Gianluca Borghi

 

Gianluca Borghi

 

Non vorrei che, pian piano, aumentasse in noi la tentazione di ritenere che buona parte di quel che sta accadendo vada attribuito alla riforma costituzionale del titolo V che, dal punto di vista della mia Regione, è assolutamente in antitesi con quella proposta vuota (e, nel caso fosse realizzata, devastante) di devoluzione, propugnata da una parte dell’attuale maggioranza. Furono le Regioni, ancor prima del Governo, a sostenere con forza questa redistribuzione di potere e di competenze. Ogni giorno che passa mi convinco sempre più che l’assegnazione di responsabilità sia la strada da seguire, in particolare per quanto riguarda le competenze sociali, assegnate in modo certo a Regioni ed Enti locali, e quelle sanitarie, assegnate in maniera pressoché esclusiva alle nuove Regioni. Ci sono anche fatti molto concreti che testimoniano come quella strada sia assolutamente ineludibile e sia quella giusta.

Non ho nessun imbarazzo a dire che quanto è accaduto questa estate in Puglia e quanto accadrà spero in molte altre Regioni indichi con chiarezza anche una nuova fase di assunzione di responsabilità, tutto sommato non così semplice da prevedere né così scontata. Ritengo che questa nuova consapevolezza, unita a nuove competenze e alle possibilità di autonomia delle Regioni, superata una fase difficilissima come quella attuale, non potrà che produrre un livello più alto e certo di esigibilità di diritti e non soltanto di prestazioni: diritti certi, esigibili, di reciprocità, di responsabilità forte di chi amministra. Un momento sicuramente difficile, di transizione: uno fra i tanti altri di questo nostro Paese in eterna transizione. Devo dire che, nonostante tutto, abbiamo qualche strumento per tentare di raggiungere e praticare quegli obiettivi. Questo perché nella scorsa legislatura parlamentare ci siamo dotati di qualcosa di molto importante,

dal punto di vista legislativo. Oggi, non a caso, questo Governo sta omettendo di attuare gli atti esecutivi di questi provvedimenti che prima ricordavo, in particolare della 328, che sembra non essere più figlia di nessuno. In oltre un anno di confronto istituzionale tra Regioni e Governo, mai con il ministro Maroni abbiamo avuto la possibilità di discutere della 328. Per quanto riguarda gli aspetti attuativi di parte di quella legge, penso che il titolo V rappresenti un’opportunità importante, attraverso la quale far valere le competenze, in taluni casi concorrenti, in molti altri esclusive, delle Regioni.

L’individuazione dei LEA (Livelli essenziali di assistenza), realizzata lo scorso anno, e il lavoro che si sta svolgendo per andare coerentemente con quelle indicazioni alla definizione di livelli essenziali sociali, ritengo possano rendere questo Paese meno diseguale. So perfettamente che ci sono territori nei quali anche il livello raggiunto di integrazione e di diffusione dei servizi è posto in discussione. Non vedo un nesso diretto tra questa tendenza (che assegnerei piuttosto a esplicite volontà politiche dei governi regionali), la determinazione dei LEA e la possibilità stessa di attuare quelle competenze in modo positivo. Non abbiamo risposte, abbiamo però tentativi sempre più chiari, bislacchi e poco credibili, di pregiudicare parte delle riforme che si sono sviluppate nella scorsa legislatura parlamentare, dal decreto Bindi alla riforma sanitaria.

Per quanto riguarda i servizi sulle tossicodipendenze abbiamo, invece, una impostazione che tenta di ricondurli ad un centralismo anacronistico. Cosa sarà poi di strumenti come il reddito minimo di inserimento? Più volte la sottosegretaria Sestini ci ha detto che quello strumento ha fallito, non sappiamo però in virtù di cosa e di quali analisi. Non abbiamo chiarezza rispetto alla possibilità stessa di continuare ad avere, come Regioni e quindi territori, certezze sull’erogazione del fondo sociale dato dalla 328.

Ricordo che nella scorsa finanziaria il tentativo di decurtare di circa 5 mila miliardi dal Fondo sociale è stato sventato per un puro miracolo, assunto che, per fare cassa, il ministro Tremonti aveva individuato quella come voce sicuramente improduttiva. Ritengo che l’accordo dell’8 agosto dello scorso anno, che ha portato alla ridefinizione (anche dal punto di vista quantitativo) del Fondo sanitario nazionale. sia stato comunque un risultato importante. Per quanto riguarda la nostra Regione e non solo, ciò ha consentito di gestire in pareggio il Fondo sanitario assegnato l’anno scorso. Ci sarà poi la possibilità di utilizzare in modo virtuoso nuovi livelli di economia impositiva. Per quanto riguarda le prestazioni sanitarie, in questo primo anno si sono registrate diseguaglianze nel nostro Paese con oneri accessori per i cittadini in seguito a provvedimenti di tipo fiscale ed economico più svariati, e disparati, voglio imputare questo ad una fase di assestamento che, inevitabilmente, portando in modo diretto questa responsabilità alle Regioni e ai territori, renderà più certe per i cittadini, da un lato le responsabilità, ma dall’altro più diffusi servizi, prestazioni e quindi esigibilità di diritti.

Questo è il quadro di incertezza strutturale visto il livello della discussione nel quale si trovano le Regioni. L’ultima boutade del Governo circa il sostegno e le prestazioni per la non autosufficienza, è indice di una direzione di marcia che nemmeno troppo velatamente vorrebbe sperimentare con forza quello che la professoressa Dirindin ha posto come un’eventualità, cioè la nascita di sistemi sanitari non più così pubblici, o non più così prevalentemente pubblici come gli attuali. C’è, quindi, una spinta alla privatizzazione, all’aumento incontrollato delle prestazioni. Il ministro Sirchia è maestro nel tentare di condurre altrove questo modello pubblico e universalistico di prestazioni che ancora abbiamo. Quello che andremo a decidere rispetto alla sostenibilità di risorse dei nostri sistemi, sarà, per quanto riguarda la non autosufficienza, una buona cartina di tornasole. Esistono proposte di legge parlamentari in tal senso, esiste una forte iniziativa politica di CGIL, CISL e UIL, opportunamente assieme, nell’indicare una possibile soluzione universalistica a questi problemi: inevitabilmente, se noi vorremo andare ad attuare i LEA per quanto riguarda i servizi di integrazione, il nostro Paese risulterà sicuramente tra i più anziani dell’intera Unione, per almeno un’altra generazione.

Ma ancora una volta penso che questo sia un campo nel quale le Regioni potranno e dovranno far valere nuovi ambiti di competenza, responsabilità e autonomia. In Emilia entro l’anno presenteremo un Piano d’azione sulle persone anziane - sul modello del Piano d’azione dell’Unione Europea che tenta di defInire nuove integrazioni, dando in qualche modo per scontata l’integrazione socio-sanitaria delle prassi di formazione e delle opportunità. Sono queste le caratteristiche che il lavoro nel sociale potrà e dovrà avere, per far fronte ai nuovi bisogni.

Anche la costituzione di un nuovo fondo per l’autosufficienza, per quanto riguarda la maggioranza di centro-sinistra dell’Emilia, dovrà avere caratteristiche assolutamente universalistiche. Siamo in presenza di piani sanitari di seconda, terza e quarta generazione: dobbiamo fare in modo di non perdere la scommessa indicata dalla 328. Non a caso nessuno, a Roma, sta più parlando dell’attuazione del Piano sociale nazionale, dei cinque grandi obiettivi che hanno motivato l’erogazione delle risorse, rese disponibili per la prima volta, di fatto, su un Fondo sociale nazionale unico che le Regioni egli enti locali hanno contribuito ad alimentare. C’è un altro grande interlocutore del quale sempre meno si parla: l’Ente locale. Noi, con Toscana, Veneto, Marche, Umbria e altre Regioni, non possiamo prescindere da questo momento fondamentale, così come è stato ben individuato dalla 328, anche per quanto riguarda, da un lato, la promozione della salute e, dall’altro, la declinazione vera di integrazione socio-sanitaria. Il nodo è riuscire a corrispondere in questo modo ai bisogni delle comunità e delle persone. Abbiamo scelto una strada molto difficile: abbiamo attuato la 328 in fase sperimentale, ancor prima di avere approvato, come Consiglio regionale dell’Emilia Romagna, la legge regionale che tenterà di superare in positivo (rispetto all’universalismo delle prestazioni, rispetto alla concezione di diritto, alla cittadinanza che andremo a descrivere) la 328. Entro l’anno il Consiglio andrà ad approvare la nuova legge sui servizi dell’Emilia Romagna, ma già dallo scorso anno abbiamo previsto la definizione dei piani sociali di zona.

Abbiamo sottoscritto quest’anno per la prima volta accordi di programma, ed i contenuti che essi sottendono li abbiamo voluti con le indicazioni dei piani sanitari, quindi dei piani per la salute: da questa impostazione non possiamo prescindere dalla nuova legge regionale, la "Conferenza sanitaria territoriale" diventerà "Conferenza socio-sanitaria territoriale".

Serve davvero che, anche in quei luoghi dove troppo poco spesso si è parlato di integrazione. odi sociale, si assuma con forza la centralità di questa relazione. Nei piani sociali abbiamo voluto destinare la metà delle risorse assegnate sul fondo nazionale antidroga; abbiamo voluto che la progettualità sui piani sociali di zona contenesse il più possibile per quanto riguarda gli ambiti di intervento per il quale è previsto un finanziamento diretto (penso alla 104, 162, 286 e 45, insomma alle leggi di settore); abbiamo voluto dare assoluta dignità e priorità in un quadro più complessivo, nel quale gli enti locali saranno anche attori centrali attraverso gli strumenti attivabili con l’erogazione delle risorse.

Per quanto riguarda i contenuti della prossima finanziaria, è chiarissimo il disegno che la ispira: lo Stato, se riesce, taglia le tasse soprattutto su alcuni ceti, sapendo perfettamente che poi i mancati trasferimenti sui territori dovranno inevitabilmente essere recuperati da imposizione regionale o da imposizione locale. Per quanto riguarda questa prevedibile prospettiva di difficoltà nelle relazioni che abbiamo con i Comuni, la tratteremo utilizzando la prassi della concertazione.

Ogni atto assunto dalla giunta e dal consiglio regionale dell’Emilia Romagna ha prima avuto un vaglio che si conclude sempre con un consenso: almeno finora è stato così per le materie più rilevanti della Conferenza delle autonomie locali. È un metodo che abbiamo istituzionalizzato per rendere più partecipe il sistema delle autonomie locali. Ma rispetto al governo è evidente quale sia lo stato di grande difficoltà nelle relazioni, per alcuni dei motivi che ho illustrato e per altri più squisitamente politici. C’è, dal mio punto di vista, una volontà assolutamente chiara di colpire alcune esperienze; prevedo nel riparto del prossimo Fondo sanitario nazionale significative difficoltà. L’ultimo dei provvedimenti che il Governo ha assunto in materia di tossicodipendenze è stato a suo modo emblematico: si è andati a modifiche importanti senza aver in nessun modo coinvolto le Regioni, i territori, la Conferenza Stato-Regioni o la Conferenza unificata. C’è stata una reazione che ha portato la Giunta regionale a dare indicazioni ai nostri servizi, ponendo al centro la qualità dell’assistenza. Siamo stati costretti, purtroppo, a ricorrere alla Corte Costituzionale.

Spero che la decisione della Corte possa riportare il confronto istituzionale fra Regioni e Governo su binari più corretti e più di merito, per potere fare in modo che non si perdano occasioni importanti. In questa fase, nella quale molti territori e Regioni debbono andare ad un sostanziale avvio della 328, penso a quel che dovremo fare per quanto riguarda l’accreditamento dei servizi, delle strutture. Per questo serve un quadro che renda davvero possibile la creazione di nuove opportunità e garanzie per i cittadini, corrispondendo alla necessità prioritaria di definire una nuova stagione di diritti.

 

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