Meme Pandin

 

Meme Pandin

 

In questo intervento intendo presentare l’esperienza del Servizio "riduzione del danno" del Comune di Venezia, avviato nel 1997 con una scelta molto forte da parte dell’amministrazione comunale. Parlare di "riduzione del danno" nel Veneto non è cosa facile: è una delle regioni italiane che non ha mai sposato questi contenuti, anche se gli indirizzi e le normative non escludono ne limitano interventi di questo tipo. Si tratta solamente di cambiare il linguaggio, di usare altri concetti quali "prevenzione secondaria" o "cura della vita". Il vero problema, a mio avviso, sta, purtroppo, nella cultura dei servizi (Ser.T. e CT), per la gran parte molto legati ad una visione drug free. Il fatto che l’unità di strada sia stata realizzata dall’amministrazione comunale e non dal privato sociale accreditato o dai Ser.T. è la conferma di tale considerazione.

Il servizio nasce con questo slogan: "La riduzione del danno non può essere un camper". Da subito, infatti, l’intervento è stato sviluppato su tre ambiti di lavoro: con i tossicodipendenti, con la rete dei servizi e con il territorio e la popolazione.

Rispetto al target, il servizio si struttura con due unità di strada (una in terraferma e l’altra che opera nel centro storico), un’attività di peer support e interventi in carcere. Alcuni dati ci raccontano che, nonostante gli anni di lavoro in strada, il rapporto con soggetti sempre nuovi continua e si sviluppa, e nello stesso tempo si è stabilizzata la relazione tra i consumatori e gli operatori.

Rispetto alla rete dei servizi, i dati di processo a nostra disposizione testimoniano lo sforzo della nostra esperienza (a volte sgomitando, altre volte godendo di crediti e legittimazioni) di porsi come uno degli elementi del sistema per la cura delle tossicodipendenze. Su questo livello operativo abbiamo investito immediatamente parte delle nostre risorse, il che significa che alcuni operatori sono impegnati a lavorare soprattutto sulla creazione del sistema. Nell’ambito di intervento dedicato al territorio e alla popolazione, infine, si colloca la riflessione rispetto alle politiche di inclusione, indicazione operativa sottolineata nelle famose "Linee guida" di Genova.

Rispetto all’intervento con il territorio ci si è posti due obiettivi: mediare i rapporti conflittuali tra gruppi di tossicodipendenti e comunità (con azioni sul campo, mediazione, attivazione dei diversi soggetti, produzione di materiale informativo) e promuovere una diversa informazione sull’argomento droga (sviluppando un lavoro con gli operatori dei media).

I dati che intendo esporre riguardano il lavoro con i media. Siamo partiti dall’ipotesi che l’informazione rivesta un ruolo fondamentale nella costruzione di immagini sociali e che un’informazione corretta possa rappresentare una variabile importante nei processi di emarginazione. Ci si è posti poi i seguenti obiettivi: sensibilizzare i giornalisti in tema di tossicodipendenza, invitandoli a superare la logica della speculazione infonnativa che spesso caratterizza questi argomenti.

Il tema risente di alcune difficoltà di fondo. Una delle "rimozioni" degli operatori sociali, ad esempio, sta proprio nel riuscire a rapportarsi con i media: sembra che l’operatore sociale non voglia sporcarsi le mani e deleghi al politico la gestione della notizia.

Un’altra difficoltà è che i tossicodipendenti sono stigmatizzati e l’argomento droga si presta a facili distorsioni. Diverse variabili influiscono poi sulla qualità dell’informazione: l’orientamento politico, la cultura del territorio, l’opinione del giornalista, la posizione che occupa il redattore, il ruolo e la credibilità dell’opinion leader che dà la notizia, il periodo dell’anno e gli avvenimenti quotidiani (provate a uscire con una notizia il lunedi, con le pagine piene di sport, O durante l’estate, quando le redazioni sono senza informazioni perché sono tutti in ferie). Ma ancora, influiscono sulla qualità dell’informazione la confezione della notizia, la confezione della pagina, la divisione dei ruoli tra chi scrive - che non fa il titolo tra chi fa il titolo - che a volte non legge nemmeno l’articolo - tra chi mette le foto.

Quali pratiche possono allora contribuire ad una migliore informazione? Nel nostro ambito ne abbiamo realizzate alcune: coinvolgimento attivo di giornalisti dei giornali e delle TV locali; momenti di incontro, formazione e progettazione congiunta tra operatori, giornalisti e tossicodipendenti; conferenze stampa; linea diretta con il responsabile del servizio e amministratori; attività di consulenza ai giornalisti; un’agenzia di comunicazione interna al servizio; una newsletter ("Ladri di biciclette", foglio di contatto gestito dai tossicodipendenti, con uscita ogni tre mesi e che interviene direttamente sui fatti di cronaca locale).

Per capire se queste azioni hanno prodotto risultati abbiamo realizzato una micro-ricerca, confrontando il periodo precedente alla ricerca (dal 1995 al 1997) con quello successivo (dal 1997 al 2000). Abbiamo contato le notizie sul fenomeno droga in entrambi i periodi e abbiamo rilevato che, con l’implementazione del servizio, sono aumentate. Dal momento che parlare di più di droga non significa necessariamente parlarne meglio, abbiamo voluto verificare la qualità dell’informazione, dividendo gli articoli fra "articoli di cronaca nera" e "articoli di dibattito": i primi, nel secondo periodo, sono diminuiti. t;-n altro elemento fondamentale per valutare la qualità è il tipo di fotografia pubblicata. Abbiamo rilevato una maggiore coerenza delle fotografie con il contenuto degli articoli, con una riduzione delle foto relative a reati e consumatori, ed un aumento di quelle di operatori e di attività. Abbiamo infine chiesto un giudizio ai giornalisti tramite un’intervista postale.

Dalle loro risposte emerge il riconoscimento del cambiamento del modo di trattare la notizia da parte dei media locali, con una maggior attenzione al problema, una maggior conoscenza di diversi aspetti del tema, una minore criminalizzazione dei soggetti, un’attenzione più critica, una tendenza a evitare le superficialità.

Alla domanda che chiedeva in che modo il servizio avesse contribuito al cambiamento, alcune risposte indicano la presenza e la disponibilità degli operatori, la buona capacità di comunicazione con i media e la capacità di avvicinare gli operatori dell’informazione alle situazioni concrete, offrendo dati, punti di vista, competenze nuove. Ma questo tipo di attenzione non dovrebbe essere solo una parte del lavoro sociale; dovrebbe diventare una modalità strutturale del nostro lavoro di operatori sociali.

 

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