Prime Conclusioni 5

 

Contesto

 

Il problema della compatibilità dell’ambiente urbano con la nostra vita viene sollevato solo in riferimento ai fattori ecologici e strutturali (inquinamento, traffico ecc.): ci si dimentica troppo spesso della compatibilità sociale.

la paura del crimine e dei criminali non trova riscontro nei dati delle ricerche. Secondo il sondaggio Nielsen del 2000 (a risposte multiple), alla domanda cosa renderebbe più sicura la città il 57% ha risposto "più forze dell’ordine" e il 49% "leggi più severe", ma il 78% ha chiesto "più azione sociale". Quando si è domandato cosa renderebbe più sicuro il proprio quartiere, la percentuale che ha risposto "più forze dell’ordine" è stata ancora altissima (63%), ma il 36% ha chiesto un territorio più vivo, il 21% un vicinato più attivo, il 22% maggiori aiuti alle vittime. Il 63% percepisce la città insicura e il 74% il proprio quartiere come sicuro. È come se la città non fosse più un territorio reale di appartenenza ma una rappresentazione virtuale.

 

Questioni critiche

 

Ci si limita a tentare di alleviare il disagio - con risorse peraltro assai limitate e con risultati spesso discutibili - e troppo spesso lo si fa con modalità volte più a tranquillizzare l’opinione pubblica che a risolvere i problemi di fondo.

Gli interventi sociali e territoriali sono spesso considerati opzionali, saltuari e non indispensabili, considerati come scelte "buoniste" o ideologiche.

La tenuta del tessuto sociale è oggi minacciata non solo dalla divisione tra inclusi ed esclusi, ma da una sempre più vasta zona grigia di inclusi che faticano a vivere in città (persone che perdono il lavoro, la casa, i legami affettivi ecc.).

 

Proposte

 

Aprire spazi per la "gestione dei conflitti" in una logica di mediazione e di negoziazione: la condizione minima per l’attuazione di qualsiasi politica sociale anti-esclusione è la disponibilità degli inclusi ad integrare gli esclusi.

Incentivare e promuovere legami di "buon vicinato" (investendo anche su mediatori culturali e mediatori naturali, vedi ad esempio gli amministratori di stabili).

Promuovere l’accesso ai diritti della vita quotidiana, anche con campagne di sensibilizzazione.

Creare tavoli di incontro-confronto permanente tra popolazione e istituzioni rispetto a tutte le scelte delle amministrazioni circa la convivenza sociale.

 

 

Inclusione sociale

 

Contesto

 

L’indice di povertà relativa in Italia è del 13,6% (circa 7.800.000 persone di cui il 66% nel Mezzogiorno), mentre lo stato di povertà assoluta riguarda il 4,2% della popolazione generale (3 milioni di persone).

Perdita del lavoro, sfratto, dipendenza, carcerazione, perdita di legami affettivi portano molte persone, in assenza di reddito, alla vita di strada. I dati Istat del 1999 evidenziano in Italia la presenza di oltre 400mila persone senza fissa dimora. È la conferma di un trend da anni in crescita. Di queste solo il 10% sembra aver "scelto" la strada, la maggioranza delle quali con problematiche psichiatriche associate ad alcol dipendenza e tossicodipendenza. Quasi il 90% cerca invece di risalire la china sociale.

Molti stranieri in cerca di lavoro e di reddito sono finiti in questi anni in situazioni di emarginazione. I dati Istat parlano di oltre 1.700.000 regolari e tra i 300 e i 600.000 irregolari. L’irregolarità per la mancanza del permesso di soggiorno ha costretto alcuni di loro a condizioni di vita insostenibili e, da qui, all’illusoria compensazione di alcol e droghe.

 

Questioni critiche

 

Spesso, parlando di emarginazione, si focalizza l’attenzione unicamente sul problema della sicurezza, con il rischio di identificare negli emarginati il pericolo da debellare.

Questo conflitto tra inclusi ed esclusi viene enfatizzato dai media, a scapito di una reale informazione sulle situazioni di emarginazione.

Manca una seria riflessione sul degrado del legame sociale nella convivenza urbana come causa di solitudine, rabbia, ansia, intolleranza e quindi insicurezza.

 

Proposte

 

Incrementare la rete dei servizi a bassa soglia (dormitori, lavanderie, mense). Le limitazioni nella spesa sociale e sanitaria, le difficoltà relative al coordinamento delle iniziative, le interpretazioni restrittive delle normative egli assetti difensivi di taluni servizi, sono le cause principali della sua insufficienza.

Stabilire una relazione più efficiente tra i servizi a bassa soglia e quelli evolutivi di secondo livello (per accompagnamenti e prese in carico sul medio - lungo periodo!

Aumentare gli interventi di strada e le "boe" notturne.

Favorire l’inserimento lavorativo con borse lavoro (tra il 50 e il 60% diventano in seguito assunzioni definitive); snellire l’iter burocratico di accesso alle borse; sviluppare in modo più capillare la ricerca di lavoro sul territorio (attualmente 2/3 delle assunzioni con borsa lavoro avviene nelle cooperative di tipo B).

Risolvere il paradosso dell’iscrizione anagrafica: senza residenza non si ha diritto all’assistenza sanitaria. Ciò in conformità alla legge n. 1228 del 1954, ribadita dalla circolare "Brancaccio" del 1996, che consente di eliminare il cosiddetto "blocco 45", ovvero il blocco anagrafico per i senza fissa dimora.

Applicare la convenzione di New York, che impone al paese ospitante di farsi carico del minore non accompagnato. Compito dei servizi è intercettare e accompagnare il minore in percorsi di reinserimento, accoglienza e difesa dallo sfruttamento, nonché di scolarizzazione e formazione professionale. Se il percorso viene seguito con impegno, il permesso di soggiorno va rinnovato anche dopo il passaggio alla maggiore età.

Istituire "sale di iniezione sicura", che proteggono dai rischi di overdose e riducono gli aspetti più eclatanti della tossicodipendenza di strada.

L’inclusione sociale si dimostra in definitiva una strategia vincente anche per contenere le problematiche della micro delinquenza e dell’insicurezza urbane. Una città che accoglie è una città sicura. Laddove più efficace è il contrasto all’emarginazione meno pressante è il problema dell’ordine pubblico.

 

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