamente, svanisce nel nulla quando si esamina la realtà concreta. E’ l’Italia del "bisogna dare multe salatissime e rimuovere tutte le auto che parcheggiano sui marciapiedi" (tranne la mia, ovviamente, perché ho i miei buoni motivi per lasciarla lì); l’Italia del "bisogna perseguire tutti gli evasori fiscali e sbatterli in galera" (tranne me, ovviamente, perché pago troppe tasse che mi rovinano) e che ora pretende che i ragazzini siano giudicati come adulti e vengano condannati a pene severissime senza la possibilità di recupero (ovviamente i figli degli altri, perché il mio bambino non è cattivo, è difficile, bisogna capirlo).
Graziano Scialpi
Una tutela rimasta sulla carta
La legislazione italiana tutela i soggetti minorenni dagli eccessi dell’informazione con due articoli di legge e specificamente l’art. 13 del Codice di procedura penale per i minori, che prescrive il "divieto di pubblicare e divulgare con qualsiasi mezzo notizie o immagini idonee a identificare il minore comunque coinvolto nel reato" e l’art. 114 del Codice di procedura penale che, al comma 6, vieta "la pubblicazione delle generalità, dell’immagine di minori testimoni, persone offese e danneggiate…". Secondo il dettato legislativo costituisce quindi un reato la semplice divulgazione del nome di un minore, anche se è l’autore di un delitto. E’ possibile ammettere che nel caso di Erika e Omar, vuoi per la natura del crimine, vuoi per gli sviluppi del caso e delle indagini, era praticamente impossibile celare l’identità dei due protagonisti. Tuttavia, oltre agli articoli di legge citati, in Italia esistono altre norme per la tutela dei minori: quelle che si sono date gli stessi giornalisti. E’ sufficiente esaminarle per rendersi conto di come gli organi di informazione le abbiano violate praticamente tutte. Un po’ di storia. Nel 1990 la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e l’Ordine dei giornalisti hanno deciso di fare propri i principi ribaditi nella Convenzione ONU del 1989 sui diritti del bambino. Alcuni di questi principi sanciscono che in tutte le azioni riguardanti i bambini deve costituire oggetto di primaria considerazione "il maggiore interesse del bambino" e che perciò tutti gli altri interessi "devono essere a questo sacrificati" e inoltre che "nessun bambino deve essere sottoposto a interferenze arbitrarie o illegali nella sua "privacy". In base a tali principi, sempre nel 1990, Fnsi e Ordine dei giornalisti hanno stipulato con Telefono azzurro un protocollo di intesa, noto come la Carta di Treviso. In base a questo documento, gli organi di autogoverno dei giornalisti si impegnavano, tra l’altro, a tutelare "la personalità del minore come persona in divenire, prevalendo su tutto il suo interesse ad un regolare processo di maturazione che potrebbe essere profondamente disturbato o deviato da spettacolarizzazioni del suo caso di vita, da clamorosi protagonismi o da fittizie identificazioni". I principi della Carta di Treviso e quelli della Convenzione ONU del 1989 hanno trovato una logica "deduzione" nel capitolo sui minori e soggetti deboli della Carta dei doveri del giornalista, ossia il codice deontologico che regola l’esercizio della professione. Per quanto riguarda la tutela dei minori, sia come protagonisti attivi che come vittime del reato, tale capitolo si esplicita in tre norme piuttosto perentorie, secondo le quali il giornalista:
Tuttavia questi buoni propositi nei fatti sono rimasti lettera morta. Tanto che, nel 1995, Fnsi e Ordine dei giornalisti "in considerazione delle ripetute violazioni della Carta di Treviso", hanno siglato con Telefono azzurro un nuovo documento che ne ribadiva i principi, stilando inoltre un Vademecum per l’applicazione delle normative in vigore. Vademecum nel quale, oltre alle prescrizioni già illustrate, è presente una novità al punto 4, che recita "nel caso di comportamenti lesivi o autolesivi posti in essere da minorenni, occorre non enfatizzare quei particolari di cronaca che possono provocare effetti di suggestione o emulazione". Ma nella vicenda di Erika e Omar, per come è stata trattata, è opportuno citare anche la Costituzione italiana che, all’art. 15, recita: "La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per un atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge". E su questo non c’è diritto di informazione che tenga.
Gr.S.
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