Giuseppe Bortone

 

Giuseppe Bortone

 

Questi tre giorni di lavoro sono stati importanti: ho potuto ascoltare un dibattito la cui serietà è nettamente in controtendenza rispetto alla semplificazione e alla demagogia che sembrano prevalere, a proposito delle tossicodipendenze come di tanti altri temi, in questi ultimi tempi nel nostro Paese.

Entrando nel merito della discussione mi sembra di poter dire che siamo tutti d’accordo sulla necessità di difendere e di sviluppare il sistema integrato dei servizi: di fronte alla caratteristica fondamentale del problema, la complessità, tutti pensiamo che debba svilupparsi un sistema integrato di servizi pubblici e privati capace appunto di prestazioni "integrate e flessibili". Ci sono due punti sui quali, invece. non siamo tutti d’accordo (in particolare sul secondo).

In primo luogo, come diceva anche dal suo intervento dal pubblico un rappresentante della CGIL Lombardia questa mattina, la certificazione dello stato di tossicodipendenza deve restare ai Ser.T.. Se accadesse il contrario - e il decreto Sirchia - Maroni di questa estate sembra proprio che vada in questo senso - sarebbe l’inizio della fine per la parte pubblica del sistema; e quindi, in prospettiva, sarebbe la fine anche del privato sociale in tutta la sua complessità, con l’egemonia incontrastata. all’interno di esso, di poche. grandi e ben individuate strutture. Su questo tema, forse, tra noi che siamo qui è possibile trovare un accordo con relativa facilità. Più problematico è il secondo punto: all’interno del sistema integrato si può e si deve parlare di "coprogettazione", ma il governo del sistema deve restare al pubblico.

Dal privato sociale - e in particolare dal Gruppo Abele - io personalmente ho imparato molto. Abbiamo anche dovuto superare progressivamente, al nostro interno, una vecchia cultura impregnata di autosufficienza burocratica e statalista: e tuttavia non reggeremmo neanche per un giorno il nostro rapporto con i lavoratori dei Ser.T. se non dessimo loro delle precise garanzie sul nostro impegno per il governo pubblico del sistema. È una posizione che difendiamo anche sulla base di decisive ragioni di principio, che non possiamo approfondire in questa sede.

proposito del "sistema integrato" c’è almeno un’altra cosa che va richiamata subito. una cosa che ha detto molto bene stamattina Caterina Magliocchetti, funzionaria della Regione Umbria. Il tema era la "riduzione del danno" nella sua Regione, un tema che a noi della CGIL sta molto a cuore: ci siamo battuti per questo anche con asprezza negli anni scorsi, e forse do,Temo riprendere a batterci ora, in una fase in cui molti, anche vicini a noi, cominciano a sostenere che è meglio continuare a fare la "riduzione del danno" però senza parlarne troppo o senza parlarne affatto, per motivi, diciamo così, politici.

Diceva dunque Caterina Magliocchetti che il "sistema integrato dei servizi" produce in Umbria degli ottimi documenti, dove si tratta anche di "riduzione del danno": ma poi in certi territori le cose si fanno, e in altri no, a causa delle difficoltà, delle resistenze di natura politica o amministrativa. Ci vuole allora, per smuovere le cose - diceva Magliocchetti - un "terzo attore" oltre al pubblico e al privato sociale, e cioè i consumatori, la pressione dei consumatori dal basso. Può sembrare un’utopia, ma quanti movimenti dal basso, più o meno organizzati, sono cresciuti nel nostro Paese, inaspettatamente, negli ultimi mesi?

Noi della CGIL possiamo senza dubbio, anche sui temi riguardanti il sistema integrato dei servizi, dare un contributo critico, ma dobbiamo essere capaci, e vorrei concludere su questo, di vedere anche criticamente noi stessi. Diceva nel dibattito di oggi pomeriggio l’economista Nerina Dirindin: esiste un mercato sanitario, ed esiste anche, all’interno del servizio sanitario una prevalenza della diagnostica, della farmaceutica: perciò di fronte alla contrattazione delle risorse, i servizi di cui stiamo parlando, i servizi territoriali, sono più a rischio. È vero: ma è un problema che riguarda anche la CGIL e i sindacati in generale, non perché direttamente condizionati dall’industria farmaceutica o da quella delle apparecchiature diagnostiche, ma perché strutturati a partire da una base sociale e sindacale che per forza di cose è collocata su grandi strutture ospedaliere; è quello che nei nostri dibattiti interni chiamiamo "l’ospedalocentrismo", il quale è una caratteristica del sistema sanitario del Paese, ma diventa naturalmente anche una caratteristica dell’organizzazione sindacale radicata in questo stesso sistema sanitario.

Grazie anche molto agli stimoli di alcune strutture del privato sociale siamo riusciti, almeno in parte. a modificare questa situazione: abbiamo per esempio elaborato una "Carta dei diritti" per i Ser.T.; che riguarda sia i diritti dei lavoratori, che quelli degli utenti. E stata un’operazione non semplice, che forse avremmo fatto bene a pubblicizzare di più: per un’organizzazione sindacale è molto difficile, ma anche molto importante, saper mettere in relazione il diritto alla dignità del lavoro per chi si occupa di un servizio, e il diritto ad usufruire senza discriminazioni di prestazioni efficaci per gli utenti di quel servizio stesso.

 

 

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