Gianfranco Bettin

 

Gianfranco Bettin

 

Spesso prevale la demagogia nella rappresentazione dei problemi e nelle proposte di soluzioni. Essa però non porta da nessuna parte, e alla fine ci si trova di fronte agli stessi problemi irrisolti (contraddizioni, tensioni sociali, forme di disagio), ma più disperati e rassegnati. Se nemmeno gli "‘unti del Signore" riescono a limitare gli sbarchi dei clandestini, a ridurre l’inflazione, a diminuire gli incidenti stradali, vuol dire che nessuno ha la bacchetta magica. È importante misurarsi con il disordine cercando di essere seri, ammettendo onestamente le difficoltà di fronte ai problemi.

La prima cosa che vorrei sottolineare è la mia difficoltà nel distinguere tra ciò che è e ciò che non è "città". Ritengo sia più corretto parlare in senso generale di "società": è difficile distinguere nettamente tra dimensione metropolitana e dimensione provinciale. Alla fine le cose tendono ad omologarsi. Certamente ci sono specificità, anche di carattere culturale: bisogna coglierle per misurarsi con esse e adattarvi le linee di interv-ento. Nel nordest, per esempio, le questioni di questo convegno devono confrontarsi con una certa etica produttivistica che fa danni pesantissimi poiché influenza anche i processi formativi dei giovani, determinandone l’interruzione, la distorsione, con conseguenze drammatiche, a partire dal modo in cui si gestisce il territorio: lo si stravolge.

Di fronte a certe nuove paure, per esempio quelle ambientali, si perde il senso della dimensione sociale, delle tensioni e delle contraddizioni. Questi elementi tendono a intrecciarsi molto nel nostro tempo: c’è una netta simmetria tra danno sociale e ambientale.

Questo rilancia il tema del governo globale del territorio, della capacità di costruire una percezione complessiva del luogo in cui viviamo. È importante segnalare questo intreccio per scongiurare il rischio di una frantumazione della nostra visione. Cercare di avere una visione globale è uno sforzo che dobbiamo fare tutti, a partire dai troppi progetti sul lavoro di strada che non diventano servizi veri e propri, in cui poi si investa davvero, in cui si schieri un "esercito" sulla strada con tutte le risorse a disposizione, dalla formazione all’aggiornamento, dai viaggi di studio al supporto, alla supervisione. Ci sono troppe aziende sanitarie, troppi Comuni che fanno queste cose perché sono obbligati e non perché ci credano: non investono fino in fondo, non difendono i propri operatori. Invece di un investimento materiale e politico serio; spesso c’è la demagogia, che è la prassi di quasi tutte le amministrazioni.

Per essere efficaci bisogna crederci fino in fondo. Ad esempio Treviso è una città "disordinata", nonostante Gentilini si sia proclamato "sceriffo", portatore dell’ordine. Infatti le tensioni vanno crescendo perché i problemi non vengono affrontati e non si mette in grado la parte sofferente della popolazione di avere più diritti. Bisogna garantire un equilibrio nella comunità, affrontando il disagio in tutti i suoi aspetti, mettendone in luce tutte le cause ambientali, culturali e sociali. Una buona amministrazione non nasconde la gravità dei problemi, non elargisce illusioni e buoni sentimenti, ma opera razionalmente per ricostruire la strada di una nuova convivenza civile.

 

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