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Giovanni Greco
Il mio intervento non deve essere inteso come totalmente avulso dai precedenti, anche se necessariamente parlerò di un settore che una legge recente (marzo 2001) vuole in qualche modo attivare e privilegiare. Di fatto nel nostro Paese non esisteva una legislazione in materia di alcol. La legge 125 (cosi fortemente voluta e che ha anche il merito di avere tra i suoi promotori e quale relatore una persona come Rocco Caccavari, che ha lavorato per tanti anni in un servizio per le tossicodipendenze) colloca l’intervento alcologico nell’ambito di un ventaglio di iniziative che oscilla dall’obbligo di operare in virtù di un’idonea formazione, in stretto collegan1ento con gli attori del territorio, all’attenzione e protezione alle famiglie, alla previsione di provvidenze parallele alla tossicodipendenza, all’adeguamento del codice della strada- all’introduzione di norn1e sulla pubblicità e sui consumi in ambito lavorativo (puntelli di protezione sociale dalle morti e dalle disabilità correlate). Innanzitutto la legge ha sottolineato la necessità di definire percorsi di cure specifiche per l’ alcolismo e vedremo che questo non è un problema di luoghi ma di progetti e di programmi. Ha individuato la necessità di sostenere i membri di famiglie sconvolte dal dramma dell’alcol, di valorizzare gli interventi di auto-mutuo-aiuto, che sul territorio nazionale hanno una portata enorme, ma che spesso sono oscurati, soprattutto a livello mediatico, dal potere che altri enti riescono ad esercitare con maggior forzaLa necessità di prevedere una formazione specifica in ambito alcologico, nei diversi percorsi professionali, e la necessità di intervenire in aree critiche come guida e lavoro, fornendo il supporto dell’esperienza alcologica a tutela e difesa sia della persona quanto della collettività, rappresentano passaggi critici della legge. Quest’ultima prevede anche alcuni atti formali. Ne richiamo uno in particolare: l’istituzione della Consulta nazionale sull’alcol. Un passaggio tuttora disatteso, il che è particolarmente grave, e non lo dico semplicemente negli interessi della mia società, che ha un unico rappresentante all’interno della Consulta ma di tutte quelle organizzazioni che a titolo diverso dovrebbero esprimere dei pareri consultivi reali e realistici rispetto alle politiche alcologiche del nostro Paese e che di fatto però non vengono coinvolte. Lo affermo, a maggior ragione, in virtù del fatto che a livello nazionale si stanno riunendo gruppi di lavoro nei vari Ministeri allo scopo di individuare linee di indirizzo che giuridicamente potrebbero essere tramutate in provvedimenti di legge e pubblicati con questa dicitura: "(...) sentita la Consulta nazionale sull’alcol". Sarebbe un falso clamoroso! Anche se quel documento fosse il più moderno, il più costruttivo, il più appropriato in materia, sarebbe invali dato di fatto da questa premessa. Ciò che può offrire di nuovo la legge sull’alcol, in particolare dove dice che si devono creare dei programmi di cura ad hoc per gli alcolismi, è individuare uno spazio di integrazione nell’integrazione. Vi spiego il perché attraverso una premessa. La legge parte da un presupposto che oggi sembra essere completamente abbandonato: gli interventi si devono muovere in relazione alla possibilità che i servizi che li esprimono rispondano a determinati requisiti o standard, ovvero che forniscano prestazioni adeguate ed appropriate. Questo significa che non solo devono essere in grado di venire incontro ai bisogni di quella collettività, ma soprattutto di operare una corretta lettura di quei bisogni. Attivare simili interventi sembra essere diventato un problema: questa strada maestra di garanzia della qualità, già percorsa da molte Regioni, pare disertata per privilegiare il sistema dell’autoreferenzialità. Ieri abbiamo sentito come donne di classi sociali più povere siano ancora oggi, più frequentemente delle altre, sottoposte ad interventi chirurgici radicali quali le isterectomie. Di certo potremmo riflettere sull’accessibilità ai diversi mercati della salute, ma il vero problema che ci dovremmo porre non è nella scelta dell’intervento risolutivo ovvero salvifico, piuttosto sulla possibilità e sull’eventuale natura dell’attività educativa ed informativa proposta a quelle donne, che poi avrebbero potuto comprendere sintomi precoci che, a loro volta, le avrebbero condotte per tempo ad evitare forse tale procedura chirurgica. Dunque, per esempio, che genere di divulgazione e quindi di cultura è stata sviluppata all’interno del reparto di cardiochirurgia per i pazienti sottoposti ad angioplastica? Come sono state spiegate le varie modalità di gestione delle terapie anticoagulanti o delle diete ipocaloriche? Non giustifichiamo tutto con vecchi schematismi di persecuzione di classe, pensiamo piuttosto che le iniziative di educazione e promozione della salute collettiva non sono efficaci ne appropriate per la nostra popolazione e che ad essere maggiormente penalizzate sono certamente le aree di maggiore povertà ma non solo. Ho parlato di integrazione nell’integrazione perché se condividiamo il punto di partenza - ovvero che il fulcro del lavoro sull’alcool è nel territorio (perché è li che nasce il problema, in quella cultura, nel sovvertimento delle tradizioni. nella solitudine delle famiglie) - dobbiamo poi immaginare che nel recupero delle radici e dei riti, nel sostegno allo stare insieme ed alle necessità anche inespresse ma intuibili della famiglia, in una controcultura sociale, troveremo le strade del trattamento. È pure importante recuperare il concetto di alcolismi, perché dobbiamo fare i conti con le diverse realtà problematiche indotte dal consumo, dall’abuso, dalla dipendenza, in fasce di età distinte per aree geografiche e per culture. L’integrazione nell’integrazione ci dice che dovremmo immaginare tanti percorsi dove tutti partecipano in modo coerente e fiduciario, ciascuna entità con rispetto e investimento nelle risorse altrui. Taluni servizi già esprimono al proprio interno ulteriori modelli di coabitazione da individuare nella multiprofessionalità delle prestazioni offerte. L’incontro tra multiprofessionalità di un servizio e multimodalità del territorio esprime al meglio il concetto di "integrazione nell’integrazione". Tale trasversalità dovrebbe in primo luogo investire i servizi sanitari a tutto tondo, comprendendo tra questi anche le strutture ospedaliere. Ancora oggi gli alcolisti ricorrono ai ricoveri con aspettative miracolistiche, indipendentemente dai sintomi e dalle malattie che muovono i curanti a questa scelta. L’idea che territorio ed ospedale si incontrino in queste circostanze, prestandosi operatori, non va solo nella direzione di garantire la migliore qualificazione professionale possibile dell’intervento proposto, ma fa si che il paziente e la sua famiglia non siano abbandonati e dispersi con il loro disagio all’uscita dal percorso di cura e non si disperino al termine degli effetti del miracolo farmacologico. La legge prevede l’esistenza di strutture residenziali anche ospedaliere che non devono essere dislocate in un limbo a se. L’idea è quella che gli operatori del territorio lavorino all’interno dell’ospedale o in collaborazione con la residenzialità, per far si che quel percorso sia veramente un progetto di cura, in cui il paziente sente di essere il protagonista. E comunque non è solo una semplice questione sanitaria. Il coinvolgimento degli Enti locali è doveroso e si spiega con molte semplici ragioni: non si potranno proporre progetti alcologici territoriali di cura se non ci sono dentro i Comuni, perché, per esempio, i destinataTi degli stessi, ovvero i pazienti con problematiche alcool-correlate, con abuso e dipendenza alcolica, in carico ai sevizi, hanno un’età media di quarantacinque anni. Questo vuol dire che sono persone che hanno già espresso nella loro storia un ruolo sociale consolidato, in seguito progressivamente disperso. D’altra parte se andiamo ad analizzare i fenomeni di mobilità sociale ovvero il passaggio da uno status all’altro (frequentissimi nella galassia delle dipendenze soprattutto tra alcolisti e cocainomani), qui più che altrove si verificano i disastri economici, gli abbandoni, gli affidamenti dei minori, i divorzi, le violenze, gli incidenti, le disabilità conseguenti. Pertanto si so stanzia da sé un ruolo decisivo dell’Ente locale: ad esso spetterà, di concerto con le strutture sanitarie, tutto il percorso di reinserimento nel tessuto sociale di cui quella persona ha bisogno. Un altro attore indispensabile è il gruppo di auto-aiuto, vero interprete della cultura del bere di quel mondo e quindi in grado di sostenere e supportare al meglio la famiglia. Un ruolo che può essere incentivato anche all’interno dei servizi specialistici attraverso la diffusione della notorietà dello stesso. Ancora nell’ambito dei progetti di cura, un altro input importante che viene dalla legge è quello della creazione di strutture di accoglienza, ovvero di nuovi percorsi di recupero a carattere residenziale. Anche su questo tema è necessario essere molto chiari: non è accettabile che strutture residenziali che fino ad oggi hanno trattato persone con problematiche legate alla dipendenza e all’abuso di droghe cosiddette illegali, si riconvertano e decidano di accogliere persone con problematiche alcol-correlate. Nell’ottica della corretta lettura dei bisogni di simili pazienti e delle professionalità da mettere in gioco, si deve partire con comunità ad hoc per alcoldipendenti, con progetti inizialmente sperimentali, che possano dare accoglienza a piccoli gruppi e che possano sottostare poi ad iter di verifica. Si dovranno diversificare gli interventi dal tipo esclusivamente pedagogico - educativo, accompagnati dal sostegno alle famiglie, da quelli di tipo riabilitativo, destinati al recupero delle abilità residue, a trattamenti psicoterapeutici individuali e di gruppo, alla cura e monitoraggio delle patologie correlate. Infine due ultime considerazioni. La legge 125 apre un nuovo fronte in materia di intervento dei servizi alcologici: prevede la presenza di medici alcologi all’interno delle commissioni medico legali che giudicano l’idoneità alla guida di soggetti che hanno violato l’art. 186 del codice della strada. È un ruolo nuovo al quale forse non tutti sono pronti. Sarà infatti inevitabile ricorrere prevalentemente ai medici dei Ser.T. o dei Centri alcologici (non esistono altri luoghi ove reperire professionisti qualificati). Si dovranno fare molte considerazioni, tralasciando quelle sulla tutela della collettività - in alcune Regioni gli incidenti attribuibili al consumo di alcol superano il 50010 del totale e sono quelli gravati dalla maggiore mortalità e disabilità residua, specie tra i più giovani, che coniugano ad una non corretta percezione del rischio l’inesperienza alla guida - e ragionando sul singolo. La responsabilità professionale ci richiama al dovere di far si che chi non è in grado di comprendere che il proprio comportamento espone a pericoli di grave nocumento se egli altri sia sensibilizzato e motivato a riflettere sulla necessità di mutare stile di vita o convincimenti che spesso sono frutto di sottovalutazioni o abitudini ancestrali, e non sinonimo di patologia. È infatti assodato che pochissimi tra i pazienti dei servizi si trovano in stato di revisione della patente di guida, forse perché. attraverso le cure, raggiungono livelli significativi di attenzione e consapevolezze. Costoro inoltre si sentono rassicurati dal fatto che la valutazione sul proprio stato sia eseguita dai curanti. Tutti gli altri sono persone che, per raggiungere un analogo livello di attenzione ed auto-protezione, hanno bisogno di interagire con professionisti che, per cultura ed esperienza professionale, sono in grado di trasmettere informazioni ed innescare riflessioni, non sentimenti vessatori. Gli interventi alcologici ci presentano dunque un futuro ricco di prospettive che spero sostengano anche gli entusiasmi che animano i progetti di prevenzione di cui sentiamo parlare in queste giornate, qui a Torino. Un augurio che faccio a tutti noi è quello di trovare sempre coraggio e di lottare contro chi cambia le regole del gioco. Quotidianamente assistiamo a pubblicità televisive che propagandano il consumo di bevande alcoliche associato a sottili fantasie di performance e trasgressione, un gioco pericoloso soprattutto per coloro che, come bambini ed adolescenti, hanno meno strumenti per comprenderlo. Ci sono regole anche su questo, facciamole rispettare.
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