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"Persone
dentro e volontari fuori"
Luca Massari (Volontario della Caritas di Milano)
Buonasera, innanzitutto. Io sono convinto che non sia così difficile, per noi almeno a Milano non è così difficile, riuscire a far parlare di carcere, un po’ perché ci sono esperienze importanti, come quelle interne a San Vittore, che hanno dato la parola direttamente ai detenuti e in modo molto forte, un po’ anche perché effettivamente è un tema che, comunque, una certa attenzione nei giornalisti e quindi poi anche in chi legge, tutto sommato ce l’ha. È molto più difficile parlare dell’alcolismo, per noi, o di discoteca in una maniera più intelligente, che parlare di carcere. Io, per lavoro, giro molto le parrocchie e le realtà anche del seminario: incontriamo una grossa difficoltà, in realtà, su quello che si va a dire sul carcere. Cioè, io credo che la difficoltà più grossa è quella di essere capiti quando si parla con le persone del carcere come luogo ingiusto. Se a una persona si spiega che nel carcere si vive male, il più delle volte questa persona lo ritiene pacifico e normale, il fatto che la giustizia non sia fatta attraverso una sofferenza inculcata su qualcun altro, ma possa essere fatta in un altro modo, è difficile da capire. Qui secondo me è molto importante il richiamo che ha fatto don Ciotti questa mattina sulla possibilità che il codice penale sia radicalmente modificato perché il carcere sia utilizzato soltanto come strumento di emergenza, che si possano vedere le gravità comunque dei reati compiuti, che la gente impari a capire che il fatto che uno non stia in carcere non vuol dire allora che non ha fatto niente, ma che esistono degli strumenti seri. Credo che se vogliamo parlare di informazione ci dobbiamo interrogare molto su come riuscire a comunicare tutte queste cose. Non saprei nemmeno io, sinceramente, cosa dire nello specifico, però dobbiamo parlare molto dei contenuti da comunicare. Sono stati un po’ accennati, però mi pare che questo ci manchi fortemente, e poi, nel metterci insieme, ci manca un’identità nei contenuti e o comunque di intenderci. E questa è la prima cosa. La seconda cosa, che mi sembra importante, sia quella di non partire dal carcere, ma partire da novità, da cose che sono possibili, come per esempio la mediazione penale. Noi sappiamo che con la nuova legge del Giudice di pace, che attribuisce al giudice di pace una serie di funzioni anche penali, è possibile creare dei percorsi concreti dove le vittime sono chiamate, insieme agli autori del reato, ad una mediazione. Sappiamo che nel minorile ci sono sperimentazioni in questo senso. Io credo che anche far conoscere buone prassi alternative al carcere, che già un pochino ci sono e si possono sperimentare, sia un altro grosso livello di comunicazione. Aggiungo che un’informazione come quella che dice che soltanto poche persone sono accreditate presso i C.S.S.A. per occuparsi delle persone in misura alternativa, dal mio osservatorio almeno, non è così negativa, anzi io la leggo in maniera positiva, perché sappiamo che molte persone che sono in misura alternativa, certamente non sono giustamente accompagnate, ma sappiamo anche che molte lo sono, ma non lo sono da dei volontari della giustizia, ma dai volontari che ci sono sui territori, che ci sono nelle parrocchie. Allora, questo per me è un dato molto positivo, pensare che a un certo punto le persone vengano riaccompagnate in un territorio. Per entrare in un carcere mi devo accreditare, per lavorare sul territorio non è sempre indispensabile. Il fatto, quindi, che non si contino queste persone è dovuto al fatto che, probabilmente, in qualche modo sono gli ex detenuti restituiti ad un territorio che se ne fa carico.
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