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Graziella Bertelli
È stato detto che sulla droga, ma più generalmente sui temi sociali, non c’è bisogno di slogan, di semplificazioni, di ricette: bisogna mettersi tutti in gioco, nella coscienza dei propri limiti, alla ricerca di quel "di più " che può nascere soltanto da un lavoro di squadra. Nel nostro piccolo, e con la nostra piccola squadra composta non solo da operatori del servizio ASL ma anche dai nostri pazienti e dagli agenti di Polizia penitenziaria, abbiamo cercato di far nascere quel "di più". L’Unità operativa area penale e carceri (U.o.c.) è un servizio che si occupa della cura e del trattamento dei tossicodipendenti detenuti nella casa circondariale di San Vittore a Milano. Ringrazio naturalmente il Gruppo Abele, don Ciotti e i moderatori che sono accanto a me che ci hanno dato la possibilità attraverso il convegno di parlare per la prima volta della nuova esperienza che si sta concretizzando nel carcere di S. Vittore. Il progetto che sto per presentare riguarda l’organizzazione, da parte dell’Unità operativa carcere, di un nuovo reparto carcerario, appena ristrutturato secondo le nuove norme dell’Ordinamento Penitenziario e attivo dal 19 luglio 2002. È un reparto non strettamente orientato al trattamento interno, che si occupa della riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti attraverso l’accompagnamento all’esterno e quindi attraverso la formulazione del progetto terapeutico da svolgersi anche in regime di esecuzione penale esterna. Non è un reparto organizzato e pensato come comunità terapeutica in senso stretto, ne una sezione a custodia attenuata, né una sezione penale, poiché le persone che ne fanno parte possono trovarsi in qualsiasi fase dell’iter processuale. Si costituisce piuttosto come uno spazio che permette di osservare, affiancare e progettare in condizioni mirate e più idonee al compito. Il progetto si chiama "Riparto dal reparto". Il significato di questo nome deriv-a dal fatto che i detenuti tossicodipendenti vi arrivano dopo un periodo di detenzione in un altro reparto, il secondo raggio, il cosiddetto C.O.C, quello dove il nostro servizio opera da oltre un ventennio. Il reparto si trova al quarto piano del terzo raggio e offre condizioni ambientali cosiddette a "norma", quindi migliori e più adeguate anche al bisogno dello spazio vitale. La disponibilità della direzione della casa circondariale di S. Vittore ad accettare ed accogliere per questo nuovo spazio un progetto ASL di trattamento per tossicodipendenti, ha permesso di creare un progetto che ha previsto l’inserimento di 45 persone, già conosciute e selezionate al secondo raggio attraverso criteri che tengono conto, oltre che del bisogno espresso dalla persona, di questi fattori: della situazione giuridica dei soggetti, che deve prevedere un periodo di pena che possa offrire la possibilità di ipotizzare un progetto terapeutico; del consenso e della motivazione ad un percorso terapeutico organizzato o da organizzare con i nostri operatori, in collaborazione con i loro servizi territoriali. I detenuti che arrivano in questo reparto devono firmare un contratto di adesione: ciò implica l’esplicitazione di norme lette, messe su carta e sottoscritte, al fine di sancire una condivisione di responsabilità. Le regole sono poche, legate ad una convivenza pacifica, alla dismissione del tipico linguaggio coattivo. L’organizzazione: le celle sono aperte dalle 9 del mattino alle 9 di sera. I detenuti sono invitati ad una auto responsabilizzazione affinché gli operatori non debbano ricorrere a imposizioni di vario genere. I pazienti seguono la loro attività senza bisogno di essere chiamati al dovere; condivisione degli obiettivi e collaborazione attiva degli agenti di polizia penitenziaria; nel reparto sono presenti due operatori quotidianamente, dal lunedì al venerdì, che si occupano di raccogliere e/o proporre iniziative, di curarne e facilitarne l’organizzazione e l’esecuzione, di promuovere e sostenere il clima relazionale; la giornata inizia sempre con una riunione allargata a tutte le persone per ricordare gli impegni e discutere eventuali proposte e critiche: la conclusione avviene alle ore 16 con un saluto generale; sia gli operatori sia i referenti detenuti che si autocandidano ogni 15 giorni redigono giornalmente un diario chiamato "diario di bordo", visto che i nostri utenti hanno chiamato il reparto "La nave", che simboleggia il viaggio che stanno percorrendo, ciascuno verso il proprio porto. Le offerte trattamentali: presa in carico della situazione sociale, contatto con il Ser.T. territoriale e avvio di ipotesi progettuale; lavoro psicologico individuale (presa in carico della sofferenza individuale in un reparto dove i detenuti non assumono psicofarmaci e dove la sofferenza assume quindi valenza e caratteristiche terapeutiche. La sofferenza diventa un’occasione di percorso clinico psicologico e rievolutivo; lavoro psicologico di gruppo; gruppi riabilitativi, formativi e socializzanti: musica, pittura e cinema; gruppi di sensibilizzazione alla gestione pacifica dei conflitti; programmi di medicina complementare nella gestione delle problematiche correlate alla tossico/alcoldipendenza (acudetox). Concludo ricordando la direzione della C.C. di San Vittore che, grazie alla sua sensibilità e la sua disponibilità, ha permesso l’attuazione di questa esperienza. Ringrazio il nostro responsabile Dr. Foà che ci ha dimostrato fiducia e ci ha incoraggiato ad intraprendere questo cammino, reso possibile grazie anche alla volontà di alcuni operatori, dei nostri pazienti che, posti in condizioni migliori, hanno din1ostrato qualità eccezionali. Riprendo le parole di don Ciotti, rilasciate nell’intervista al settimanale "Avvenimenti": "Sulla droga, ma più generalmente sui temi sociali, non c’è bisogno di slogan, di semplificazioni, di ricette: bisogna mettersi tutti in gioco, nella coscienza dei propri limiti, alla ricerca di quel "di più" che può nascere soltanto da un lavoro di squadra". Nel nostro piccolo, e con la nostra piccola squadra composta non solo da operatori del servizio ASL ma anche dai nostri pazienti e dagli agenti di Polizia penitenziaria, abbiamo cercato di far nascere quel "di più".
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