Mauro Croce

 

Mauro Croce

 

Credo sia facile considerare, se si osservano i dati relativi alle spese per giochi d’azzardo da parte degli italiani, come l’offerta di giochi d’azzardo si sia rivelata un ottimo affare economico e soprattutto un ottimo canale per rimpinguare - con il consenso degli interessati - le casse dello Stato. Siamo infatti passati nel decennio ’89 – ‘99 da circa 9 mila miliardi a quasi 36 mila miliardi di vecchie lire spese annualmente in giochi d’azzardo e si calcola che una famiglia spenda in queste attività in media circa 900 euro l’anno, mentre stiamo assistendo ad un proliferare di iniziative che vanno verso una maggiore liberalizzazione o quantomeno verso una maggiore diffusione di forme di gioco legalizzato e di proposte di nuovi giochi. v-a ricordato come a queste cifre vada poi aggiunto l’introito relativo ai videopoker, al Bingo ed al gioco illegale gestito dalla criminalità, A quanto pare questa strana forma di tassazione volontaria e gradita è inversamente proporzionale al reddito dei cittadini, Infatti. secondo una ricerca Doxa il56% degli strati sociali medio-bassi, il 17% degli strati più poveri ed il 66% dei disoccupati impegnerebbero l’equivalente del reddito di sussistenza in gioco d’azzardo.

Se il gioco costituisce un’attività sociale estremamente diffusa e, per la maggior parte delle persone, priva di conseguenze - se non addirittura talvolta funzionale - sempre più evidenti sono gli allarmi ed i problemi ad essi collegati. 1 mass-media riportano fatti di cronaca o testimonianze che svelano quali conseguenze dramn1atiche causi il gioco d’azzardo e sempre più giocatori o loro familiari chiedono aiuto ai servizi pubblici, ai gruppi di volontariato, alle fondazioni antiusura, Chi ha av-uto occasione di parlare con queste persone si rende conto di come ciò che per la maggior parte di noi costituisce una innocua attività di svago, possa diventare per molti una vera e propria forma di dipendenza dalla quale risulta difficile staccarsi e la cui incomprensibilità è spesso evidente agli stessi interessati.

Tuttavia la rappresentazione sociale che abbiamo del gioco d’azzardo è legata all’idea ed allo stereotipo che lo vede circoscritto a mondi distanti dalla nostra quotidianità. Mondi abitati da personaggi quali scrittori geniali e maledetti, artisti, prostitute d’alto bordo: viziosi, dannati e decadenti che dissipano cifre da sogno al tavolo verde. Ma la realtà è molto diversa. Ora, però, il gioco d’azzardo nelle sue derive distruttive attraversa sempre più la nostra quotidianità. Interessa l’operaio, il pensionato o la casalinga che, al bar sottocasa, lascia il proprio stipendio. i propri risparmi e la propria dignità. Il elle sue derive patologiche si sta ripetendo quanto è accaduto per le tossicodipendenze oltre una trentina di anni fa. Ovvero il passaggio da un consumo circoscritto a fasce sociali e gruppi precisi ad un fenomeno sociale i cui costi e le cui problematicità sono ben noti. Probabilmente questa "democratizzazione" delle forme di consumo, di dipendenza e di compulsività non è stata solo della tossicodipendenza e non è solo del gioco d’azzardo.

Pensiamo ai disturbi alimentari che interessavano la principessa Sissi ed ora interessano la nostra vicina di casa. Chissà poi perché la nostra vicina e non il nostro vicino. Certamente alcune interessanti e convincenti interpretazioni sulla differenza di genere esistono. Tuttavia mi pare curioso segnalare come i maschi tendano a cercare il cibo proibito (la droga) e le femmine rifiutino quello prescritto. Ma si pensi anche al consumo di anabolizzanti, di strani integratori alimentari o di sostanze legate alla prestazione fisica o allo sviluppo del corpo. Sostanze che anni fa potevano interessare solo qualche atleta professionista, ora sembrano interessare molti ragazzi al di sopra di ogni sospetto di consumo di sostanze.

Forse abbiamo la necessità di rivedere molti dei nostri modelli di analisi legati al paradigma del disagio, della sofferenza, della devianza, per cercare di comprendere invece bisogni legati alla sfida, al rischio, al consumo. Pensate solo che la psicoanalisi è nata, nel passaggio tra l’Ottocento ed il Novecento, dallo studio dell’isteria, ovvero quella forma di patologia e di sofferenza legata alla repressione e all’impedimento di realizzare i propri desideri sessuali e dall’eccesso di controllo degli impulsi. Ora, in questo passaggio di millennio, ci troviamo invece di fronte comportamenti problematici che hanno a che fare con l’incapacità di controllare il desiderio, con l’incapacità di controllare l’impulso, di darsi dei limiti. La soddisfazione degli impulsi non è più un qualcosa da reprimere e di cui vergognarsi, ma qualcosa da soddisfare subito.

Allora si può azzardare su tutto. Le cose, come ricorda Bauman, sono fatte per essere consumate e non per essere possedute. Tutto ciò che importa è l’emozione del momento. E allora si possono giocare d’azzardo i propri soldi, si può giocare d’azzardo con la propria vita, si può giocare d’azzardo con la propria salute. Infatti il rischio stesso sta sempre più diventando occasione di ricerca, di sfida, di messa alla prova. Pur nella forte semplificazione nella quale li sto affrontando, e mi scuso, credo che questi temi necessitino di una maggiore attenzione e comprensione, in quanto interrogano elementi che appartengono a tutti noi, ai nostri bisogni ed alla negazione dei nostri limiti.

Nella proposta di gioco d’azzardo stiamo anche assistendo ad una vera e propria rivoluzione economica e culturale il cui preludio è stato la diffusione nei bar dei videopoker. Se prima il gioco era sociale, ora è sempre più solitario. Se prima si giocava tra amici. ora si gioca contro una macchina. Se prima il gioco era legato a specificità culturali e spesso veniva trasmesso dai vecchi ai giovani con regole anche molto complesse (si pensi, ad esempio, allo scopone scientifico) ora è globale (i giochi sono uguali per tutte le latitudini e le culture) e semplicissimo. È molto facile imparare a giocare a videopoker e al Bingo, ma può essere molto difficile staccarsene una volta che si è iniziato a giocare con una certa frequenza. Se prima era ritualizzato in momenti ed ambiti precisi (la tombola a Natale) ora è consumato in ogni momento. Se prima era confinato, ora è diffuso praticamente in ogni luogo. Si pensi alla possibilità di gioco on-line che, per taluni aspetti, può essere indicato come gioco del futuro. In Internet non solo vi sono oltre 800 casinò on-line. ma è anche possibile scommettere su tutto: dalla morte dei personaggi famosi. a quando inizierà la guerra: da chi vincerà una partita di calcio o il gran premio di F1 a quando sarà giustiziato un condannato a morte negli Stati Uniti. In questo mondo virtuale e solitario, la morte di una persona diventa un pronostico sul quale scommettere come fosse un goal e con il denaro virtuale si rischia di non rendersi conto di quanto si sta perdendo. I giochi nuovi che vengono proposti hanno poi alcune caratteristiche precise che. guarda a caso, li classificano come giochi pesanti ovvero ad alto rischio di dipendenza.

Come le sostanze, infatti, anche i giochi hanno differenti caratteristiche in grado di facilitare o meno fenomeni di escalation, di dipendenza. di compulsività. Tali caratteristiche. individuate e denunciate non solo da alcuni studiosi. ma anche dal Ministero dell’Interno della Gran Bretagna, sono riscontrabili nella velocità, nella solitudine, nella tecnologia del gioco e così via. Se la diffusione e la capillarizzazione offre la possibilità a più persone di venire in contatto con il gioco, possiamo aspettarci - così come molte ricerche hanno dimostrato - non solo un aumento dei giocatori sociali, ma anche un aumento dei giocatori patologici e problematici, con costi umani, sociali e sanitari molto alti. Costi riscontrabili su diversi piani. In primo luogo la progressiva deriva sociale non interessa solo il giocatore ma anche la sua famiglia. Famiglia che spesso assiste alla deriva del giocatore senza rendersene conto e senza comprendere cosa succede. II giocatore è sempre più assente, distratto, nervoso, arrabbiato. Mancano i soldi e talvolta lo si scopre con tragicità: magari attraverso un’utenza non pagata, oppure da una telefonata della banca. Per la famiglia è incomprensibile comprendere cosa sta avvenendo. Non è come la droga, non ci sono né spacciatori né sostanze malefiche con cui prendersela. Spesso il giocatore nega o promette che è tutto finito, la quasi sempre non è vero, ed allora troviamo famiglie distrutte dai debiti, dalle incomprensioni: ci si sente traditi, non si ha più fiducia. E così come avviene per altre dipendenze si innescano problemi di codipendenza ed i figli sono costretti a diventare adulti troppo presto: ad occuparsi e preoccuparsi del padre, a controllarlo, a vergognarsi, a sentirsi in colpa.

Lo stesso giocatore si trova inserito in una spirale di debiti e la possibilità di rifarsi diventa un imperativo ed una trappola. Se all’inizio si giocava per divertirsi, per distrarsi, per avere un’emozione e per vincere facilmente, ora si gioca per rifarsi. Ma i pochi soldi che si vincono vengono riutilizzati per giocare. Si pensa sempre al gioco, a come trovare denaro, non ci si sente capiti dagli altri e forse nemmeno da se stessi.

Momenti di profonda depressione, di forte nervosismo, di paura, si alternano a rari momenti di esaltazione per una vincita. Ciò che si deve fare è giocare e ci si racconta che, quando si farà la grande vincita, si potranno pagare i debiti e si uscirà dal gioco vincitori. Ma questo non avviene ed alla fine si gioca perché non se ne può fare a meno. Ciò che è allo stesso tempo affascinante, incomprensibile e spaventoso, è come si possa creare una dipendenza senza la presenza di alcuna sostanza.

Una dipendenza che in taluni casi può arrivare a presentare una vera e propria sindrome da astinenza del tutto simile a quella da eroina, con dolori addominali, tremori, mal di testa. diarrea, sudori freddi che ricordano la dipendenza da sostanze. Si trascurano gli affetti, gli affari, le relazioni, la salute e nella speranza o illusione di uscire dalla spirale si chiedono o si accettano prestiti a tasso di usura: "In fondo ora sta andando male, ma se riprovo posso rifarmi. Non può sempre andarmi male. Devo insistere".

L’irretimento nel mercato dell’usura e lo sconfinamento in attività illegali attraverso "piccoli reati" quali la frode, la falsificazione della firma, l’appropriazione indebita ed i piccoli furti, sono elementi di forte rischio per i giocatori. Il caso tipico è quello del giocatore che "prende in prestito" l’incasso della giornata per poi riportarlo il giorno dopo. Ma il rischio è anche quello dell’irretimento di persone insospettabili che diventano facile oggetto di ricatto da parte della criminalità organizzata. È ad esempio il caso del pensionato, trovato alla stazione di Milano con una valigia piena di droga: era il prezzo che gli era stato chiesto per saldare un debito contratto con usurai ed aumentato vertiginosamente in poco tempo. Se questo caso è balzato agli onori della cronaca, possiamo certamente ipotizzare come vi siano altre situazioni di persone insospettabili che diventano facile ostaggio della criminalità. Ma possiamo anche pensare che si stia alimentando un circolo vizioso ed esponenziale nel rapporto tra giochi pubblici e giochi illegali.

Molte persone coinvolte potrebbero passare dal gioco legale a quello illegale per il desiderio di vincite più remunerative e di una maggiore articolazione delle modalità di gioco e delle offerte di credito. Questo non solo crea un nuovo fronte per il mercato usuraio e criminale, ma rischia anche di favorire la proposta di nuovi giochi legali proprio allo scopo di contrastare la diffusione e lo sviluppo del mercato illegale, che al contrario ne sarebbe alimentato grazie al circolo vizioso innestato: più giochi legali, più giocatori patologici; più giocatori patologici, maggiore possibilità per la criminalità e così via. È poi da considerare il costo sociale legato all’impiego da parte della criminalità organizzata dei proventi del gioco d’azzardo illegale, come aperto è il tema relativo al riciclaggio di denaro sporco attraverso il gioco d’azzardo.

Credo che quanto sta avvenendo non possa non porci degli interrogativi su diversi piani. Un piano importante è costituito dalle iniziative di aiuto per i giocatori problematici. Osservando la realtà italiana ci si può però facilmente rendere conto (escludendo poche iniziative pionieristiche legate prevalentemente a realtà di auto-aiuto o all’iniziativa privata) di come stentino a diffondersi da parte del servizio pubblico e di gran parte del volontariato e del privato sociale (tradizionalmente molto attenti nel cogliere "bisogni emergenti" e nel denunciare e nel portare proposte a problematiche di sofferenza) un’attenzione ed una metodologia d’intervento appropriate.

Quali le ragioni di questo ritardo? In primo luogo il gioco d’azzardo non è un fenomeno che presenta una forte visibilità e qUindi non produce una reazione sociale come quella determinata da altri fenomeni quali tossicodipendenza, prostituzione, immigrazione. Il giocatore vive il suo dramma da solo o con la famiglia. In secondo luogo si tratta di un fenomeno non specifico dei giovani. Anzi, le persone interessate spesso sono adulti, pensionati, ed allora viene il sospetto che i tanti riflettori puntati sui giovani e sul loro disagio rischino di mettere in ombra altre sofferenze. In terzo luogo è una forma di dipendenza non da sostanze: probabilmente noi siamo abituati a pensare, ad attivarci, ad intervenire quando vi è una sostanza. È il caso di segnalare come i rischi di dipendenza non determinata da sostanze siano probabilmente in crescita. Si pensi alla dipendenza da Internet (Internet addiction); da acquisti (compulsive buyers); da rischio; da sesso (sexual addiction); da esercizio fisico (exercise addiction).

Infine credo vada considerato quanto agisce lo stereotipo, di cui si è accennato all’inizio, che vede il mondo del gioco d’azzardo non tanto legato a temi di sofferenza, disagio, solitudine, depressione, quanto a temi di vizio, lusso, falsi valori, depravazione. Credo però sia venuto il momento di interrogarsi su quali strategie adottare per l’aiuto di queste persone e dei loro familiari. È provato ed umanamente comprensibile, e chi lavora nel settore delle tossicodipendenze lo sa benissimo, che quando le persone non riescono a trovare risposte adeguate a problemi reali di sofferenza, sono disposte a rivolgersi a chi promette loro facili ed immediate soluzioni, uscire da una forma di dipendenza da gioco non è ne facile ne immediato. Ed anche in questo caso non esistono risposte valide per tutti. Nonostante ciò non possono non esistere delle proposte. Si tratta però di cominciare a ragionare intorno a questo tema confrontando modelli d’intervento. Certamente le cose non sono semplici.

È utile ad esempio una comunità per giocatori d’azzardo come alcuni propongono? I giocatori vanno considerati una categoria a se stante oppure vanno ricondotti a fenomeni più noti di dipendenza o a categorie psichiatriche già conosciute? O forse ancora non vanno considerati ed accolti comprendendone la specificità ed il bisogno di ogni singolarità? E quali servizi si debbono occupare di loro? Quali professionalità? Con quale formazione? Quali sono le strategie d’intervento più opportune per aiutare queste persone? Quale può essere il rapporto tra pubblico e privato? L’obiettivo deve essere l’astinenza dal gioco oppure si possono pensare interventi di riduzione del danno e di gioco responsabile? La lista delle domande - alcune delle quali riecheggiano temi e concetti ben noti a chi si occupa di tossico dipendenze può continuare. È molto difficile però parlare di questo nuovo problema senza considerare come, in questi anni, dietro ad ogni nuova emergenza (vera o presunta) abbiamo spesso assistito al desiderio (consapevole o inconsapevole) in chi l’ha denunciata di costruire nuovi spazi di potere. E pertanto anche i giocatori patologici e la cura degli stessi (così come è stato per molti altri) alla fine potrebbero rischiare di diventare una nuova occasione per molti di nuovi spazi di potere. Certo è che il dibattito intorno a quale tipo di aiuto fornire a queste persone non può essere rimandato, negato o, peggio ancora, delegato.

Tale dibattito però non può essere solo relativo alle forme di aiuto ma deve essere collegato ad una riflessione rispetto alle politiche sul gioco. Una riflessione che permetta di denunciare i rischi di una lettura di tipo liberista che - confondendo talvolta la libertà con il mercato - desidera sostanzialmente la libertà del mercato. Tale posizione, infatti, facendo leva sulla sostanziale innocuità sociale del gioco d’azzardo e sulla libera scelta degli individui, porta ad aprire la strada a nuove fonti di guadagno con scarse attenzioni ai costi dell’impatto sociale di tale mercato. Lo sforzo di coniugare l’etica con il profitto può disturbare molti (e da versanti diversi) ma è assolutamente necessario. Così come è necessario prevedere - ed a maggior ragione quando si diffondono nuove forme di gioco - degli studi sul rapporto costi/benefici. L’imprenditorialità del gioco d’azzardo non può essere estranea a tale dibattito e a tale responsabilità. Può anzi svolgere una importante funzione, ammesso che sia messa in condizioni di poterlo fare. Appare infatti assai poco applicabile una posizione di tipo rigidamente proibizionista. Come si è detto sono molte le persone che giocano d’azzardo.

Questo risponde a molti bisogni e non necessariamente la funzione del gioco è patologica. È anzi importante promuovere una cultura che ne valorizzi le potenzialità ricreative e positive, costruttive e non distruttive. L’uomo prima ancora di essere faber è ludens: la simulazione, la sfida, la prova, fanno parte della nostra vita e della nostra evoluzione. Si tratta però di ritrovare e costruire il senso del ricorso al gioco ed anche offrire conoscenze appropriate sulle possibili derive patologiche. Ma si tratta anche di sviluppare le forme di assistenza per i giocatori problematici e per i loro familiari e di realizzare progetti di riduzione dei darmi anche per il gioco d’azzardo. Su questo piano esistono esperienze straniere ed ipotesi sulle quali è necessario confrontarsi. Così come è inopportuno e poco scientifico parlare di droga senza considerare le differenze di tipo chimico, di modalità d’uso, di significati simbolici e di mercato, è anche inopportuno parlare di gioco d’azzardo in senso generale senza considerarne le varie forme e le diverse potenzialità attrattive ed additive.

Potenzialità attrattive ed additive - ovvero in grado di innescare compulsività - allo stesso tempo assolute e relative. Assolute, perché giochi che offrono l’immediata possibilità di rifarsi della perdita (magari innalzando la quota) risultano potenzialmente più a rischio di altri. Relative, perché dipende molto dalle variabili soggettive, dal momento specifico di ogni esistenza e dalla fase storica di ogni collettività. Non è giocando una volta che si diventa giocatori patologici, così come non è bevendo un bicchiere di vino in compagnia che si diventa alcolisti. Ma taluni lo diventano. Le variabili in gioco sono molto complesse, ma credo che l’esperienza di molti di noi nel settore delle tossicodipendenze possa aiutarci ad evitare - e fare evitare - tanti ritardi ed errori di prospettiva che nel campo delle tossicodipendenze sono stati pagati molto cari.

 

 

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