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Dott. Fabio Pinelli Avvocato
Buon giorno a tutti, io ho l’onore di fare un discorso più strettamente introduttivo, e anche se affronto di più il piano giuridico sulla legge SMURAGLIA, il Prof. Mosconi dopo di me entrerà più in particolare su quali sono i riflessi specifici della legge. Io cercherò se è possibile di dare alcuni spunti, in particolare alcuni spunti che vengono da chi come me frequenta quotidianamente le aule di giustizia e quindi ha un riscontro strettamente pratico di quelle che sono le risposte dei vostri tribunali. Mi dispiace che in una giornata come oggi non ci sia nessuno del Tribunale di Sorveglianza di Padova, almeno così mi pare perché poi alla fine, quando si parla strettamente di lavoro e si parla di misure alternative alla detenzione, a ben vedere chi decide se un detenuto possa uscire dal carcere e andare a lavorare e accedere alla misura alternativa è poi il Tribunale di Sorveglianza. Peccato sia mancato anche un rappresentante in un momento così importante come quello di oggi. La legge SMURAGLIA come sapete è una legge che avrebbe la finalità, lo scopo, l’obiettivo in qualche modo di incentivare le aziende all’assunzione dei detenuti. Per ogni contratto di lavoro subordinato infatti, di durata non inferiore al mese, spetterà alle imprese un credito di imposta mensile di 516,46 euro. Lo stesso bonus sarà poi concesso anche a chi svolgerà attività formative nei confronti dei detenuti a condizione poi che la formazione porti all’assunzione del lavoratore o alle attività gestite in proprio dall’Amministrazione Penitenziaria. Io credo che il problema centrale della legge SMURAGLIA sia quello di collocarla all’interno del sistema complessivo e cioè, se noi prendiamo in analisi unicamente la legge dimenticando quello che è il panorama complessivo, probabilmente ci troviamo con un’attività che è in qualche modo miope. Allora noi dobbiamo sempre considerare che il panorama complessivo in cui si inserisce la legge è innanzitutto quello del fine rieducativo della pena. Lo dice la nostra Costituzione che il lavoro dovrebbe essere un elemento che si inserisce in questo percorso rieducativo. Allora il primo spunto un po’ provocatorio che io mi sento di fare è quello se in effetti, per chi è detenuto in Italia ha ancora senso parlare di rieducazione, io dico senza mezzi termini che alla rieducazione non credo più, io alla rieducazione non ci credo, non ci credo perché non credo sia possibile rieducare una persona facendolo stare in un buco con una fessurina per vedere la luce, non credo che ci sia niente di rieducativo nel far stare le persone ad oziare continuamente nelle proprie celle, non credo ci sia niente di rieducativo a trattare i detenuti come dei bambini che per ogni cosa devono fare una domandina, e poi vedere se il giorno dopo possono accedere all’Ufficio Matricola o piuttosto fare un’altra richiesta. Sono stato recentemente a San Vittore a Milano e vi assicuro che la situazione è veramente allucinante, sicuramente credo che la rieducazione non sia possibile all’interno del carcere, ma dico questo e faccio un passo indietro e dico che di rieducazione non si possa parlare per davvero, come dire, lo dice anche il nostro legislatore in qualche modo, lo dice anche la nostra Corte Costituzionale per esempio che più volte è intervenuta sotto il profilo della compatibilità tra la rieducazione prevista dalla Costituzione e l’ergastolo, continua in qualche modo a prevedere questi due elementi contrastanti siano invece comunque compatibili in un sistema. Ci si può rieducare evidentemente anche stando all’ergastolo, poi danno il contentino dicendo, va ben anche ai detenuti ergastolani si può concedere la liberazione anticipata e quindi in qualche modo il percorso viene compiuto. Ma mi vien da dire non prendiamoci in giro e, anche come dice lo stesso legislatore alla fine interviene con gli interventi di natura legislativa rivolti più a svuotare le carceri, la dove ci si rende conto che il limite è stato superato, penso per esempio a tutte le ipotesi di detenzione domiciliare di moda ed anche in previsione e anche alla concessione della liberazione anticipata per chi è detenuto in domiciliare, più che di preoccuparsi davvero dell’aspetto rieducativo. Uno studioso americano, mi sono segnato una frase che credo abbia significato, dice a proposito dell’impossibilità di rieducare in carcere "… è difficile formare buoni aviatori istruendoli all’interno di un sottomarino". Mi pare la cosa renda abbastanza l’idea e poi dico in più che la rieducazione è una finzione, è una finzione perché la rieducazione passa attraverso un percorso che è strettamente interiore in una persona. Allora è impossibile con questo tipo di struttura, all’interno di queste carceri così mal messi, con così pochi educatori che devono vedere centinaia di detenuti e li incontrano magari poche volte, quando ci sarebbe bisogno di incontri e incontri per capire il percorso compiuto, sempre che questo sia possibile. Dicevo la rieducazione, come ci insegnava già la Cassazione a Sezioni Riunite nel lontano ’56, ci diceva "rieducazione è il catarsi, è una forma di redenzione morale", ma allora mi chiedo: davvero è giusto pensare che il carcere abbia questa funzione? - perlomeno, al di là del fatto che sia giusto - è un obiettivo raggiungibile la rieducazione? Io vorrei porre questo problema, so che dire che il carcere non rieduca è, come dire una frase forte, è un modo di affrontare il problema in modo diretta, ma io dico è forse giunto il momento di volare meno in alto, di smetterla di pensare al carcere come strumento di rieducazione e pensare molto più semplicemente ad una risocializzazione. Guardate che la risocializzazione è cosa completamente diversa e cioè io, Giudice di Sorveglianza per l’appunto ribadisco il dispiacere che manchi oggi, io Giudice di Sorveglianza non vado tanto a verificare se tizio che ha compiuto il reato si è pentito, ha ammesso tutti i suoi peccati, ha compiuto un percorso interiore vero. Queste signori sono finzioni, quando il Tribunale di Sorveglianza chiede questo tipo di atteggiamenti ottiene delle confessioni strumentali, io ve lo dico dalla mia modestissima esperienza. I detenuti spesso pur di arrivare ad accedere a misure alternative fingono confessioni solo strumentali ad uscire dal carcere. Allora vedete che tutto il sistema è da prendere in considerazione perché ha delle sue deviazioni. Il lavoro, perché è così importante all’interno di questa visione più complessiva, perché il lavoro è davvero lo strumento della risocializzazione e questo dovrebbe essere a mio giudizio il vero scopo della legge SMURAGLIA, e cioè dire io non mi interesso se il detenuto si sia rieducato o meno, io mi interesso invece perché questo e solo questo sono in grado di fare, mi interesse di fornire una possibilità di risocializzarsi e cioè di entrare gradualmente in società, dall’interno all’esterno, dandogli una opportunità che è un’opportunità di lavoro. L’opportunità di lavoro prescinde dal fatto che il detenuto utilizzi il lavoro anche solo, come dire, con una funzione strettamente strumentale all’ottenimento della misura alternativa. Fatto sta che io riesco a collocare una persona detenuta all’interno di un sistema di legalità e di dare alla persona detenuta una possibilità reale di sopravvivere all’interno della legalità. Questo è alla fin fine la risocializzazione e cioè ripeto, la possibilità che il detenuto al di là di una valutazione interiore sul percorso compiuto, abbia una scelta che sia concreta che è la possibilità di scegliere una via di legalità. Che poi la scelga anche solo per una questione di opportunità e che l’opportunità potrebbe essere "guardate, prima di rientrare in questo posto e cioè in un posto triste come il carcere, così violento, così ozioso, così fastidioso come il carcere ho la possibilità guadagnando due milioni al mese di sopravvivere in modo decente, scelgo di lavorare". Per questo mi sento di dire: voliamo più basso. Il lavoro ha questa funzione, ha la funzione di reinserire le persone dandogli un’opportunità nella legalità. Credo che questo sia fondamentale perché altrimenti rinunciamo a mille e mille opportunità, quante volte il Tribunale di Sorveglianza nega le misure alternative, pur essendoci la possibilità per i detenuti di lavorare, pur quando noi difensori rappresentiamo al Tribunale un lavoro reale e certo perché si dice "non si è compiuto fino in fondo il percorso rieducativo" che significa confessione, pentimento. Allora dico voliamo più basso, pensiamo a questioni strettamente pratiche, forse meno nobili sotto il profilo morale, però più pratiche, pensiamo che nelle carceri ci sono il doppio delle persone, come ci diceva il nostro amico, rispetto a quelle che ci dovrebbero essere e cerchiamo di fare in modo che la legge SMURAGLIA trovi effettiva applicazione. Innanzitutto mi chiedo, le aziende conoscono questa opportunità? Io ho qualche perplessità sotto questo profilo. Leggevo una raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, di un organo una volta autorevole, il n.22 del 2000, secondo cui il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, sottolineava l’opportunità di diffondere tramite la stampa, la TV, la radio, l’informazione, l’idoneità delle Misure Alternative a surrogare la pena detentiva, idoneità che veniva valutata su basi statistiche. Io credo che ci debba proprio essere una rivoluzione anche nell’informazione, qui abbiamo oggi proprio la fortuna di avere degli organi di informazione, sui giornali finisce sempre e soltanto il detenuto che in permesso non rientra, facciamo una bella indagine statistica di quante Misure Alternative vanno a buon fine, che sono la maggioranza, la stragrande maggioranza, perché altrimenti rimarrà sempre nelle aziende una visione impaurita della possibilità di assumere un detenuto, una visione che tra l’altro non è sorretta da dati statistici proprio perché il detenuto che torna in società e va a lavorare quasi sempre………..(fine registrazione) ……delle risorse esterne più forti, più numerose parlo in particolare per quanto riguarda i servizi sociali, e poi certo dovremo attenderci un po’ di chiarezza, di equilibrio normativo, è quello a cui faceva riferimento l’avvocato Castellani precedentemente perché obbiettivamente una legge che non si inserisce in un contesto più ampio, resta una legge che difficilmente potrà trovare applicazione. Faccio presente che se da un lato c’è la legge SMURAGLIA c’è ancora nel nostro Ordinamento Penitenziario l’art. 58 quater che prevede che sia precluso per tre anni ad un detenuto, a cui sia stata revocata la misura alternativa, la possibilità di lavoro esterno, di permessi e di altre misure alternative. Tutti sappiamo bene che il percorso risocializzativo è un percorso che è fatto di momenti positivi ma anche di regressioni, cerchiamo di avere un equilibrio complessivo se possibile, ma questo ahimè è opera dei legislatori, che faccia si per davvero che un’opportunità così grande come quella del lavoro per chi è detenuto diventi un’opportunità concreta. Grazie.
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